POESIA CONTEMPORANEA = COMMENTO DI GINO RAGO
Mario Lunetta, da Canzoniere della scomparsa, Robin Edizioni, Roma, 2014, pp. 130, 10 Euro
Partiamo da questo inedito (da lombradelleparole.wordpress.com, dicembre 2019) per noi scelto e proposto da Giorgio Linguaglossa per entrare nella poesia pensante di Mario Lunetta per poi approdare alla lettura delle poesie In mortem di Maria Pia Liti, scomparsa nel marzo 2013.
Mario Lunetta
Cartapesta
Continuando ad abitare la sua casa di cartapesta
di via Accademia Platonica come una parodia
della pompeiana Villa dei Misteri, aggredito alle spalle
da un fastidioso nùgolo di alfabeti remoti
grezzamente affastellato sotto la pioggia o sotto l’urto
glorioso della luce contro l’azzurro del cielo o il deserto
ingiallito di un foglio di papiro, il respiro di un’aquila
o la fuga precipitosa di una formica, il supposto
immortale esce dal suo torpore per cercare
ingenuamente il vessillo lacerato di quella che si chiama
scrittura Lineare B
imbattendosi invece alquanto oziosamente
nella futile notizia secondo cui il cobra reale, lungo
intorno ai 5 mt, ha una lingua biforcuta sensibilissima
all’odore molecolare delle prede e una vista telescopica
capace di individuare a 100 mt con estrema precisione
uno scoiattolo che tenta di mimetizzarsi a ridosso
del tronco di un olmo americano, ecc. ecc.
Alquanto frastornato, il supposto immortale
non sa allora trovare altro conforto che pronunciare
a voce alta, specchiandosi in un olio di Cagli
tanto simile a un oscuro geroglifico gremito
di spazi inenarrabili, questo SOS che ha tutta l’aria
di un help pronunciato un attimo prima del naufragio:
Via, tenera amica, guarda ancora l’immortale
che conosci così bene: sì, proprio lui che a stento
ricorda il suo nome.
Se lo fissi un istante coi tuoi grandi occhi di ragazza
pieni di stupore cinematografico, quest’uomo strano
e incomprensibile forse potrà guarire ancora un poco
– o ritardare di un istante la sua fine.
(Roma, 15 aprile 2017)
Recensendo di recente le Poesie di Carlo Michelstaedter per la Piccola Biblioteca Adelphi, a un certo punto della recensione meditavo cosi: «Quali fenomeni linguistici possono proporsi o semplicemente affacciarsi nel far poesia allorché una più o meno lunga tradizione letteraria e anche un intero sistema stilistico cadono d’un tratto in frantumi determinando un vuoto? Tale vuoto nasce da un qualcosa dentro la letteratura o al di fuori di essa? Questo vuoto può dar luogo all’avvento di nuovi linguaggi? Dalla critica più agguerrita e competente abbiamo appreso che al mutamento della società cambia anche la vita stessa delle persone. La conseguenza più diretta ed inevitabile è la rottura di quello che viene indicato come “patto comunicativo” fra poeta e pubblico: cioè, allo sgretolarsi di questo patto si assiste alla rottura di quella sorta di intesa, di accordo fra autore e pubblico. Ciò è quanto si è verificato anche nel Novecento letterario-poetico europeo e anche italiano dopo la scomparsa di coloro che vengono definiti Autori-Evento, Autori cioè che con la loro opera (per esempio Baudelaire, Whitman, Dostoevskij, Rimbaud, Nietzsche, Freud) spezzano l’accordo preesistente letteratura-pubblico e niente più, romanzo, estetica, filosofia, teatro, poesia, rimane come prima. Per esempio, in Italia, Dino Campana (morto in manicomio) è il poeta che segna l’interruzione della continuità del “patto comunicativo” cui si è fatto cenno. Con Carlo Michelstaedter (morto suicida ad appena 23 anni) questa interruzione si rafforza e diviene definitiva[…].»
