POESIA CONTEMPORANEA = COMMENTO DI GINO RAGO
Una poesia inedita di Marie Laure Colasson
Marie Laure Colasson
"En chute libre" / "In caduta libera"
Eredia regard mélancolique
le balcon du deuxième étage
un amour réduit en cendres
Dante et Delacroix jouant aux échecs
se partagent l’enfer
Les chaises encordées
dans leur chute l’une après l’autre
remontent la pente
Akram Khan gestes saccadés insecte prisonnier prodigieuse toupie
immersion dans des méandres inextricables
La pluie en trombes
des annelides grouillant sur la pierre
La Contesse Bellocchio
villa palladienne
entourée de jeunes artistes
laisse tomber bagues et diamants
ébastien tout habillé chapeau melon
sort de l’eau en tumulte
Elisa portable à la main photo et fou rire
*
Eredia sguardo malinconico
il balcone del secondo piano
un amore ridotto in cenere
Dante e Delacroix giocano a scacchi
si dividono l’inferno
Le sedie legate con la corda
nella loro caduta l’una dopo l’altra
risalgono la china
Akram Khan gesti a scatti insetto prigioniero prodigiosa trottola
immersione dentro meandri inestricabili
La pioggia battente
anellidi brulicanti sulla pietra
La Contessa Bellocchio
villa palladiana
circondata di giovani artisti
lascia cadere anelli e diamanti
Sebastiano tutto vestito bombetta
esce dall’acqua in tumulto
Elisa cellulare in mano foto e risata a crepapelle
*
Cosa nitidamente si coglie in questi versi di Marie Laure Colasson? In primo luogo, il tema dello sguardo, in secondo luogo, l’altro grande tema, la «caduta». Il tema dello sguardo nella Colasson è analogo a quello di Roland Barthes de La camera chiara. Nella fotografia, riguardo al rapporto parola-immagine, Barthes scrive: «dandomi il passato assoluto della posa la fotografia mi dice la morte al futuro, che il soggetto fotografato sia o non sia già morto, ogni fotografia è appunto tale catastrofe», nella ripetizione senza fine di ciò che ha avuto luogo una sola volta. Da qui lo straniamento in Marie Laure Colasson verso la poetica dell’istante infinito, o, se si vuole, dell’infinito istante. In secondo luogo, la caduta, direi la poetica della «caduta». Qui non si può fare a meno di pensare alla «caduta» di Tadeusz Różewicz, secondo l’idea di Nietzsche di caduta come «stato naturale» dell’uomo d’Occidente. Marie Laure Colasson, come per Ágota Kristóf che ha transitato dalla lingua ungherese alla francese, ha fatto il percorso inverso: dalla madrelingua francese alla italiana, ma continua a scrivere e a pensare nella sua madrelingua francese; in tal senso, non rientra nel fenomeno trans-linguistico dell’esilio sempre almeno secondo l’idea di **Iosif Brodskij, il quale ha trovato rifugio nella sua lingua d’origine: «La tua capsula è il tuo linguaggio: per uno che fa il mio mestiere la condizione che chiamiamo esilio è, prima di tutto, un evento linguistico: uno scrittore esule è scagliato, o si ritira, dentro la sua madrelingua. Quella che era per così dire la sua spada, diventa il suo scudo, la sua capsula […]».
Giorgio Linguaglossa parla di «un retro-linguismo», perché la poetessa francese ritorna alla sua lingua a partire dall’italiano; approda al francese a partire dalla sua pittura astratta, dalla «struttura dissipativa» indagata nella sua pittura.
“L’assenza di regole sintattiche e di punteggiatura sono la prosecuzione in poesia della sua ricerca figurativa, che non tratta di astrazioni geometriche o coloristiche come in Kandinsky o Rotcko, ma che considera l’astrazione come indagine sullo s-fondamento del fondo. Il che è una cosa ben diversa. Che poi la Colasson abbia individuato questo suo personalissimo percorso prima di incontrarsi con i nuovi orientamenti (parlo al plurale) della nuova ontologia estetica, non è dovuta a mera causalità o casualità. O meglio, c’è una ragione anche nella casualità, gli incontri non avvengono per caso. La scelta di un linguaggio figurativo astratto è la medesima scelta di un linguaggio poetico astratto (ma pieno, anzi, pienissimo di oggetti concretissimi). Come si spiega tutto ciò? È semplice, a mio avviso una scelta figurativa, una scelta di tematica per un poeta o un plot da parte di un narratore, non sono mai scelte innocenti ma il risultato di una politica estetica o, se volete, di una scelta di poetica, ovvero, una scelta figurativa e poetica che si sottragga alle petizioni ideologiche post-moderne o tardo moderne del tardo capitalismo globale in cui abbiamo la ventura di vivere”.
«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».1
Condividendo le riflessioni sul retro-linguismo attribuito da Linguaglossa alla scritture della Colasson, devo notare che di fronte a questo genere di esperienza poetica, con la «caduta libera» ci troviamo di fronte a un fatto linguistico del tutto nuovo, tra bi-linguismo, trans-linguismo e retro-linguismo. La poetessa francese propone una poetica di «strutture dissipative», di entanglement, di «infiniti istanti», vale a dire frammenti di quella che convenzionalmente chiamiamo realtà. Questi frammenti spingono l’osservatore-lettore fuori della cornice, ad immaginare cosa possa esserci al di sopra o al di sotto, a sinistra o a destra di quei frammenti di forme raggelate e sottratte al tempo e cristallizzate in pose fotografiche:
“[…] I suoi occhi frugavano e rovistavano da destra a sinistra da sinistra a destra una mobilità spaventosa […]”
Perché questa procedura? Risponderei, in breve sintesi, perché la Colasson si colloca a grande distanza dalla poesia rappresentazionale fondata sulla centralità dell’io panopticon.
