Giulio Marchetti : “Specchi ciechi” – Ed. Puntoacapo – 2020 – pagg. 48
Le fulminazioni che il giovane Giulio Marchetti riesce a realizzare in questi brevi componimenti poetici, tutti arroccati su di una superficie pungente che dilania il pensiero, sono vertigini musicali che il preconscio sforna in una valanga di colorate sentenze.
Il vuoto che circonda le figure, che affascina con la illusione di un dopo, che attrae nella espansione della parola, quasi gassosa ed eterea certamente, è un vuoto che possiamo tentare di riempire con il nostro sentimento, con l’ascolto del nostro battito cardiaco, con la premura di una strana e non volubile certezza che anche lo sbandamento può diventare premura per continuare a urlare.
“C’è
– per amore del silenzio –
chi non grida
neppure la sete.
Ma il silenzio è breve
come tutti i sogni
vulnerabili
alle parole.”
Anche il silenzio appartiene alla nostra quotidianità, ma nel silenzio ogni tentativo di presenza deve essere imposto con garbo e carezzevole premura, così che la natura possa evaporare nella spuma di nebbie. Così il centellinare tra l’assoluto ed il fragile, tra il tracciabile ed il rintracciabile, il ritmo della parola incalza come per luminosità improvvise, inclinando il raggio tra il profondo della sensazione ed il riflesso dello specchio, molte volte, come scrive il poeta, specchio cieco, incapace di ripeterci il visibile, nel mentre la solitudine diviene lacerazione e percezione, sino a farci urlare: “… Per quale ignavia/ funesta/ siamo soli (come topi/ dentro le scatole/ dei laboratori)?/ Avanti:/ c’è tutta la vita per vivere/ e un istante/ per morire.”
I frammenti sono “bruciature dell’anima” nell’illusione di trasformare “sassi in altre forme”, quasi a plasmare la natura in un mosaico di luci ed ombre, capace di abbagliare il nostro tragitto avventuroso.
ANTONIO SPAGNUOLO
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