A proposito del pensiero di Linguaglossa al centro della sua nota sulla «non presentabilità né rappresentabilità del mondo in poesia», Lunetta ne era acutamente consapevole, basta leggere i suoi versi:
il supposto immortale
non sa allora trovare altro conforto che pronunciare
a voce alta, specchiandosi in un olio di Cagli
tanto simile a un oscuro geroglifico gremito
di spazi inenarrabili, questo SOS che ha tutta l’aria
di un help pronunciato un attimo prima del naufragio:
Via, tenera amica, guarda ancora l’immortale
che conosci così bene: sì, proprio lui che a stento
ricorda il suo nome…
Penso che Mario Lunetta nel suo tempo poetico poteva essere, aveva tutte le carte in regola per esserlo, un Autore-Evento, un autore in grado di spezzare il patto comunicativo preesistente fra poesia e pubblico del suo tempo, in modo che nulla fosse più come prima, nella filosofia, nella estetica, nella poesia, ma anche nella narrativa, nella saggistica e nel teatro, da quell’autore poliedrico che dimostrò d’essere in tutta la sua parabola terrena umana e letteraria, attraversando da protagonista tutti i linguaggi della creatività, compresa la critica d’arte, come emerge dalle sue note bio-bibliografiche. Tutti sappiamo invece com’è finita: le superpotenze delle massonerie editoriali meneghine, anche sabaudo-torinesi e anche in parte dello stato pontificio glielo hanno impedito, a favore dell’esangue minimalismo…
Giuseppe Talia traccia un ritratto di Lunetta in questi pochi versi:
(Mario Lunetta)
“Muoiono anche i grandi poeti.”
C’è una lunetta perfetta stanotte.
Una lunetta comunista, anti-arrivista
Che non baratta la contraddizione
Col ghigno marxiano degli accalappiacani
Con la lingua funginosa di villi&villani.”
I sei versi di Giuseppe Talìa condensano felicemente, nella sua Antologia in versi di poeti contemporanei (La Musa Last Minute, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2017), il sentimento di Mario Lunetta, la sua collocazione nel mondo, il suo senso dell’esserci, con quella rasoiata «lunetta comunista-anti-arrivista…»
Di famiglia piccolo borghese, Mario Lunetta nasce e cresce alla Garbatella di Roma. Sperimentatore nei più diversi generi letterari e artistici, ha collaborato ai programmi culturali della RAI, a giornali, a riviste italiane e straniere (L’Unità, Corriere della Sera, Il Messaggero, Rinascita, Il manifesto, Liberazione). Ha curato importanti antologie (Il surrealismo, Roma, Editori Riuniti, 1976; Poesia italiana oggi, 1981, e, in collaborazione con Franco Cavallo, Poesia italiana della contraddizione, 1989, entrambe edite a Roma, Newton Compton). Ha introdotto e curato opere, tra gli altri, di Italo Svevo, Emily Brönte, Émile Zola, Federico De Roberto, Gustave Flaubert, Dino Campana, Velso Mucci. Sullo stato di salute di certa poesia contemporanea, ben sostenuta dalle case editrici influenti, Mario Lunetta scrive:
«La stupidità organizzata è volgare, ci fa orrore. La ideologia attualmente diffusa in gloria di quella recentissima specie zoo(il)logica che sarebbe il poeta da spiaggia o da stadio […] che ‘canta’ al grado zero le sue passioni le sue frustrazioni le sue esaltazioni in versi intrisi di ‘incantevole’ primitivismo semianalfabetico, è l’ultima invenzione del mercato delle lettere (insomma, del mercato) perfettamente omologa al presente del gusto medio radiotelevisivo/rotocalchesco. È l’ultima mistificazione in letteratura, in poesia». E così parla della nuora perché suocera intenda».
