POESIA = BRINA MAURER
*
“Ho ucciso”
Le 4 del mattino,
un’autostrada deserta,
io accanto al guidatore,
colti di sorpresa,
immersi nel buio che tutto ingoia.
Occhi atterriti all’improvviso,
i nostri,
i suoi,
- calamita contro calamita -
un gatto - ombra reale -
seduto al centro della carreggiata
e da noi (subito?) investito.
La mia bocca un urlo atrofizzato,
incapace di far uscire sillaba rantolo parola.
Perché non ho detto niente non ho gridato
non ho imprecato,
richiamando attenzione?
Vie nervose in tilt,
sangue freddo rappreso in un grumo di ebetudine.
Afasia,
cui è sempre condannato l’animale
da chi l’ha voluto indifeso.
In un lampo già il lutto
- lutto in pieno petto -
il cuore in folle
(non è possibile la retromarcia,
né spaziale, né temporale),
e stridore di invisibili graffi
sui vetri dei fanali.
Nessun segno sulla gelida carrozzeria,
eppure sento ancora quel sussulto,
quel corpo ancora caldo sotto di noi,
ricordo che come sciabolata di luce putrida
mi fa chiudere gli occhi,
abbassare lo sguardo.
Io,
assassina.
Per giorni sotto shock,
confidandolo a tutti.
Cercavo un tribunale cui affidarmi,
una cella in cui nascondermi.
“Capita”, ti dicono.
Capita? Capite? Capita.
Succede.
E aggiungono: “è successo anche a noi”.
Anche a noi?
Lo stesso gatto?
Eh sì, hanno sette vite, i gatti…
Non è tornato a casa.
Forse una casa non ce l’aveva.
Per alcuni già questo è un buon motivo
per non avere un aldilà.
Solo chi è fatto oggetto di preghiera
avrà dignità di salvezza, secondo loro.
Voleva suicidarsi,
mi ha detto, una gattara.
Un gatto non sta fermo in attesa di farsi investire,
se non sta male,
se non vuole morire.
Era malato e lui lo sapeva.
Non ci ho creduto nemmeno per un istante.
Quel tentativo di assoluzione,
reiterazione del delitto.
Potevi, come un buon insegnante di Scuola Guida,
azionare il freno per me, per noi,
e non lasciare che un innocente pagasse
il prezzo dell’assurdo,
non per un’altrui distrazione,
bensì per un’incapacità di dovuta, immediata reazione.
Potevi e non l’hai fatto.
E per questo ti o-dio.
E non assolvo me stessa
e non assolvo chi come me ha causato la fine.
Anche se non è la cosa peggiore.
Poteva esserci la sopravvivenza con grave menomazione.
Perché bisogna difendersi dalla vita,
non dalla morte.
Nessuna targa in marmo
per i martiri della strada senza nome,
senza parola già in vita.
Se hai sbagliato e la coscienza brucia per l’eternità,
non cercare di assolverti e non assolvere nessuno,
per evitare di essere a tua volta giudicato.
È l’unica via di salvezza.
Mi sento in colpa.
Punto e basta,
non punto e a capo.
Non… mi sento in colpa, ma…
Nessun protettivo ma,
nessuna virgola, mezzaluna consolatoria.
Non è un dio,
né alcun’altra terza parte,
che deve benedire, assolvere, perdonare.
Bensì la vittima,
rinata in un mondo ideale,
in cui le fosse restituito tutto
quello che le è stato strappato.
Incluso il tempo perduto.
E il pentimento non è un attimo
o un pallido chiedere scusa.
Se autentico,
è un’altra vita rovinata.
Non è una piuma
che cade sul velluto.
*
BRINA MAURER
https://antonio-spagnuolo-poetry.blogspot.com/2020/07/segnalazione-volumi-brina-maurer.html
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