sabato 21 marzo 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROCCO SALERNO

Rocco Salerno, L' origine del fuoco, Caramanica Editore, 2014

" Ora non sono più il passato remoto
di inezie, d'attimi persi,
lo specchio infranto delle illusioni
cui attingevi le tue storie,
le tue rievocazioni ormai morte.
Ora guardo in faccia la realtà,
mi denudo al cospetto della verità. "
Con questi versi parascevici della stessa protasi inizia il poemetto in sei canti di Rocco Salerno, che riporta subito alla cosmogonia mitologica del pensiero greco, piuttosto che a quella della rivelazione biblica.
Pur adottando divinità tribali, antropomorfiche, aliene, in questo caso Prometeo, per spiegare l'origine del cosmo, della vita, la creazione o la forgiatura, la clonazione dell'uomo e della donna, simili agli dei, riesce subito a tradurre tutta la simbologia panteistica, in una dimensione cristiana.
I versi 1- 6- 15-23-27-31 del proemio, rafforzativi, anaforici, marcano il tempo al presente, nel necessario hic et nunc in cui il poeta e l'uomo si misurano, aumentando il divario con il passato, a volte funestato da esperienze forti, da non ripetere.
Il poeta esperisce una sorta di exeresi delle incrostazioni del male sul corpo, di Metanoia, di astinenza da ogni forma malefica, convinto che lo stato di perfezione possa essere raggiungibile anche nel viaggio terreno transeunte, ma è altresì convinto del bisogno latente di espiazione, per il raggiungimento di una salvezza personale, di una palingenesi.
A sancire la volontà di procedere verso un Dove, un divenire ignoto, di partire per avventure nuove è questo distico della chiosa: fresco, sinestetico.
" Ora s'allarga il mio mondo e suona di colori,
cavalli trepidanti sul selciato.
Salerno spinge e conduce il fare dello scrivere come urgenza e non per riempire fogli di belle parole, atte a soddisfare la mera vanità del " creare ".
Vive la poesia in modo liturgico, e non concede nulla ai demoni del prolisso costringendo il suo dire in un solco profondo da cui spuntare come fiore in primavera e farsi polline nell'aria sovrastante, per assurgere alla funzione di Mistagogo, pur non rivelando i suoi segreti.
I suoi versi si insinuano come lontane meteori nelle crepe della scrittura sempre pronta a preparare il terreno che accolga il buon seme.
Ipotiposi, ricercatezza e spontaneità, melodia e ritmo, cercano il volo leggero di Psiche, degli Elohim.
" Vieni ancora una volta a me,
questa volta, angelo delle tenebre
più abbagliante delle nevi.
L'invocazione al Malak delle scritture ebraiche, all'Akero miceneo, al Sukkal mesopotamico, all'Angaro persiano, all'Aggelos dei greci, all'Angelus dei latini, all'ermetico Eone degli gnostici, all'Atomo di Leucippo, di Democrito, alla Monade di Pitagora, di Platone, di Leibniz, al Messaggero dei Vangeli, si fa costante presenza, tentativo di relazione con il Pleroma, ma l'atmosfera dialogica instaurata con l'angelo, che assume sembianze umane, carnali, con relazioni anche erotiche, viene spesso sostituita con un salutare solipsismo, dove la meditazione si fa profonda e scandaglia gli angoli oscuri dell'essere, per sfuggire agli errori dei primordi.
" Grido ancora una certezza, invoco il sale
sulle mie purulente piaghe
muto testimone di un evento
aperto al Vento incostante della mia tenera età
La magnifica similitudine dei versi 7 e 8:
" come un lago silano
sulla mia anima
ci porta all'oasi di purezza che si può trovare solo nelle acque dei laghi dell'altopiano silano, in Calabria, nei pressi di Cosenza, e crea un'atmosfera di pace in cui il poeta vuole identificarsi, alle cui fonti primigenie, abbeverarsi.
È un hapax legomenon che sintetizza una necessità insostituibile di essere ciò che si è, dove si è, e basta...
Versi ariosi che simulano galoppate di giovani giumente librate nel loro tenero e selvaggio scalpitio, accolte tra il vento, sull'erbe verdi di vaste praterie e gitani e cavalli lorchiani pervadono l'opera di Salerno.
"E sulla nuca dei tuoi capelli
costruivo il mio impero
e annusavo certezze
respirando il vento della mia terra,
la certezza.
Strade desolate che battendo sputai
nella speranza di poter rinascere,
ritrovare l'identità.
( Canto 3 da 50 a 57)

Nugoli di versi mirabili, dunque, si annidano, serpeggiano e aleggiano nell'originale poemetto di Salerno, versi connotati da un grande "scarto poetico”, che non hanno nulla da invidiare al giovane poeta delle Ardenne, versi che scavano solchi profondi, che esplorano gli angoli stregati della carne, del vizio, sino al caldo fetore delle viscere, per poi risalire verso gli orli merlati della purificazione, dell'Assoluto, dello Spirito.
" Devo trovare la scorza verde dell'Albero,
aprire il poro perché respiri il giorno,
tendere agguati all'erba che dimena
il suo Essere perenne,
scalcinare quest'intonaco che serva
come un sudario
una vecchia immagine sempre protesa
al Cielo.
*
La poetica di Rocco Salerno è sempre sospesa nel tesissimo arco tra l'essere e il suo divenire e trae linfa vitale da tutti i wordsworthiani stadi evolutivi dell'umanità: fanciullezza, maturità e vecchiaia, nutrendosi di una forte e salda speranza.
In tanti suoi versi è presente un caldo dolorante nostalgico Spirito ungarettiano, il "naufragio interiore", ma anche la recondita certezza di una Terra Promessa, di un approdo salvifico in un porto dove anche le navi alla deriva, quelle più malconce, lungamente straziate e sciabordate da tempeste e da venti funesti, da corsari e da pirati, possano trovare un sicuro appiglio, un rifugio.
Il senso ultimo, escatologico, confluisce in una Resurrectio che trasforma e ridà un senso ai patimenti, alle angustie dell'esistenza terrena, plasmando il corpo nuovo, finale.
"sento che s'aprono nelle mani orizzonti disfatti
si contorcono come linee sinuose e si prostrano
dinanzi alla parola”.
Trasgressioni, dispersioni entropiche, ammutinamenti della carne e della mente, ammaraggi, spiaggiamenti, indugi, simulazioni di eterno, attese logoranti, il Prometeo ribelle, che sfida il Padre, va via via divenendo mansueto e l'impeto della giovinezza si stempera per fare spazio alla contemplazione, ricercando con sempre più urgente palpabilità un " Piacere catastematico" e non " Cinetico", come in questo trittico di chiusura del VI e ultimo canto, di sapore foscoliano.
"Trovare che tutto è candida illusione
candido smeraldo in questa lunga cappa
che ci sovrasta ".
*
Biagio Propato blasius

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