Gino Rago, I platani sul Tevere diventano betulle, Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2020,
pp. 176, E. 12, Saggio introduttivo di Giorgio Linguaglossa, Postfazione di Rossana Levati
Retro di copertina di Giorgio Linguaglossa, Copertina elaborata da Lucio Mayoor Tosi
I platani sul Tevere diventano betulle (Ed. Progetto Cultura, Roma, 2019) è un libro poetico di 5 sezioni. In ciascuna di esse Gino Rago affronta temi ben individuati, direi imprescindibili al modo ‘nuovo’, di sicuro un modo “altro” di tentare di far poesia, un modo teso verso nuovi paradigmi estetici e verso nuove basi ontologiche.
Nella Sezione 1 il poeta si confronta con il Vuoto, con il tempo, con gli scampoli, con gli specchi, con gli stracci, con la plastica, con le piazze-agorà.
Nella Sezione 2 stabilisce una sorta di dialogo a distanza con alcuni dei poeti-fiaccole sul mio nuovo cammino poetico (Tranströmer, Rózewicz, Herbert, Linguaglossa, Pessoa, Kristoff, Mandel’stam, Achmatova, De Palchi, Pecora, A.A.Alfieri, De Robertis, Brodskij, Seifert).
Nella Sezione 3 il poeta Gino Rago si misura con il tema davvero arduo di Lilith, la prima compagna di Adamo che in nome di una sua idea di libertà rinunciò all’Eden.
La Sezione 4 è tutta dedicata all’epistolario del poeta con Ewa Lipska,
La Sezione 5 merita un’attenzione a parte, vi si affaccia il ‘metodo mitico’. Nella Sezione 5 de I platani sul Tevere diventano betulle viene affrontato il tema della guerra incentrato sul Ciclo di Troia, sulla storia scritta dai vinti e non più dai vincitori. Il poeta Pronuncia la sua parola sulla sorte delle donne quando sono ridotte a bottini di guerra. Nelle liriche, l’orrore si focalizza nella prospettiva delle vittime, dei loro corpi umiliati, spogliati delle loro identità. Gino Rago scrive: «Ilio in fiamme dunque è da intendere come luogo archetipico del saccheggio, della distruzione, dei crimini di guerra, della deriva di una terra devastata e di un popolo calpestato. Il destino dei vinti, né omerico, né euripideo, viene seguito nell’articolazione di una sorta di sfilata di tre figure femminili emblematiche: Andromaca, Cassandra e soprattutto Ecuba, su cui incombe il trauma della partenza verso un “altrove” di schiavitù e miseria, nella certezza che nessun tribunale di guerra potrà mai riparare la catastrofe di queste in cui i fantasmi del mito “ripetono e insieme rappresentano le atroci esperienze di vite offese e di corpi violati” , al di là dei confini dello spazio e del tempo, perché il mito antico è metodo per dare significato e forma alla caotica, altrimenti indicibile, realtà del presente». Da qui, il “metodo mitico”, nel poemetto espresso per “frammenti”. Cinque Sezioni diverse per temi e per lingua e sembrano 5 libri diversi confluiti in uno stesso volume poetico. Questo aspetto del libro di Gino Rago è stato acutamente colto e interpretato, come meglio non è possibile fare, da Giorgio Linguaglossa nella sua intensa nota critico-ermeneutica che appare come retro di copertina del libro. Linguaglossa scrive:«[…] Il risultato è uno stile da Commedia che impiega il piano medio alto e quello medio basso dei linguaggi, con gli addendi finali di continui attriti semantici e iconici, dissimmetrie, dissonanze, disformismi, disparallelismi… il principium individuationis è fornito dalla peritropè (capovolgimento) di un attante nell’altro, di una «situazione» in un’altra, di un luogo in un altro. Una autentica novità per la poesia italiana».
Nulla fu detto che non fosse transito veloce. Determinante avvio della coscienza bulimica in aerea sospensione. Giacque una infiorescenza di perduta allegria tra il petulare di primule tardive. A specchio denso, il mercuriale responso illividisce altra via. Se pur data all’umano lignaggio, la vulgata spira in sillabe e vaticinio. Responso dell’Arcano in limite adiacente il subitaneo silenzio. Fummo mai umani nel gloriare dell’insulso gesto a fine….
