Antonio Riccardi, Tormenti della cattività, Garzanti, Milano, 2018, pp. 164, € 15,30
Da Il profitto domestico (1996) a Gli impianti del dovere e della guerra (2004) fino Tormenti della cattività (2018), recente raccolta in cui le tracce di Sereni e di Bertolucci sono evidenti, Antonio Riccardi, tra coesione interiore e fedeltà tematico-stilistica di rara sobrietà linguistica, in una sorta di «estetica del cenotafio», si misura con il tema della morte, tornando a un mondo circoscritto, il podere di famiglia di Cattabiano. È un perimetro ristretto che nella sua mitologia personale il poeta avverte come luogo centrale di un mondo ripescato attraverso la memoria. Ma la memoria non ha senso compiuto se non interpella l’idea di tempo, la percezione dello spazio e il “come” ci si intende collocare in quel tempo e in quello spazio. I fattori T (tempo) e S (spazio), con i quali si misura questa recente poesia di Antonio Riccardi, sono tempo e spazio pre-moderni. Ma in che senso pre-moderni? Detto in estrema sintesi, Antonio Riccardi adotta il tempo ancora scandito dai ritmi delle stagioni e della vita, con tutti i riti a tali ritmi collegati, e adotta lo spazio come luogo antropologico di identità forte e di comunità coesa, come in questi versi esemplari (1930):«Alla prima foliazione del podere/dopo la morte invernale di Antonio/Riccardi, solo la siepe di bosso/ alla fine del giardino, confine/sul dirupo tra casa e coltivo,/era rimasta forte e splendente[…]». Il podere di famiglia a Cattabiano è un luogo antropologico nei versi del poeta di Tormenti della cattività, uno spazio non geometrico ma luogo della identità, delle relazioni , della memoria. La fisicità di ogni luogo antropologico si condensa nella geometricità delle tre forme spaziali della linea, della intersecazione e del centro grazie alle quali l’uomo-poeta può transitare, può incontrarsi, può sostare con le possibilità di creare relazioni simboliche, identità individuali, una comune terrestrità. Al luogo antropologico si collega inestricabilmente il tempo naturale o pre-moderno. «Dimmi che uso fai del Tempo e dello Spazio e ti dirò che poesia puoi fare…». A Tempo e Spazio pre-moderni Antonio Riccardi aggiunge un terzo fattore: la percezione, che non è la memoria, e propone una poesia tridimensionale distante dalla prospettiva dell’osservatore proustiano che al tridimensionale è in grado di aggiungere la Memoria, secondo ciò che sul quadri dimensionalismo scrive Maurizio Ferraris: «[…] Nella prospettiva proustiana, la domanda ontologica «che cosa c’è per noi, in quanto osservatori interni allo spaziotempo?» si ha una risposta tridimensionalista soltanto se ci si limita ad osservare con la percezione; la risposta risulta invece quadridimensionalista se si osserva anche con la memoria.». In Tormenti della cattività il poeta non osserva i tempi, le cose, i luoghi con la memoria ma con la percezione. Commentando il libro di Riccardi Giorgio Linguaglossa infatti scrive:«Nella poesia di Riccardi la memoria c’è, ma come un fondale sul quale si stagliano gli eventi della memoria, la memoria è ancora integra! Almeno, io la percepisco come integra, ancora non colpita dalla febbre dell’oblio della memoria. Ho citato non a caso la poesia di Brodskij Lettera a Telemaco del 1972, perché lì c’è l’albeggiare di questa terribile sindrome che ha invaso silenziosamente il mondo moderno e gli uomini del nostro tempo[…]».
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Gino Rago
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