domenica 16 giugno 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE

*Francesca Lo Bue: Il Pellegrino dell'alba - Ed.Dante Alighieri - 2023- -
Questa ultima opera della poetessa Francesca Lo Bue, edita nel 2023 dalla casa editrice Dante Alighieri, fa seguito ad altre raccolte pubblicate con la medesima casa editrice, ovvero "Itinerari e I canti del pilota". Anche in questa ultima si conferma il tratto stilistico principale dell’autrice, ovvero lo scrivere e riscrivere gli stessi testi in due lingue, italiano e spagnolo, che rappresentano le sue due lingue, essendo vissuta tra Italia e Argentina. Ritorna anche il tema portante della riflessione metalinguistica e metapoetica sulla parola e sul linguaggio. In tal senso ci viene particolarmente utile il concetto semiotico di intertestualità. In semiotica, branca della linguistica che studia il linguaggio come più ampio mezzo fatto di segni e simboli, l’intertestualità si qualifica come studio dei rapporti che intercorrono tra testi dello stesso autore, della stessa opera o di uno stesso genere letterario. In questo modo tra le trame delle varie composizioni ritroviamo numerosi temi comuni, nonché allusioni spesso sottili, talora più evidenti.
Già questo è presente nella copertina del libro. Lo stesso apparato iconografico della prima di copertina delle opere dell’autrice mostra una particolare cura, e un rapporto consequenziale con gli argomenti delle opere: in Itinerari e nei Canti del pilota troviamo riproduzioni epigrafiche e ideografiche a conferma dell’interesse per il tema della lingua e, dunque, della scrittura. Qui, invece, pur essendo, come si diceva, ancora centrale l’argomento linguisti, troviamo un dettaglio da un Affresco della Chiesa di San Clemente di Taull in Catalogna, ovvero una riproduzione dell’agnello apocalittico, il cui tratto caratteristico è la molteplicità degli occhi. Tale raffigurazione fa pensare alla poesia Regina dai cento occhi, contenuta in un’altra precedente raccolta poetica, I Canti del pilota: "Puoi essere regina dai cento occhi, e giocare con una corona di mirti, quando scende il bagliore segreto della sera. Le parole strisciano nel silenzio quando la vita volteggia come nube nel cielo".
Inoltre l’immagine dell’agnello sacrificale ci rimanda a una dimensione escatologica, che sarà, come vedremo in seguito, un tratto del Pellegrino dell’Alba.
Quali siano i suoi significati, questi molti occhi hanno certo il compito di rintracciare segni e sensi, di riconnettere e ricollegare, ruolo che primariamente spetta al luogo fisico biblioteca, luogo cui la poetessa dedica ampia e profonda riflessione. Come già in altre opere, la sede di ciò è l’Introduzione.
La biblioteca ha la funzione di “abbattere il suono della solitudine”, come dice l’autrice; o altrove afferma che “la lingua ci possiede”, dunque è la biblioteca che forma il mondo. Questo è evidente sin dalla storia dell’antichità, da cui ci provengono gli esempi di grandi conquistatori che intesero lasciare prova di sé anche con la progettazione o la costruzione di grandi biblioteche: Cesare a Roma, Alessandro ad Alessandria d’Egitto, il re assiro Assurbanipal a Ninive. Ad esempio, è proprio grazie a quest’ultimo se abbiamo ritrovato le tavolette dell’epopea di Gilgamesh, considerata il primo esempio noto di letteratura epica.
Prima, a proposito di intertestualità e rimandi, si parlava di trame delle varie composizioni, e non di trama, anche se vi sono numerosi temi portanti che possono far assomigliare quest'opera, insieme alle altre precedenti, a un tipo di romanzo poetico.
Un tratto che ritorna con particolare e suggestiva evidenza è l’uso dell’ossimoro, figura retorica che consiste nell’accostare termine opposti. Possiamo prendere a riferimento il testo Stare Instabile, che già di per sé è una contraddizione, in quanto lo stato si ricollega a qualcosa di solido, che qui però viene colto nell’effimero. Inoltre, anche se qui non è esplicitamente detto, abbiamo un nuovo canto alla biblioteca come ancora di salvezza al “trascorrere”. E cosa sarebbero in fondo le biblioteche, se non tentativi di salvare e superare l’ossimoro naturale della vita, ovvero mettere insieme cose diverse, contrastanti e altrimenti destinate a perdersi, come esemplari di lingue diverse, o tradizioni culturali opposte, o generi molteplici?
