giovedì 10 aprile 2025

SEGNALAZIONE VOLUMI = EDITH DZIEDUSZYCKA


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Marco Tabellione: Recensione a "Ritrovarsi" di Edith Dzieduszycka - Ed. Passigli
Si apre con un riferimento al tempo e al rapporto con il tempo, la raccolta "Ritrovarsi" di Edith Dzieduszycka, affidata ad un lungo prologo in versi dove emerge il senso dell'attesa e dell'approdo ad un limite. Un lungo poemetto dove l'attesa diventa in qualche modo una resa consapevole alla morte, e forse di più, allo svelamento del segreto che la morte detiene. Ma soprattutto ciò che si concretizza in queste battute inziali è un grande omaggio, tra rispetto e angoscia, all'inesorabilità del tempo che passa, al consumo letale dell'essere che non può impedirsi di correre verso il nulla. Quando alla fine del poemetto la poetessa si descrive mentre guarda "quel dito sul quale si è deposta, velo di polvere, un'ombra impercettibile”, non fa che ribadire definitivamente una sentenza inappellabile. Le poesie successive, brevi e incalzanti, nascondono una specie di ansietà, di tensione, il desiderio di nuove frontiere, di una liberazione, l'approdo a scenari mai visti, esperienze mai vissute. Oppure i versi aprono paesaggi dismessi, incerti, quasi lugubri, spazi che parlano di dubbi, di speranze fallite; tanto che viene da chiedersi come la poetessa riesca a tenere insieme sentimenti tanto contrastanti.
Così da un lato l'autrice impone a sé stessa di non illudersi, dall'altro si auspica di poter varcare confini e barriere. C'è un mistero che tormenta, un enigma da sciogliere che ricorre in ogni verso e che si accompagna con l'idea di un destino ineluttabile, e la scoperta che la strada che percorriamo non è il risultato di una scelta. Tuttavia rimane la meraviglia, lo stupore incantato, che mai viene meno di fronte al mondo e alle cose, come in questi versi: “Nel sogno evadi / passeggiate per boschi / foreste e valli / Nastri d’argento / slanciati verso mare / frementi fiumi / Paesaggi ignoti / meraviglia ‒ stupore / mute scoperte / Ad occhi chiusi / ti perdi ‒ ti ritrovi / all’infinito”.
Le liriche parlano di frontiere, limiti, orizzonti che però non chiudono, ma aprono a mondi che tuttavia restano segreti. In fondo a questi versi, tuttavia, una relazione emerge chiara e coraggiosa, il rapporto con la fine, che però non è mai una fine. Anzi, a volte, un desiderio di ribellione sembra percorrere i versi, come una rabbia incontenibile, magari trattenuta in un solo attimo, però energica, immediata. Poi, verso la fine della raccolta, le poesie, tutte rigorosamente di dodici versi che alternano trisillabi o quadrisillabi, cominciano a denunciare un affievolimento di intendimento, di ascolto, di comprensione.
Come la poetessa stessa riconosce in alcuni passaggi, tutto rimane sospeso tra veglia e sonno, in un sogno non ben distinguibile. E poi sul confine labile del conosciuto ecco che si profila l'altra voce, forse il compagno di una vita, un barlume di ritorno; tant'è che emerge in tutte le poesie l'immagine di un'anima stretta da due morse: da una parte la vita con le volgarità di una contemporaneità che si rivela sotto forma di immagini tetre a volte ripugnanti, dall'altra un oltre che ha di certo solo una fine, anche se non si sa se sarà l'unica. Eppure, come evidenzia l'ispirata lirica finale, l'orizzonte che si profila davanti, inevitabile, sembra poter diventare il limite di un sogno migliore: "Immota aspetti / dell’usignolo il canto / sull’alto ramo. / Qualcuno ha detto / che l’alba non è morta / spunterà ancora. / Dietro la linea / dell’orizzonte vuoto / sta la risposta. / Prima del varco / nessuno la conosce / segreta stanza".
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MARCO TABELLIONE

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