Nel marzo del 2013 Mario Lunetta perde Maria Pia, sua compagna per oltre mezzo secolo, e vede la sua luce il Canzoniere della scomparsa, per Robin Editore. Nei 31 componimenti del libro, nello sgomento quotidiano della perdita della compagna comincia a fare i conti, per dirla con il Roland Barthes del diario di lutto tradotto in Italia come Dove lei non è, con una nuova poetica, la poetica della «presenza dell’assenza»:
“Sotto i portici dell’esedra, il refrigerio dell’ombra:
e subito, dipoi, quell’incredibile avvertire accanto a sé,
al suo fianco, un alito di freschezza, un respiro leggero
che era niente e era tutto, nella pace silenziosa
cui finalmente sembrava approdata la Scomparsa
che nel momento in cui il sospetto immortale, ormai morto anche lui,
le rivolse la parola, svanì dissolta nell’aria umida,
come un volo di farfalla – e il defunto supposto immortale si sta
chiedendo da tre giorni dove sia cominciato il sogno, quando
sia finita la realtà, in questa scacchiera di caselle vuote
dove tutto è trasformato nel suo contrario e la via
è soltanto un accumulo di surrogati e succedanei finti.”
( da "Canzoniere della Scomparsa", Robin Edizioni, Roma, )
Come in questo, anche negli altri 30 componimenti Mario Lunetta non cede mai alla autocommiserazione, al verso intriso di lirismo piagnucoloso e disarmato e un critico letterario per questo atteggiamento di Lunetta di fronte alla morte segnala l’epitaffio di Samuel Beckett: «è finita, continua a finire e io in questa fine continuo» come modello della postura lunettiana di resilienza dopo l’evento morte che da noi strappa la persona amata, e si conferma come scrittore loico, laico, materialista, razionalista, incapace di cedere alla retorica del sentimentalismo e del lirismo strappa-anima o strappa-cuore, scansando tutte le forme di
petrarchismo, alzando barriere verso ogni tentazione di “umbertosabismo”, evitando «gli abissi melodrammatici dell’Ego interiore».
Anzi, nei 31 componimenti del suo Canzoniere della scomparsa Lunetta fa di più, fa sparire totalmente l’Io poetante inventando l’espediente estetico dell’« i.s.» che il poeta romano intende e usa in tutto il libro come «immortale sottoscritto». Fa retrocedere l’io alla terza persona e come “ i. s.” il poeta si rivolge a Maria Pia, alla Scomparsa.
Come ad esempio Mario Lunetta fa in questi altri versi del suo canzoniere:
“Pare accertato che di frequente, nella sua corsa immobile
sul binario dell’angoscia come un carrello senza guida
che giri intorno a se stesso in una miniera abbandonata, l’i.s.
si rivolga alla sua ragazza a voce alta, chiedendole assenso
& complicità, annaspando nel vuoto del suo delirio in una
pratica ventriloqua di cui pure comprende l’insensatezza ma
di cui può tuttavia apprezzare il povero succedaneo della realtà,
ormai per sempre perduta nel suo nulla senza conforto”.
(da Canzoniere della scomparsa, Robin Edizioni, Roma)
Anche per questi aspetti della esperienza poetica lunettiana Giorgio Linguaglossa parla di «forma informe» e precisa:
«La realtà è diventata «muta», impresentabile, e la forma-poesia che le corrisponde risulta dissonante; la forma informe è diventata qualcosa di ultroneo sia al concetto di rappresentazione che a quello di testimonianza. Lunetta capisce subito, fin dai primissimi anni settanta, che la poesia non deve testimoniare nulla a nessuno, non obbedisce alla regola dell’economia monetaria dello stile e alla economia culinaria della «bellezza» sostenuta dai poeti interessati al mantenimento dell’ordo rerum».
*
Nota. Di fronte allo stesso evento, la morte della compagna di una vita, di fronte allo stesso sgomento due poeti, Antonio Spagnuolo e Mario Lunetta, con storie personali, biografie, temperamenti poetici differenti, si sono poeticamente misurati in maniera affine, l’uno, Antonio Spagnuolo, con un "Canzoniere dell’assenza", l’altro, Mario Lunetta, con un "Canzoniere della scomparsa", percorrendo così la stessa via del dolore affidandosi entrambi alla catarsi della Parola, della parola poetica.
*
Gino Rago
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