lunedì 23 ottobre 2023

SEGNALAZIONE VOLUMI = FABIO DAINOTTI


**Fabio Dainotti: “L’albergo dei morti” – Ed. Manni 2023 – pag. 174 - € 18,00
Quando la poesia si incarna nel pensiero, ricamando scansioni di sillabe in un tessuto che profonde il ritmo e la musicalità, allora il poeta rintraccia quegli appoggi rivelatori capaci di trasmettere emotività e fantasie, capace di riprendere le coincidenze di un trascorso che ancora incanta. I riflessi di chi non c'è più possono ancora incidere nelle vibrazioni.
La dissolvenza di alcune coincidenze, storicamente giustificate dalla contemporaneità del dettato, rompe l’incantato involucro dell’immaginazione e incide nel verso quell’ansia metafisica concessa dal peso romantico ed individualista del registro reale.
Fabio Dainotti affronta argomenti reali, stemperati da quell’onda armonica che affonda nella poesia con la ricerca ininterrotta della parola e del simbolo, tra ricordi e incursioni. “Nelle pene d’amore accovacciati,/ guardiamo fuori e guardiamo in noi stessi;/ le spalle curve, camminiamo oppressi/ e di contento dolore attorcigliati.// Solo pietà proviamo- e come odiare?/ Cammina in luce grigia che la stringe,/ tra un clangore d’angoscia che la spinge;/ la nostra pace imparerà ad amare”
Con il giocoso tocco della rima egli riesce a sospendere momentaneamente il nostro indagare intorno alla realtà quotidiana e suggerisce un abbandono che soffia contro il vento. La sua ricerca però immediatamente diventa alta in un susseguirsi di testi tutti avvolti nella memoria di figure e personaggi, nel delicato raccontare di momenti o di eventi che hanno segnato la gioventù, la maturità, la tarda età.
“Sulla spiaggia vetusta dove regna/ il capo dello stormo dei gabbiani,/ quante estati trascorse, se ti giri/ indietro; questo corpo/ cieco non vedi; pensi al passato che è morto.” Così il grembiule nel segreto della cucina, il lettone “mentre sale la luna e confidente/ parli prima del sonno”, la foglia lenta che cade dall’albero del viale, i vecchi tempi in cui scriveva lettere ad una Gina ormai morta,” la strada che scendeva alla marina/ rischiarata da incerte/ lampade al vento oscillanti”, la zia Cara che “si incipriava il naso mille volte/ guardandosi allo specchio/ che conservava nella sua borsetta/ con fondo tinta e rossetto”, le barche che si impregnano di sole sulla spiaggia d’avorio di Cetara.
Questo continuo alternarsi rende il volume agile ed abilmente appoggiato su quell’ordine difficile, precario, instabile, minacciato da cifre interrotte dall’incertezza del presente. Il linguaggio istintivamente colto tenta abilmente impasti espressivi che vanno dall’apertura stilistica all’ambizione del passato.
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ANTONIO SPAGNUOLO

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