mercoledì 1 aprile 2020
SEGNALAZIONE VOLUMI = ROCCO SALERNO
Rocco Salerno, Nonostante questo, Macabor Editore, 2019
Rocco Salerno, narrando una sua storia personale reale, vissuta in tutte le sue passioni, i suoi intrighi, i suoi aspetti angelici e demoniaci, ripercorre i grandi topoi di ogni letteratura: da quella biblica, il Cantico dei Cantici, o Re David e Betsabea, a quella mitologica, Euridice e Orfeo, da quella Latina, Lesbia e Catullo o Leuconoe e Orazio, da quella Shakespeariana, Romeo e Giulietta, a quella più recente russa, Majakovskij e Lilya Brik, e racchiude nel concentrato poemetto contemporaneo, in sei canti, dal titolo "Nonostante questo", tutta l'eredità giuntagli dal passato, allungandone il respiro sacrale, epico, lirico e teatrale, traghettandone infine la forza millenaria nei suoi versi e verso i suoi lidi.
Parallelismi rafforzativi quali: "Io che ho cercato in ogni dove il tuo amore, / io che interi ho vissuto i tuoi giorni solo in sogni, / io che il colore dei tuoi occhi ho bevuto goccia a goccia” / Atmosfere surreali, bucoliche, visionarie, eleganti: "Carico le dita di deliri./ M'avvio in un giardino di gelsomini / ove occhi di sfinge mi fissano / e mi indicano che l'alba è vicina. / Statue pietrificano il mio sguardo. / Najadi scompaiono tra i ruscelli, / silvani che incuranti danzano.”/ Similitudini simboliste lodevoli: "Mi rimane il sudario della tua guancia / mi rimangono i tuoi occhi di leopardo,/ Ma il tuo viso come la luna fugge.”/ Espressioni secche:
"E ti rinnovo ogni giorno.”/ Allungate: "Ed io ti parlo di un infante che attendeva la sua alba.” / Ossimori, sinestesie e catacresi: "Mi rimane l'alba,/ la tua carne di acqua/ fra le mani.”/ Danno luogo a una versificazione mai statica, ma inserita in un diacronismo continuo, pregnante e singolare, per tanti aspetti, vicina al Cantico, per altri, vicina al poemetto "Di questo", di Vladĺimir Majakovskij, da cui Salerno trae ispirazione.
Tutti questi aspetti già si evincono nei versi paesaggistici di apertura del primo canto, che impostano le sequenze in uno scenario interno dove si consumano i sogni di un amore che, lontano da ogni linearità, sfocia in mari tempestosi, aperti a insidie e incertezze, generando un lamento che va oltre i righi di un pentagramma che ingloba note distoniche, disadorne.
" I gridi sono appesi agli infissi,
si sono persi nei cortili.
Le pareti non riconoscono più la nostra storia.
Eppure cola sangue
dal letto, dalla radio, dall'amaca.
Cola sangue dalla mia mano
aperta ai fremiti della tua carne,
alle furie invernali."
Il triangolo Vladimir Vladimirovic Majakovskij, Osip Maksimovic Brik e Lilya Jur'evna Brik, di Via Zhukovski, a Mosca, si ripete, in modo non eclatante, ma verosimile, nella casa in Via Tiburtina, a Roma, negli anni Settanta, tra il poeta amante (R) e la compagna (A) del suo amico poeta (B), producendo materiale inedito e autentico nelle temperie letterarie italiane di fine Novecento e inizi del nuovo secolo, "nonostante questo" ...o quello che sarà vissuto nelle sfere di un isomorfismo senza frontiere, senza censure, senza inibizioni: apolide.
" Questa notte che è una notte piovigginosa,
questa notte in cui si confondono idilli e disperazione.
Mi rimane sulle mani il sudario della carne;
mi rimangono gli occhi appesi alla fonte dei sogni."
