POESIA CONTEMPORANEA = GINO RAGO PER LUIGINA BIGON E RENATO MINORE
Luigina Bigon
CIGNO IN CONTROLUCE
Scortica l'addio a precipizio rocce a specchio
volo di corvi crinale che scotta
ombra fredda
luna rossa
sole verde
cigno in controluce
noi
*
Commento-
LUIGINA BIGON Nei versi di “Cigno in controluce” si propone ai lettori come poeta-fotografo, riconduce la fotografia al suo etimo originario di «scrittura con la luce». Allestendo un insieme di scatti scrive il suo poema con le due materie prime più semplici: il tempo e la luce, fissando immagini che da sole (rocce, corvi, luna, cigno, sole) riescono a dirci più di tante parole.
Ogni immagine sembra cristallizzare l'attimo, un frammento di una situazione ormai appartenente già al passato ma che diviene anche un appello rivolto intensamente all’osservatore-lettore affinché con il suo sguardo inneschi a sua volta racconti, immaginazioni, storie, suggestioni proprio a partire da questi “attimi”. Luigina Bigon senza dichiararlo chiede agli osservatori-lettori un gesto, quello di una «entrata» nelle intime vibrazioni delle sue parole-immagini, un gesto di entrata fatto di reminiscenze, sensazioni, percezioni, odori del mondo della Bigon fino ad un momento prima silenzioso, benché carico di voci e rumori.
"Scrivere per sé stessi pensando agli altri" transita da Gertrude Stein a Luigina Bigon e il lettore così non è meno creativo dello stesso poeta. Immettendo nel mondo il ritmo delle cose reali, Luigina Bigon in questi versi ci accosta all’idea dei photo-books in cui parola e immagine si richiamano, si intrecciano, si completano.
E la componente autoriflessiva suggellata in quel «noi» finale si svela nel desiderio della con-divisione con i lettori d’ogni fotogramma, di ogni verso-scatto, in quella che appare come poetica dell’istante, dell’infinito istante.
Ho parlato di fotografo-poeta e non di artista, o di pittore-poeta, perché il pittore "traduce" mentre il fotografo "cita."
Gino Rago
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Renato Minore
Diventa triste…
“[…]Diventa triste un pesce solo
nella vaschetta
ma basta mettergli
davanti uno specchio
per farlo contento”.
(da Renato Minore , O caro pensiero, nino aragno editore, Torino, 2019, pp.100)
Commento-
RENATO MINORE con un serio lavoro sul Logos (lessico, metrica, tono) ha condotto questa recente poesia a misurarsi con quel senso di “vuotezza” (camera da tè e tantissima architettura del Sol Levante), come esemplarmente appare in questi versi, quel «vuoto» del foglio bianco dei disegni e delle pitture di artisti giapponesi che contrasta con il «pieno» di quasi tutta l’arte occidentale, quasi a voler vincere, come affermò a suo tempo Gillo Dorfles in “Ultime tendenze dell’arte d’oggi”, tutto l’«horror vacui» che la pervade.
Come intensa si avverte in questa nuova prova poetica di Renato Minore la forza attribuita all’immagine, anzi, (ricordando il titolo del libro di Filomena Rago, quasi tranströmeriano), alla “immagine di una immagine” che il poeta affida a uno specchio. Giorgio Linguaglossa dunque fa bene nella sua nota critica a sottolineare l’ontologia della immagine affidata ad Andrea Emo:«Ogni immagine è immagine del nulla e in questo senso l’immagine è ontologica».
Un altro aspetto emerge da questi versi estratti dal libro poetico di Renato Minore: il rapporto stretto che si avverte tra fotografia e poesia, fra parola e immagine sottratta al flusso della storia, e cristallizzata nel tempo, in una sorta di «Estetica dell’istante infinito», (il pesce solo nella vaschetta), grazie alla quale, per dirla con Roland Barthes de La camera chiara: «l’età della fotografia corrisponde precisamente alla irruzione del privato nel pubblico…»; ma questo ci porterebbe lontano.
«Pesce-vaschetta-solitudine-specchio» forse per il poeta sono i correlativi oggettivi eliotiani della condizione dell’uomo nel mondo, forse sono perfino le parole-chiave sulle quali Renato Minore incardina la sua Weltanshauung.
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Gino Rago
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