La poetessa ci dice che dell’instabilità dell’essere si salva solo la parola, definita “prodigiosa officina”. Per lei ciò assume particolare senso, se la aiuta a preservare il passato e la doppia lingua, che ha consacrato nelle sue opere usandole come terreno, prima arido e poi di ritrovata rigogliosità, grazie all’artigianato della parola poetica. Il passato ritorna spesso sotto forma di segni, brevi apparizioni, fugaci espressioni, di sapore carsico. Come nel testo Adesso imperituro: Gli spazi oceanici, le patrie lontane, le cime del sud non sono altro che reminiscenze dell’Argentina, la seconda origine dell’autrice, che ha vissuto nei due paesi (Argentina e italia) e ne pratica entrambe le lingue, tanto appunto, come dicevamo, da scrivere e riscrivere le proprie poesie in entrambi gli idiomi. A seguire, quasi in un dittico, abbiamo Scrigno essenziale: si vede come questo libro d’oro degli alfabeti sia fecondo e permetta di conservare qualcosa nella vita che si dilegua in fumo, anzi, ne rappresenta appunto uno scrigno, ma essenziale, in quanto rappresenta l’elemento minimo e inderogabile per cui possiamo esistere, altrimenti il nostro destino sarebbe quello della pietra muta e annodata, oppure sarebbe quello di lasciarci trascinare nei flussi scritturali di cui ci parlava nell’Introduzione. Qui possiamo scorgere un rimando alla tradizione culturale greca, alla filosofica presocratica di Parmenide, che si interroga sulla natura dell’essere (l’autrice lega l’’essere - l’è- al fonema sbriciolato, al suo consistere al contempo in un niente e in qualcosa) e ad Eraclito, che utilizzava la metafora del rivo, del ruscello per il trascorrere del tempo, qui invece un flusso, un flusso scritturale appunto.
La tradizione culturale greca, nel suo connubio filosofico e mitologico, molto presente nelle precedenti raccolte poetiche come Itinerari e i Canti del Pilota, qui appare più sfumata e impalpabile, ma non per questo assente, e da recuperare tramite il mezzo delle reminiscenze. Evidente la poesia L’ora che allontana. Qui compaiono Adone, Arianna e Medea. Tutti e tre personaggi tragici, puniti e vittime per interessi e scopi altrui: Adone vittima di gelosia per la sua bellezza, Arianna abbandonata, Medea che diventa carnefice di se stessa e dei propri figli dopo aver scontato l’onta del ripudio coniugale.
Per questi esempi di anime perse rimane una Preghiera buia, cui viene dedicata una poesia con tale titolo. Anche qui abbiamo un sapore ossimorico, perché la preghiera dovrebbe far pensare ad un anelito di speranza, ed è invece buia.
La biblioteca ha la funzione di “abbattere il suono della solitudine”, come dice l’autrice; o altrove afferma che “la lingua ci possiede”, dunque è la biblioteca che forma il mondo. Questo è evidente sin dalla storia dell’antichità, da cui ci provengono gli esempi di grandi conquistatori che intesero lasciare prova di sé anche con la progettazione o la costruzione di grandi biblioteche: Cesare a Roma, Alessandro ad Alessandria d’Egitto, il re assiro Assurbanipal a Ninive. Ad esempio, è proprio grazie a quest’ultimo se abbiamo ritrovato le tavolette dell’epopea di Gilgamesh, considerata il primo esempio noto di letteratura epica.
Prima, a proposito di intertestualità e rimandi, si parlava di trame delle varie composizioni, e non di trama, anche se vi sono numerosi temi portanti che possono far assomigliare quest'opera, insieme alle altre precedenti, a un tipo di romanzo poetico.
Un tratto che ritorna con particolare e suggestiva evidenza è l’uso dell’ossimoro, figura retorica che consiste nell’accostare termine opposti. Possiamo prendere a riferimento il testo Stare Instabile, che già di per sé è una contraddizione, in quanto lo stato si ricollega a qualcosa di solido, che qui però viene colto nell’effimero. Inoltre, anche se qui non è esplicitamente detto, abbiamo un nuovo canto alla biblioteca come ancora di salvezza al “trascorrere”. E cosa sarebbero in fondo le biblioteche, se non tentativi di salvare e superare l’ossimoro naturale della vita, ovvero mettere insieme cose diverse, contrastanti e altrimenti destinate a perdersi, come esemplari di lingue diverse, o tradizioni culturali opposte, o generi molteplici?
