Marica Larocchi – Solstizio in cortile---Puntoacapo – Pasturana (Al) - 2019 - pagg. 65 - € 9,00
Lombarda ma di madre slovena, Marica Larocchi è poetessa, narratrice, traduttrice e saggista. Vive e lavora a Monza e collabora a diverse riviste italiane e straniere. La raccolta che prendiamo in considerazione in questa sede, Solstizio nel cortile, è costituita da poesie verticali e armoniche, suddivise in scansioni che sono sequenze più o meno lunghe, i cui componimenti sono numerati. Nella raccolta, compatta dal punto di vista espressivo, riscontriamo una forma composta e composita dei versi, che sono ben controllati scattanti e precisi. Nella poesia, che apre la raccolta, intitolata Retrovisione, incontriamo sospensione e vaghezza: - “Del luogo/ non si aveva memoria/ benché vi aleggiasse/ la cappa di una gloria/ virtuale/ come un nembo/ che studi ma senza/ fragori. Si stava/ lì tra i cigli di un/ crepaccio interiore…”. In questa poesia viene detto un luogo indefinito di cui non si ha memoria è di cui ogni riferimento resta taciuto e i versi, come in quasi ogni poesia della raccolta sono brevissimi, formati da due, tre parole o anche da una sola parola. I componimenti di Solstizio nel cortile sono molto concentrati, scabri ed essenziali e molto infrequente è l’aggettivazione. È presente, in essi, una forte densità metaforica e semantica, un tono che tende all’astratto e all’indistinto e tutto il discorso è pervaso da un senso di forte mistero. I versi sono, talora, gridati e procedono per accumulo; in essi è presente un quotidiano rarefatto che si rivela in epifanie improvvise. Sono poesie, quelle della Larocchi, poesie caratterizzate da una notevole visionarietà. Nelle tre poesie iniziali il tempo è al passato e lo “scenario”, sotteso ai versi è una strada, o forse un’autostrada, pur non essendo assolutamente questa una poesia on the road. Incontriamo, spesso, nel tessuto verbale, frequenti accensioni e spegnimenti, nell’urgenza del dire. Non è quella della Larocchi una poesia di facile lettura in quanto è molto articolata ed è caratterizzata, a livello linguistico, da un forte scarto poetico dalla lingua standard. Ogni sequenza può essere letta come un poemetto piuttosto breve e i vari poemetti sono parte di un’opera o di un poema più vasto. Le sequenze sono intitolate Retrovisione, Solstizio in cortile, La linea della vita, Lascito, Immacolata Concezione, divisa, a sua volta in Nella grotta, Al pascolo, L’apparizione e L’annuncio, Zanzibar, Bellerofonte, Alicada e La visita. Dalle poesie emerge un forte scavo interiore e, molto spesso, è centrale la presenza di una voce poetante che sembra esterna ai versi, voce vagamente paragonabile ad un’eco. È, in tutto il contesto, presente una certa magia che, con un forte senso onirico, traspare attraverso la parola, insieme ad un senso misterico di spaesamento. Il ritmo è molto ben cadenzato, anche per l’eterogenea lunghezza dei versi ed è presente una certa musicalità. Nella sequenza eponima s’inserisce, rispetto alla sequenza suddetta, la presenza di un io-poetante in tre poesie icastiche e cariche di pathos: leggiamo la poesia n°1 di questa sequenza: - “//A lungo ho sperato/ che fosse un volo/ lasco e poderoso/ sopra l’immenso/ brulichio di larve. // Invece è questo/ tuffo molle/ di starna, d’anatra/ muta e di svasso/ in parata dentro/ i crepacci della memoria, / e che riemerge adagio/ con l’infanzia nel becco. //”. Si tratta di un testo molto profondo in cui il volo potrebbe simboleggiare un costante anelito verso la felicità, anche attraverso la parola poetica, attraverso il poiein stesso. L’io poetante afferma di aver sperato in un volo maestoso e felice sopra delle larve, che simboleggiano il male e quanto c’è di brutto nella vita; invece il volo è un tuffo molle dentro i crepacci della memoria; qui più che memoria sembrerebbe un senso di nostalgia, visto come “dolore del ritorno”; una poesia simbolica, dunque, nellla quale viene immaginato un cortile, come teatro di voli di uccelli, voli che rimandano ad altro. Bella anche la seconda poesia di questa sequenza: - “//Pensieri a sciami sono nella cova/ tra licci di/ un’antica fame, / già pronti a divorare/ accenti e toni. // Oggi mi accoglie/ soltanto la cinica/ risacca d’alghe/ riepilogative, / se l’oracolo/ mentitore/ impone ai presagi/ di sprangarmi il cielo. / Restano poche/ spine nel crampo/ della luce//. Nell’incipit di questa poesia i pensieri vengono paragonati a sciami, con una metafora di montaliana memoria: c’è in questa poesia un mescolarsi di parole come pensieri ed elementi naturalistici, come le alghe che divengono riepilogative, in un contesto turbinoso di cieli sprangati e spine del crampo della luce, spine, appunto, simbolo di dolori, anche se collocabili nella luce, una luminosità che tende, presumibilmente, a lenirli. Nella sezione intitolata Le linee della vita, c’è un tu al quale la poetessa si rivolge.-“Forse altrettante cuspidi/ si annette il sogno/ se l’occhio arretra/ oltre le quinte/ dove anche Troia,/ percorsa in torpedone,/ ci accorda magri/ scorci della sua/ scomparsa.// Sbadato!/ Che non ti sei/ accorto dei veli, degli orecchini/ nascosti…/; c’è qui, oltre al tema della sognante contemplazione turistica della città, quello di un dolce erotismo nel citare gli orecchini e i veli nascosti, che il “tu”, non riesce a scorgere.. Complessivamente si può affermare che la cifra fondamentale di Solstizio in cortile, è quella di una scrittura neo orfica, scrittura che si esprime attraverso immagini molto concentrate che, in un incessante fluire, s’incastonano l’una nell’altra. Si tratta di una materia luminosa e magmatica, quella che la Larocchi ci offre, originale nel suo darsi al lettore, in una ricerca tesa ad un esercizio di conoscenza, attraverso la parola poetica, che procede per continue approssimazioni a una cosa che sembra imprendibile nel tempo, come la feritoia di un attimo heidegeriano.
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Raffaele Piazza
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