Nel secondo canto si assiste a una sorta di abbandono scandito da un rintocco lorchiano come ne il
" Lamento di Ignazio":
" Me ne vado./ Ti lascio benché le braccia/ mi si contorcano come rami/ al solo guardarti”/ “Ti lascio/ immemore del passato”/ “Ti lascio, fanciulla/ non consumata come pomice dal fiume.”/ “Ti lascio. / Tu continua il viaggio tremando/ negli occhi d'altri.”/ “Per questo ti lascio./ Ho perso il conto dei giorni/ non serve il conto dei giorni;/ non servono nemmeno i sogni,/ non ho bisogno più dei sogni./ Me ne vado."/
Nella terzina, sempre dello stesso canto, il poeta diventa il Dotto Chimico, il Demiurgo che crea e ricrea universi nuovi, dipinti policromi in cui far sbocciare e confluire le sue creazioni in un afflato rigenerante, dove la dicotomia tra i due stati fisici carne - acqua, si fonde in un regno eslege ossimorico, facendo scomparire ogni forma di legame strettamente materico, nel groviglio di un Tempo mutevole, surreale e metafisico:
" Io tramuto il filo d'erba in una foresta,
confondo la tua carne con l'acqua,
dipingo sghimbesci di uccelli sul verde”
Nel terzo canto l'Io ripiega su se stesso e l'iperbole si attenua in un processo di autocommiserazione, dove il poeta trova rifugio. La realtà prende il sopravvento sulla teatralità e il ritornello della sconfitta scorre insistente come goccia d'acqua sulla testa, per ricordare che qualcosa non è più come prima e che l'idillio potrebbe trasformarsi in un quadro tragico.
" Non ditemi che era tutto finalizzato."
" Me ne vado!"
" Sono stato.
Sono un cane bastonato.
Sotto la pioggia
che cerca riparo.”
“ Sono un cane bastonato
ad ogni angolo;
ad ogni urlo della notte
all'addiaccio.”
" La luna fugge."
L' invocazione di aiuto alla madre come in Majakovskij diventa un momento di pura intimità, di voglia di ritorno al grembo, dove stare al sicuro dai pericoli della vita. Lo stato in cui versa il poeta è di totale annullamento e il senso dell'abbandono prende piede nel cuore e nella mente creando forme di autolesionismo che, grazie all'ausilio della Poesia, vengono lasciate nel paniere delle cose inerti. Il senso del vuoto si fa enorme. La vanità scompare. La confessione prende il posto della declamazione sostenuta e teatrale in questa scena che rimanda all'immagine di Maria e Gesù di Nazaret. La madre corporale diventa altro. La madre di tutti. La Grande Madre, in grado di ascoltare ogni grido di sofferenza umana.
" Mamma.
Mamma, tuo figlio è stato folgorato.
Non ha più dove posare il capo.
Non ha dove arrestare questa morte,
dove fermare questi sogni.
Le tue braccia non sono più barche,
Il mare è solo una bara,
ogni angolo è un dirupo,
al balcone non si affaccia la luna."
Una volta staccato il cordone ombelicale si entra nel campo dell'esperienza. Non è possibile un ritorno alla condizione prenatale senza aver prima esperito tutto ciò che vi è da esperire. Il mondo dove si naviga non è più il mare sicuro delle acque materne e la barca dell'esistenza è piena di buchi, cerca un porto, ma non è sicura dell'approdo. Il ritorno alle origini, dopo aver a lungo navigato, come Odisseo, o il ritorno ancor più grande della Parola, al suo principio, sono il fine ultimo del vero navigatore.
Tutto si ricongiunge, dopo le disarmonie, anche quando i pensieri diventano frutti negativi che vorrebbero allontanarsi dalla via che porta al Riposo, al bisogno mai assopito, esaurito, di Eden.
Più volte il Tevere mi tenta.
Le sere invernali sono fauci
e la fiamma del focolare non mi rischiara
e mi conoscono solo strade
e non ho un petto su cui riversare
Il mio veleno.
Mamma.
Il quarto canto inizia con un set esterno, le cui sequenze si susseguono in un alternarsi di sguardi plebei e di epifanie della donna - eroina del quartiere, presenza attesa presso il Bar di Quinto e i suoi fratelli, luogo di incontri e di scontri, di barricate, di sogni di una generazione di iniziati, all'angolo di Via Tiburtina, Via dei Sardi, l' attuale "C'era una volta il Caffè".