La poetessa ci dice che dell’instabilità dell’essere si salva solo la parola, definita “prodigiosa officina”. Per lei ciò assume particolare senso, se la aiuta a preservare il passato e la doppia lingua, che ha consacrato nelle sue opere usandole come terreno, prima arido e poi di ritrovata rigogliosità, grazie all’artigianato della parola poetica. Il passato ritorna spesso sotto forma di segni, brevi apparizioni, fugaci espressioni, di sapore carsico. Come nel testo Adesso imperituro: Gli spazi oceanici, le patrie lontane, le cime del sud non sono altro che reminiscenze dell’Argentina, la seconda origine dell’autrice, che ha vissuto nei due paesi (Argentina e italia) e ne pratica entrambe le lingue, tanto appunto, come dicevamo, da scrivere e riscrivere le proprie poesie in entrambi gli idiomi. A seguire, quasi in un dittico, abbiamo Scrigno essenziale: si vede come questo libro d’oro degli alfabeti sia fecondo e permetta di conservare qualcosa nella vita che si dilegua in fumo, anzi, ne rappresenta appunto uno scrigno, ma essenziale, in quanto rappresenta l’elemento minimo e inderogabile per cui possiamo esistere, altrimenti il nostro destino sarebbe quello della pietra muta e annodata, oppure sarebbe quello di lasciarci trascinare nei flussi scritturali di cui ci parlava nell’Introduzione. Qui possiamo scorgere un rimando alla tradizione culturale greca, alla filosofica presocratica di Parmenide, che si interroga sulla natura dell’essere (l’autrice lega l’’essere - l’è- al fonema sbriciolato, al suo consistere al contempo in un niente e in qualcosa) e ad Eraclito, che utilizzava la metafora del rivo, del ruscello per il trascorrere del tempo, qui invece un flusso, un flusso scritturale appunto.
La tradizione culturale greca, nel suo connubio filosofico e mitologico, molto presente nelle precedenti raccolte poetiche come Itinerari e i Canti del Pilota, qui appare più sfumata e impalpabile, ma non per questo assente, e da recuperare tramite il mezzo delle reminiscenze. Evidente la poesia L’ora che allontana. Qui compaiono Adone, Arianna e Medea. Tutti e tre personaggi tragici, puniti e vittime per interessi e scopi altrui: Adone vittima di gelosia per la sua bellezza, Arianna abbandonata, Medea che diventa carnefice di se stessa e dei propri figli dopo aver scontato l’onta del ripudio coniugale.
Per questi esempi di anime perse rimane una Preghiera buia, cui viene dedicata una poesia con tale titolo. Anche qui abbiamo un sapore ossimorico, perché la preghiera dovrebbe far pensare ad un anelito di speranza, ed è invece buia, sembra risolversi nell’incomunicabilità: la poetessa dice infatti che la realtà allucinata lampeggia di nulla. Non c’è quindi possibilità di riscatto? Siamo dunque in contraddizione con le premesse, con l’immagine salvifica e rincuorante della biblioteca che salva dal nulla con il suo opificio di gemme di scrittura?
In realtà no. Nella poesia Regno fertile, la fecondità abbatte l’aridità, anzi termina asserendo: Vorrei una scala/per arrivare all’apice del mio regno fertile/trono oscuro di colpa, pentimento e speranza. Vediamo come dalla colpa si arrivi, in una progressione in salita che ricalca la figura retorica del climax, richiamata dalla stessa scala, alla speranza della redenzione.
In questo modo siamo anche al titolo dell’opera e alla natura del pellegrino dell’alba, cui viene dedicata anche una poesia. Ma chi è in realtà il pellegrino?
Forse lo possiamo immaginare come una sorta di demone demiurgo-artefice che possiede utte le lettere che sono nelle parole, tutte le parole che sono in un unico grande libro disseminato, la cui conoscenza è una scienza oscura, non perché in sé inintellegibile, ma perché intellegibile solo per pochi, coloro che, come il pellegrino (o il poeta) riescono ad accostarsi all’unica alba, il flusso (scritturale), la disseminazione degli alfabeti, il ciclo dell’esistente. Così infatti ci dice in Scienza oscura.
Ma tale pellegrino, e così ritorniamo all’inizio avviandoci a concludere, ha anche caratteristiche di escatologia, volte a comprendere il destino ultimo. Quasi fosse un soggetto profetico che viaggia verso una nuova e purificata realtà, il cui inizio è appunto la sua alba? Certo come pellegrino batte itinerari e strade inaudite, ci rimanda alla preghiera taoista del XII secolo richiamata come incipit del libro.
Tale natura di destino e di salvezza potrebbe spiegare la qualità dell’agnello sacrificale con tanti occhi che troneggia nella copertina, e il testo Pistis sophia, il cui nome è ripreso dall'omonimo vangelo gnostico in lingua copta e vale a significare come “conoscenza della fede”.
Il nostro testo è strutturato come un piccolo poemetto in tre parti. La terza riassume forse il senso della missione del pellegrino-poeta: ..qual è la tua scienza?/…L’epifania del cammino/…l’orma invisibile della tua voce silenziosa.
*
Prof.ssa Rosa Rempiccia

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