Marco Ercolani – Vertigine e misura--- La Vita Felice – Milano – 2008– pag. 207 - € 16,00
L’autore di "Vertigine e misura", Appunti sulla poesia contemporanea, è Marco Ercolani, nato a Genova nel 1954, dove svolge la professione di psichiatra. Ercolani, come scrittore, si dedica alla narrativa fantastica e apocrifa e, come saggista, alla poesia contemporanea e al “nodo” arte/follia. Il testo che prendiamo in considerazione in questa sede, prefato con notevole acribia da Gabriela Fantato, è un’opera composita e complessa che, tuttavia, fa della chiarezza nell’esposizione dei concetti, un suo grande pregio. Vertigine e misura è scandito in due parti: la prima parte comprende le sezioni Nota vibrata e Cortocircuito, mentre la seconda parte le sezioni intitolate Occasioni e Senza il peso della vita. Il testo è “un luogo” in cui la parola e il silenzio sono affiancati, i pensieri e le intuizioni vibrano in un’interrogazione appassionata e così, pagina dopo pagina, “spazi segreti” si mescolano a “luoghi conosciuti” i un viaggio articolato e complesso attraverso alcuni aspetti cruciali della poesia e del “fare poetico”. ma anche attorno all’Essere, al destino e al tragico che segnano la parola poetica nata da quel soffrire di meraviglia che, nota Ercolani, è di ogni grande poeta.
Il cammino qui è svolto attorno alla parola poetica ma anche attraverso la parola poetica stessa, costruito in precise architetture, sorrette dal paziente interrogare del nostro autore che non sovrappone mai la propria interpretazione ai versi dei poeti, ma lascia che essa emerga dalle parole della poesia. In Vertigine e misura l’autore usa sempre, sia quando parla della poesia e dei suoi fenomeni in generale, sia quando, come nella sezione Occasioni, analizza le poetiche e i testi di numerosi poeti italiani contemporanei, un approccio, che pur essendo profondo, sottendendo un notevole scavo nella materia trattata, potrebbe definirsi empatico e che trova il suo etimo proprio in quella meraviglia che non prova solo il bravo poeta nello scrivere, ma anche il lettore di poesia, ancora di più se esso è un critico, come Ercolani stesso: in questo testo, infatti, non c’è assertività logica, né volontà di stabilire “una verità critica”, che sveli il testo attraverso lo “smontaggio” dello stesso – come è stato fatto invece dalla corrente strutturalista del Novecento – ma ogni spunto di analisi è apertura dello sguardo e balzo del pensiero: rapide e vibranti affermazioni aforismatiche si legano ad ampie divagazioni sulla poesia e sul suo senso: una breve citazione e alcuni versi di grandi autori vengono riportati sulla pagina senza alcuna pedanteria erudita, bensì con una forza di cuneo, che apre varchi di pensiero, o di una porta che allarga lo spazio bianco dentro la pagina, dilatando la profondità del discorso e creando un intreccio tra le varie parti dell’opera.
Afferma Ercolani che quando la poesia è finestra, riflette e complica il paesaggio esterno, che quando è specchio, irradia e deforma il paesaggio interno, che quando è scudo diventa cortina al mondo e sospende la verità in una trama di finzioni, che quando è schermo, proietta una scena dove non accade niente di descrivibile, che quando è muro diventa con sollievo la fine necessaria, nel silenzio,
di ogni parola, che la poesia è simultaneamente finestra, specchio, scudo, schermo muro; questa frase dell’autore, mette bene in luce la sua visione ben chiara della poesia: il poeta parlando in termini materici dell’essenza della poesia stessa, si sbarazza di vane metafisiche e riesce a renderci con chiarezza una visione della poesia e del poiein, basata su elementi di grande concretezza (concretezza che, ovviamente è solo una chiave d’accesso per entrare nei meandri del tessuto poetico che è un “fatto” di grande complessità, anche nella poesia contemporanea che è costituita da versi e forme libere); del resto, la completa libertà della poesia attuale, paradossalmente, può divenire un fattore di intensificazione del suo senso e dell’ipersegno, divenendo, per il critico, un campo ancora più stratificato e composito, nel quale addentrarsi, rispetto alla poesia del passato.
La poesia è questo enigma: essere “fuori di sé” e costruire la forma di questa “evasione” con scrupolosa esattezza. Non vivere la pienezza del canto; ma la sua radice, l’impossibilità della parola, lo stare al margine dell’afasia, dentro qualcosa d’impreciso che ammutolisce il linguaggio comune e consente alla parola di esistere. Rispetto al linguaggio comune, alla lingua standard, la poesia è caratterizzata da uno scarto notevole rispetto ad un discorso lineare, anche senza arrivare agli sperimentalismi del Gruppo ’63 o del Gruppo ’93. Del resto i numerosi poeti analizzati da Ercolani non fanno parte dei suddetti gruppi; come pure l’autore non parla dei poeti della poetica delle cose, quelli della Linea Lombarda. L’analisi è rivolta (nella sezione intitolata Occasioni) a voci poetiche molto note, come Milo De Angelis, Cesare Viviani e Antonella Anedda, ma anche ad autori, giovani e non, forse meno noti al grande pubblico; infatti Ercolani fa una “scelta” secondo una precisa idea di poesia, tentando anche di dar conto non di poeti di una sola regione o area geografica d’Italia. Tale “scelta” è un modo di circoscrivere l’analisi, così che si tracciano linee sperimentali precise, nel pur grande arcipelago poetico contemporaneo. In Occasioni leggiamo annotazioni critiche sulla scrittura di poeti dell’area ligure-piemontese, quali Massimo Morasso, Lucetta Frisa, Elio Grasso, Nanni Cagnone, Aurelio Valeri e Dario Capello, in area bolognese, si legge dell’ultimo libro di Giancarlo Sissa, Maria Luisa Vezzali, e Stefano Massari; tra Milano e dintorni incontriamo la poesia di Corrado Bagnoli, Sebastiano Aglieco, Annamaria Carpi, Luigi Cannillo, Annamaria Del Piero, Giusi Busceti e Gabriela Fantato; ci sono saggi che ci danno conto dei libri recenti di Stefano Guglielmin, di Vicenza, di Pasquale di Palmo, veneto, di Marco Ferri, poeta delle Marche e nell’area romana ci avviciniamo alla poesia di Paolo Febbraro, Cristina Annino e Giovanna Sicari. C’è anche un saggio critico su Fabio Pusterla, poeta che vive nel Canton Ticino. Da notare che Ercolani non si sia occupato in questo testo di poesia dialettale.
Si potrebbe definire il testo di Ercolani come un “esercizio di intensità”, maturato nel tempo, coltivato attraverso le proprie prove d’autore, oltre che nella vita e nella lettura degli autori amati, che ha alimentato la specifica scrittura critica di questo critico-funambolo che ci regala ora un libro che sa scendere dentro la parola poetica, andando oltre la parola stessa, tanto da farci scorgere come questa via di
conoscenza, esperienza e scrittura, che è la poesia, sia tragica antitesi, spesso non condivisa, a qualsiasi forma di pienezza, a qualsiasi certezza e verità statica.
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Raffaele Piazza
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