" Verranno fra un istante
i giovani al bar
ghignanti
che fra i loro denti
è già la tua carne,
sguinzagliati
nel volerti vedere ancheggiare,
nel volerti strusciare.
Fermi.
Vi farò fuori
come il tuono
solo con l'incendio (la grazia) della parola.
Non toccatela."
Nel set interno, nell'appartamento al 126 interno 4, si svolgono gli orditi, le discussioni e gli approcci fuori dagli sguardi della plebaglia, a cui il poeta ordina in modo perentorio di non guardare l'amata, di non desiderarla e di rispettarla, vedendola come Dante vede Beatrice: "Tanto gentile e tanto onesta pare/ la donna mia, quand' ella, altrui saluta,/ ch'ogne lingua deven, tremando, muta,/ e li occhi no l'ardiscon di guardare."
Amore teatrale, materico. Amore che non riesce a prendere il volo oltre i sensi, verso la quinta stagione agognata dai Puri. Amore impantanato nella zavorra che trascina verso il basso, mentre il poeta vorrebbe condurre l'essenza tangibile, anche nei campi beati dell'etere.
" La stanza
è un capitolo dell'inferno di Krucenych.
Accanto a questa finestra
per la prima volta,
in estasi, carezzai le tue mani.
Ancora un giorno,
e mi scaccerai,
coprendomi di ingiurie.
Non c'è letto per te."
Per Salerno, (A) è la musa, come per Charles Baudelaire La Vergine Nera, Jeanne Duval, ritratta dal pittore E. Manet, di cui l'autore de "I fiori del male", si era invaghito, ricercando in lei l'amore come attimo di fascinazione, la bellezza piena di pericoli, la sensualità insita nel mistero... E tutte queste attrazioni fatali gli ispirano versi assoluti e potenti, come questi della poesia "Profumo esotico".
" Guidato dal tuo profumo verso climi che incantano,
vedo un porto pieno di alberi di vele
ancora affaticati dall'onda marina,
mentre il profumo dei verdi tamarindi
che circola nell'aria e mi gonfia le narici,
si mescola nella mia anima al canto dei marinai."
Le storie si evolvono. Mutano i tempi. Mutano le atmosfere. La letteratura segue il suo corso nel letto a volte freddo, a volte tiepido, a volte scottante di Muse che non si concedono come nel passato, ma stentano a farsi luce nelle notti insonni che trovano il poeta davanti al calamo, per iniziare navigazioni misteriche.
Tante cose malefiche si fanno per l'amore, ma l'amore, se è amore, non può contenere cose malefiche, né farle nel suo nome. Re David, fulminato da Betsabea, intravista nuda da una finestra, fece in modo che Uria, marito di lei e capitano del suo esercito, andasse in una battaglia senza ritorno, per liberarsi di lui. L' amore non può desiderare, né produrre morte. Re David, unto di Adonai, pagò molto cara per questa sua trasgressione.
L'amore dei poeti non segue un sentiero facilmente praticabile, anzi cerca labirinti in cui perdersi per poi incontrarsi in forme nuove, trovando sempre la via di uscita e nel riemergere dall'esperito affida ai versi e al vento i suoi sospiri per sottrarli alla sicura disperazione delle storie quotidiane periture.
Tutto ciò dà un senso alto al respiro dell'umanità che annaspa giorno e notte sulle strade più impervie, nella più totale dissolvenza. Rocco Salerno è consapevole della funzione della poesia e cerca di piegare la sua penna al suo servizio, elevando vicende e sentimenti personali a una sintassi comune, universale.
" I sing and celebrate myself/ and what I assume, you shall assume,/ for every atom belonging to me,/as good belongs to you./ I loafe and invite my soul,/ I Lean and loafe at my ease/ observing a spear of summer grass./"
"Canto e celebro me stesso/ e ciò che io presumo, voi dovete presumere,/ perché ogni atomo che mi appartiene/ appartiene anche a voi./ Io ozio ed esorto la mia anima/ e mi chino a osservare un filo d'erba estivo./
Scriveva Walt Whitman nel suo capolavoro Leaves of grass.