“Si abbracciano come due sconosciuti sull’abisso”.
I tuoi platani, Gino, trasmutano in betulle, alchimia del poeta delle ombre. Accede egli forse all’Ade, nel vuoto arrendersi di ogni specchio alla vita. Torneranno ad essere alberi nelle sere prossime al catarsi di un tempo degno di infinitezza, mentre ogni foglia cade e medita silenziosa. Avrà il nome di eteronimi, il poeta, nella Lisbona delle idee e porterà compassione poichè “i morti ai processi dei vivi si avvalgono sempre della facoltà di non rispondere”. Nell’architettura dei tuoi versi coabitano microrganismi mutanti che traggono linfa da tutti i passaggi
esperienziali, reazioni chimiche in dissolvenza, scissure del pensiero metafisico. Con grande delicatezza del sentire, ti dono le sensazioni del momento, in attesa di leggere l’intera silloge poetica.
*
Marina Petrillo -
Roma, 20/21 marzo 2020
“Guardate semplicemente la superficie…Lì sono io. Dietro non c’è nulla.” sentenziò Andy Warhol così come la ricerca Noe: profonda ricerca di superficie, volta a prelevare campioni in modo bulimico dalla realtà e i suoi scarti, dalla tradizione o dalla memoria storica e trattarli in una sorta di “passaggio di visione” ologrammatica ridondante e amplificata.
RispondiEliminaI versi di Gino Rago sono esemplari e memorabili in questo senso, nel senso di una nuova opera poetica che va ad arricchire la collana “NOE” il “Dado e la clessidra” di Giorgio Linguaglossa. Il mio augurio per tutti di una conviviale presentazione al più presto!
Letizia Leone
Leggo con grande ammirazione caro Gino Rago.
RispondiElimina…e solo tu sai quanto è vero.
Rasenta il piano, come un confluire di sostanza
che ci fa strisce pedonali dell’asfalto,
Il bricco disegnato sulla piastrella, l’ordine di un dipinto senza dimensioni. Si, la tua poesia sta
rasoterra come le stelle imprescindibili,
la via della resurrezione non ha dimensioni!
Con grande stima caro Gino Rago.
Mauro Pierno
In una delle più riuscite poesie delle oltre 100 poesie del suo libro, Gino Rago scrive:
RispondiElimina"La gioventù negli ori della Grecia e di Troia, gli dei che sono vivi solo grazie alla poesia…"
Il poeta trae vigore dalla consapevolezza della sua sussistenza, dalla capacità mai dismessa di procrastinare la realtà come nel genio di Kavafis… Una consapevolezza del poeta moderno e contemporaneo che sembra dire:
”E’ morta la poesia? Viva la poesia!”.
Sabino Caronia
Leggiamo questa poesia di Gino Rago dalla Sezione n.4 del suo libro poetico I platani sul Tevere diventano betulle ( 2020, Roma, Ed. Progetto Cultura)
RispondiEliminaLe città
Cara Signora Jolanda,
ieri ho fermato quell’uomo che mi tormenta.
Passa da qui ogni mercoledi,
mi fissa negli occhi e prosegue:
«Chi sei? Cosa porti nella borsa?»
«Sono un poeta. Nella borsa porto il mio destino
per indirizzi ignoti, letti d’alberghi, strade spaventate.
Anch’io avevo un nome ma non lo ricordo più,
il destino ha lasciato quel nome sull’acqua del fiume.
Nei caffè di Cracovia ora tutti mi chiamano
“il-poeta-santo-bevitore”.
Questo nome ora è il mio destino».
[…]
Se non a Lei a chi potrei dire
che le città che lasciammo ci inseguono.
*
Quasi cinque anni il poeta ha lavorato per realizzare questa sua opera poetica.
In questi cinque anni, Gino Rago è stato per me, suo lettore, un formidabile compagno di viaggio. E sempre mi sorprende la sua poesia, pure in questo gioco di pieno e vuoto che adesso si offre con certezza, quando scrive :
“Se non a Lei a chi potrei dire /che le città che lasciammo ci inseguono”.
Versi come questo io li chiamo i senza-tempo, anche se calati nel discorso, come per caso. O per meraviglia.
Lucio Mayoor Tosi