Marina Petrillo : “Materia redenta” – Ed. Progetto cultura – 2019 - pagg. 96 - € 12,00
La scintillante prefazione di Giorgio Linguaglossa avvia ad una lettura oculata e particolareggiata, tra le sospensioni che il sub conscio attiva per rincorse multicolori e profondità sfiorate, accortamente ricamando le attese di una modernità che sottende alla poesia contemporanea di alto valore. “La parola poetica – egli scrive fra l’altro- diventa esperienza della fragilità e della terrestrità, esperienza di un indebolimento di ciò che un tempo lontano era la pienezza del tempio greco o della basilica cristiana ed adesso è un luogo infirmato dal sole e dalla pioggia, dal vento e dagli uomini che abitano la terra e che ad essa ritornano, come erranti, come morti.” Un passaggio elegante di affanno che ci trascina nel rincorrere quella quotidianità che non sappiamo più apprezzare nel silenzio che circonda, e che porta in se inscritta una estetica non scontata e fasulla. Marina Petrillo traccia il suo iter con arguzia e poesia, capace di attingere l’iflessione della metafora per forgiare la vertigine del ritmo. “Siamo qui/ in un perduto gesto/ mentre l’Altro da noi/ trasmigra in atto parallelo/ o, tenue, diluisce in liquido amniotico/ di altra vita specchio.// Partoriti siamo dunque/ ma dal Sogno/ cercando di vita in vita/la Madre.” Scrittura piana che non ha sbavature , non si avviluppa al monumentale con arzigogoli e incisioni avveniristiche, attenta come appare nella tessitura del ritmo, nella pienezza del dettato . La parola esprime lo specchio che riflette dolori o memorie , illusioni o speranze, per quel sussurro che rimane nella vertigine che non è fuga di ombre ma il colloquio di una tensione. “Il cuore è il tuo cielo e nel sempre ad esso ritorni./ Hai trascorso in parole il tempo/ ed ora, umile, ad esso rivolgi il canto./ Non parli che di Lui, Signore nell’aurora.”
Le incombenze che cerchiamo nella penombra giocano con il bagaglio che trasportiamo nel tempo che avvolge solitudine o silenzi, e le figure si stagliano con un candore genuino, inanellate in spirali, intessute nel futuro immaginario e non sempre allettante, che la mano rasenta per ferite ed intagli. Il verso ha intacchi di cristallo, nella sua stesura a volte teneramente semplice e discorsiva: “Appena desta/ gli occhi in sonno avvinti/ pronunciai del tuo nome l’avverso fato./ Un piccolo segno tra le mani giunse/ a sospirare nell’aurora/ l’indiviso vanto alla vita./ Ma se dall’Anima tradita/ non giunse assenso/ fu per lo spirito nobile che ti avvolse/ una sera di dicembre in doglia di neve.” La poetessa sfiora i panorami tratteggiati come nella pittura per abbandonarsi ovattata nel “ chiarore della neve” che si riflette in forma di cristallo e come Narciso “in sorriso muove l’universo, nella magica danza delle foglie”. La meraviglia, l’incanto, lo stupore tentano una dissoluzione nel giro delle ore attenti a non perdere la scommessa che il mistero della poesia armonizza nel talento che la parola anticipa nelle immagini a mulinello.
ANTONIOSPAGNUOLO
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