Il giovane poeta di Roseto Capo Spulico, negli anni Settanta, dell'università, a Roma, San Lorenzo, avverte che la sua intimità è anche collettiva e sa che ogni esperienza umana è importante e va raccontata, ma sa anche che ciò che conta non è solo raccontarla, bensì il modo in cui la si racconta. Raccontarla bene.
Così nel quinto canto continua il suo viaggio interno-esterno con un incipit inusuale di tre verbi delimitati da un punto categorico, che si susseguono come un ritornello, un "Never More", nelle vie della capitale, nelle vie della psiche, nelle vie del suo cuore.
"Salivo, scendevo, inseguivo.
Mi sedevo all'ingresso del bar;
guardavo macchine sfrecciare,
alberi svettare.
Fra il fumo, fra l'alcool al bar
m'apparivi sovrana;"
Come per il poeta della rivoluzione russa, l'equilibrio della triade diventa difficile da gestire, mantenere, anche tra il poeta amante ( R), l'amata (A), compagna del suo amico poeta (B), comincia a calare un manto, sotto cui si nascondono le debolezze insite nell'uomo sin dal momento della sua nascita.
L'amico (B) del poeta amante (R) aveva sperimentato, in quei tempi di grandi rivoluzioni, di promiscuità e di condivisioni, che si potesse amare, e in egual misura e intensità, una o più donne allo stesso tempo, ma ciò restava una prerogativa per i soli artisti, i poeti: la realtà quotidiana non riusciva a digerire e a sopportare un tale peso, insolito e gravoso.
" Dicevano: "Finirà; è troppo infuocato, si stempererà.”
Dicevi: “Finirà; è troppo grande.
Tanta poesia non si può espandere in tre anime.
Una deve morire, morirà.
È troppa la poesia,
sono troppi i gridi,
troppo l' infinito.”
“Salivo, scendevo, inseguivo."
" Il poemetto è un delicato dialogo intorno all'amore e nell'amore si incatenano le tre figure protagoniste di questo allettante intreccio sentimentale, esploso tra le mura indiscrete del rifugio e le tentacolari ramificazioni del tradimento", scrive con grande profondità e intuizione Antonio Spagnuolo, nella sua postfazione.
L'argilla, con cui quest'opera è sapientemente impastata, comincia a diventare sempre meno duttile, meno plasmabile a proprio piacimento e il poeta-creatore si accinge a valutarla nei suoi effetti; sente che l'atmosfera magico-realistica sta per svanire, sta rarefancedosi interamente. Ciò che resta è impalpabile, scivola dalle mani e non trova siti stabili su cui posarsi come capitelli adornati da acanti sui corpi plastici di usurate colonne corinzie.
" Fu una fiaba.
Fosti una fiaba.
Come una fiaba terminata
mi lasciasti l'incanto,
un regno da imperare
senza sovrana."
In questo sesto e ultimo canto, dove c'è una sorta di commiato del poeta amante (R) alla compagna (A) del suo amico poeta (B), le parole diventano ancora più pregne e dense, poiché l'avventura volge verso esiti non desiderati e la sagoma del vuoto e dell'abbandono si staglia davanti agli occhi impedendo la visione.
"E verso la fine, i due amici lontani si incontrano di persona, senza più infingimenti", scrive giustamente Barbara Alberti nella prefazione.
Con il poemetto "Nonostante questo" Salerno ci ha condotti piacevolmente nel suo viaggio precipuo, sidereo e terrestre e in quello di Majakovskij, surreale, teatrale, dimostrando che possono esistere storie parallele di vita e di letteratura, la cui attualità non è legata al tempo e al luogo in cui sono avvenute ma all'emozione viva che riescono ancora a trasmettere, nonostante il tempo, nonostante le distanze, nonostante l'entropia... "Nonostante questo".
" Ma tu ricordami come un sogno
che ti scoppia negli occhi.”
…
“Majakovskij pende ancora dalle labbra di Maria.
Nonostante.
Il mio sguardo
nei vostri occhi
s'è fermato,
s'è incendiato.
Nonostante.”
*
Roma, 22 marzo 2020
*
Biagio Propato blasius
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