Francesco Di Giorgio, La cruna lo spazio il tempo, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2017 pp.64, 10 euro
Prefazione di Francesco Muzzioli – Postfazione di Letizia Leone
La cifra estetico-stilistica che subito si impone alla lettura analitica di questo libro poetico è la dualità linguistico-formale con cui si misura Francesco Di Giorgio la cui ricchezza lessicale che sostiene le due sezioni (Nero di luce a specchio, La ballata della figlia della luna) che compongono questo originale lavoro, congedato come La cruna lo spazio il tempo, è un vero punto di forza della poetica digiorgiana in grado di gettare alle ortiche il balbettio poetico miseramente diffuso e la dislocazione grammaticale del dilettantismo dilagante.
Francesco Di Giorgio adotta il verso pensante, introduce il pensiero in poesia, fa poesia pensante, pensiero poetante, collocandosi sulla scia del De rerum natura di Tito Lucrezio Caro e misurandosi con i due fattori decisivi del vivere o se si vuole con i due fattori che suggellano la presenza dell’uomo nel mondo: lo spazio e il tempo. In quella che nella sua nota al libro ho sentito come icastica dichiarazione di intenzioni d’arte Francesco Di Giorgio scrive:«Nello spazio intermedio tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti si protende un margine di terra impercettibile, sottile, all’infinito, tra due mari tumultuosi. È la terra di mezzo dove s’incontrano le assenze, ma affacciarvisi porta allo slittamento della conoscenza in forme asustanziate in ideogrammi indecifrabili dove la percezione dell’essere si precisa nella privazione spazio-temporale e la comprensione del non-essere si attualizza nella certezza della sua assenza. La necessità di immergersi nei due mari per risalire al margine dal luogo delle forme e dal non-luogo delle assenze mi ha spinto a scegliere due distinte forme di scrittura, una poetica di stampo tradizionale, con la sua costruzione principalmente in endecasillabi, adatta a rappresentare il tentativo di portare a conoscenza assenze inconoscibili, e una in prosa poetica svincolata da qualsiasi forma metrica, in un contesto integralmente metaforico, adatta a rappresentare le assenze come presenze ineludibili alla comprensione dell’essere».
Meglio non poteva esser detta o dichiarata l’essenza della sua filosofia immessa in poesia cui Francesco Di Giorgio ha dovuto adeguare, a hoc parametrandolo, il suo registro espressivo; ben lo coglie nella sua lettura critica Giorgio Linguaglossa quando così chiosa: «[…] Di Giorgio intende la poesia come discorso sull’essere e come domanda fondamentale della metafisica già heideggeriana sul senso dell’essere: perché l’essere e non il nulla? È evidente che data questa impostazione, lo stile richieda una dissertazione para filosofica, una terminologia di origine filosofica e uno stile parametrato sull’astratto[…]».
Esemplari sotto questo aspetto appaiono questi versi di Di Giorgio: “Quando la luna regalò in fragore/ gli ultimi bagliori, fluidi nel vortice/dentro l’imbuto, lampi in filamenti/ d’argento catastrofici piombavano./ Scalava l’ultimo sciamano il palo/degli dei, ma anche Apollo, facitore/ del sole e della morte, raggelato/ fissava Ecate e il senso del suo regno.”
Autore della colta e competente prefazione, Francesco Muzzioli scrive:«[…]la poesia filosofica, se vuole vederci chiaro su quei presupposti che sono il tempo e lo spazio, deve andare oltre i margini del quotidiano, abbandonare l’io e il suo preteso vissuto».
E Francesco Di Giorgio scava nella «condizione ontologica» dell’uomo contemporaneo, avvalendosi di quell’arte che amo definire la «poetica dell’archeologo» e di quell’altra arma che direi «l’estetica della parola implicata», (quella estetica che in Tomas Tranströmer tocca il suo acme e che è stata in grado di rivoluzionare la poesia europea contemporanea), ma senza perdere di vista quel fare poetico secondo il «metodo mitico» che, introdotto dal T. S. Eliot dei Quattro Quartetti, ha trovato largo impiego nella poetica del Modernismo occidentale. Lo suggerisce nella postfazione Letizia Leone che sui versi di Francesco Di Giorgio scrive: «Una poesia dalla forte connotazione orfica[…] l’autore rivaluta pienamente la peculiarità “poietica” della poesia, il suo “fare”, il dare una forma all’informe cristallizzando l’incerto caleidoscopio dei sensi in immagine[…]».
Né vanno tenute sottotraccia le citazioni di filosofi e poeti (Rilke, Parmenide, Wittgenstein, Baudelaire, Empedocle, Heidegger , Eraclito, Einstein e altri) che Di Giorgio adotta come epigrafi alle poesie delle due sezioni del libro e che il poeta affida ai lettori come «segnali luminosi» di un percorso comune con le parole dei grandi spiriti-guida verso l’enigma del vivere, costeggiando insieme, poeta e lettore, quello che lo stesso Di Giorgio chiama in un riuscitissimo testo «Enigma della Kore».
Poeta pensante, Francesco Di Giorgio in tutto il libro non smette mai di porsi e di porre domande, senza mai aspettarsi le risposte. Da sognatore di fiamma, secondo l’idea di Gaston Bachelard, in una sorta di rêverie Di Giorgio «unisce ciò che vede a ciò che ha visto» e nella fusione di meditazione, memoria e immaginazione entra nella “cruna”, entra cioè nel mondo dei poeti pensanti, della poesia che pensa. Entra nella «poetica della fiamma» dove lo spazio si agita e il tempo vacilla.
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Gino Rago
Francesco Di Giorgio, La cruna lo spazio il tempo, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2017 pp.64, 10 euro Prefazione di Francesco Muzzioli-Postfazione di Letizia Leone-
RispondiEliminaHo dimenticato di segnalare che il libro poetico di Francesco Di Giorgio, La cruna lo spazio e il tempo, presenta in copertina l’opera Squarcio n. 1(cm. 39x54), tecnica mista) di Giuseppe Gallo.
Il quale mi ha inviato questa e-mail che secondo me merita di essere menzionata:
Carissimo Gino Rago,
Francesco (Di Giorgio) e io siamo amici da una vita. Da giovani abbiamo lavorato insieme in un gruppo di ricerca poetica "FOSFENESI", che tentava di mediare fra le varie espressioni artistiche, dalla immagine fotografica e filmica, alla rappresentazione della parola sulla pagina e attraverso anche il corpo del poeta... Avevamo elaborato il concetto di "Egofonia" con testi da rappresentare a teatro. Infatti "Metropolis" è stata rappresentata al Teatro dell'Orologio di Roma... Poi le vicende personali ci hanno portato su strade diverse... Francesco è un poeta robusto e di forte impatto... Mi fa piacere che uno come te ne riconosca il valore.
Ho contattato Franco Arcidiaco e ho dato il tuo indirizzo, mi ha promesso che in settimana ti invierà il numero di Calabria Letteraria (con le tue riflessioni su Arringheide…)
Giuseppe Gallo