Di fronte al problema ventilato da lombradelleparole.wordpress.com «La fine della poesia e il compito del pensiero poetante», e «Quale poesia scrivere dopo la fine della metafisica?», la Colasson con i versi di In caduta libera si muove verso una poesia fortemente distopica, con un linguaggio distopico e frammentato in linea con i principi della nuova ontologia estetica che condenserei così: un polimorfismo nutrito di stile nominale, asimmetrie, dissimmetrie, entanglement con una nitida percezione del vuoto che si apre dopo la fine di ogni verso, come di ininterrotti abissi, spazi bianchi, spazi di non nominazione, horror vacui di contro alla ossessione del pieno della poesia rappresentazionale ed epigonale di questi ultimi decenni, una sorta di invariante petrarchesca. Nella poesia della Colasson il retro-linguismo interagisce con tutti gli altri linguaggi: pittura, musica, immagini fotografiche, danza, voce… in un peculiarissimo stile entanglement.
*
1 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017, p. 113
*
Gino Rago
3 Commenti:
caro Antonio Spagnuolo perché non inserisci qualche immagine a corredo dei tuoi post? Non è affatto difficile, magari chiedi ad uno pratico di queste cose. Cordiali saluti.
Prego Antonio Spagnuolo di rettificare il testo di Marie Laure Colasson con l'inserimento degli spazi tra le singole strofe, come di seguito. grazie. Giorgio Linguaglossa.
En chute libre
14.
Eredia regard mélancolique
le balcon du deuxième étage
un amour réduit en cendres
Dante et Delacroix jouant aux échecs
se partagent l’enfer
Les chaises encordées
dans leur chute l’une après l’autre
remontent la pente
Akram Khan gestes saccadés insecte prisonnier prodigieuse toupie
immersion dans des méandres inextricables
La pluie en trombes
des annelides grouillant sur la pierre
La Contesse Bellocchio
villa palladienne
entourée de jeunes artistes
laisse tomber bagues et diamants
Sébastien tout habillé chapeau melon
sort de l’eau en tumulte
Elisa portable à la main photo et fou rire
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Eredia sguardo malinconico
il balcone del secondo piano
un amore ridotto in cenere
Dante e Delacroix giocano a scacchi
si dividono l’inferno
Le sedie legate con la corda
nella loro caduta l’una dopo l’altra
risalgono la china
Akram Khan gesti a scatti insetto prigioniero prodigiosa trottola
immersione dentro meandri inestricabili
La pioggia battente
anellidi brulicanti sulla pietra
La Contessa Bellocchio
villa palladiana
circondata di giovani artisti
lascia cadere anelli e diamanti
Sebastiano tutto vestito bombetta
esce dall’acqua in tumulto
Elisa cellulare in mano foto e risata a crepapelle
la poesia della Colasson si situa in quell’essere-in-mezzo, quello “Zwischen” di cui ci parla Heidegger. Quel frammezzo che è il vero centro dell’essere, ovvero, del nulla. Se il poeta è il vero fondatore dell’essere, è anche il vero fondatore del nulla, come ci ha insegnato Andrea Emo. La poesia è il suo progetto aperto al futuro, è il futuro aperto al presente. È il presente aperto alla Memoria del passato. È insomma quella entità che sta al mezzo delle tre dimensioni del tempo. Ed è ovvio che in questo frangente, il linguaggio della poesia non può che situarsi nello “Zwischen”, cioè in un non-luogo linguistico, in un non-luogo dell’essere.
Al poeta è assegnato il posto nel “frammezzo”, egli è il mediatore tra gli dei e gli uomini, tra il «non più» degli dèi dipartiti e il «non ancora» del dio che ha da venire (Heidegger). Che io aggiornerei così: il poeta è il mediatore tra l’essere e il nulla, rivela il nulla dell’essere e l’essere del nulla. Per questo il poeta moderno non può che essere profondamente nichilista, anche contro la sua volontà e la sua intenzione. Il poeta è un Emissario del Nulla e un Commissario dell’Essere.
Vera aspirazione della poesia è quello essere di casa e rendersi familiare (Heimischwerden) un’inquietante estraneità in cui comunque ci si trova spaesati (Unheimischsein), vero nocciolo della storicità dell’uomo nell’itinerario di un viaggio di ritorno, di un avanzare andando a ritroso.1
La Contessa Bellocchio
villa palladiana
circondata di giovani artisti
lascia cadere anelli e diamanti
Sono versi che non significano al di là di se stessi, non c’è nulla del concreto-presente, e forse questo è il modo migliore per essere concreti e presenti nel presente-passato e nel presente-futuro. Questo non significare nulla è forse il miglior modo per significare qualcosa di impellente che non può essere detto con il linguaggio del presente, quello della comunicazione.
1 Cfr. M. Heidegger, Hölderlins Hymne “Der Ister” a cura di W. Biemel, in Gesamtausgabe, cit., vol.LIII, p. 22; tr. it. a cura di C. Sandrin eU. Ugazio, L’inno, Der Ister di Hölderlin, , Mursia, Milano 2003,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2019/11/13/marie-laure-colasson-poesie-inedite-da-elle-fumait-un-demon-vert-con-una-glossa-di-giorgio-linguaglossa/comment-page-1/#comment-60241
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