INTERVENTI = LA TERZA LINGUA
<“Inviato in questa città, vi giungo con timore, libro di un esule. Tendimi, lettore amico, una mano benevola nella mia stanchezza Leggi bene che cosa io reco! Altro non vi vedrai che tristezza, poiché i versi sono consoni ai tempi che li hanno prodotti, se zoppi ricadono i carmi nel verso che si alterna, questo è l’effetto del metro e del lungo cammino.”>
(Ovidio, Tristia, III 1-15)
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LA TERZA LINGUA, ovvero La Voce di Tantalo
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La Terza Lingua è frutto di lontananza, del tempo del ricordo sopra una geografia che non è quella dove si è nati e vissuti: è lingua, insieme, della partenza e dell’arrivo, ovvero fusione di ambedue.
La terza lingua è l’esilio, la patria lontana.
È lingua trasfigurata in terra straniera, che si manifesta, appare, s’esprime in un paese che non le è proprio.
E’ il frutto di un albero trapiantato: matura, frutto triste e amaro, nella terra e nell’aria lontana.
“Nell’anima, un popolo assente.
Profondità di sale,
il tuo specchio incrinato.”
Si cancella l’appartenenza a un limite geografico: questo riemerge nel ricordo, allucinandosi in immagini di colore, paesaggio e pena.
Il sentimento della terra si esilia trasferendosi nella lingua; lingua che è Passato, ferma e tenace visione che si congiunge al passato, voce che richiama i padri, la casa, la città, le piazze, le strade, le chiese e gli alberi: paesaggi di una geografia che non c’è e che s’intravede in visioni dolenti, in orizzonti rimasti indietro.
La terza lingua allontana il male della lontananza, è ricerca di una nuova calligrafia, sboccia in, è quel “lugar extraño” che è la terra dell’esilio.
Terza Lingua: Lingua Madre + Lingua Acquisita.
La Lingua Madre non ha più la Sua Terra; poggia in un suolo che non le è proprio, che non la protegge, non “ampara”, un suolo dove ci si domanda “dove sono, chi sono?”. Questo è lo spazio della contraddizione: anzitutto dimensione del cuore.
La Terza Lingua emerge dai deserti, dalle valli e dalle cime del cuore; è lingua della perdita: geografia sospesa senza ceppo o etimologia spaziale. E’ voce che colpisce, bussa e aspetta, è la lingua che spinge alle domande essenziali: il perchè del destino, di questo fato, di questa sorte di rifiuto e di perdita.
C’è una Lingua ma non c’e una Terra oppure, all’inverso, c’è una Terra ma non c’è una Lingua: da qui l’incontro di due lingue, la fusione… su questo crinale nasce la Terza Lingua.
E’ la lingua Tristis dell’aspirazione, la vaghezza del chiamare tematizzata in grido spento: voce tentennante, voce senza contesto, “…pianto acuto fra nascoste fontane di pietra…”, voce-vittima, lingua dell’altrove, pensiero di morte.
Terza Lingua: quella della sostituzione, della parola che emerge dal crogiuolo del cuore, lingua temeraria “…che si addentra negli spazi morbidi del cuore”.
Lingua minacciata dal silenzio, dalla solitudine e nell’angoscia dell’estinzione la terza lingua cerca il Libro, il ricordo scolpito nel testo, che vorrebbe avere le ali per raggiungere la terra che non è dato più calpestare.
La Terza Lingua è scrittura zoppicante, scrittura precaria, ciononostante la scrittura le dona le ali: se non potessi scrivere sarei muto.
E’ la lingua di Tantalo, della tensione senza fine, della rimembranza e del grido muto; è la lingua del terrore della morte anonima, senza nessuno vicino, lontana dagli affetti, dagli avi, dalla Patria: perché vera morte, morte crudele, è la perdita della Patria.
E’ la lingua del libro che raggiungerà la Patria, che riporterà alla terra abbandonata, che sanerà l’esilio, è la scrittura del ricongiungimento alla terra lontana.
E’ lingua dei Tristia ma è anche lingua salvata, ricca e moltiplicata dall’aria e dai succhi di un’Altra Terra.
La Terza Lingua è lingua grande, tematizza l’assenza, ma –parola sbriciolata- semina per il mondo.
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La tercera lengua
¿Dònde està el lugar para ponerme?
¿Dònde està el surco para pisar y seguir, para recoger,
y esperar el dìa de la paz?
para que la sombra desfallezca
y sea temple de luz que bailotea
antes que me sumerja la rosa de muerte en su tenebrosidad de olvido.
Se desdobla la soledad,
su ala hambrienta busca alfabetos multiplicados.
Se desdobla hacia una sombra inquieta,
hacia el remanso de la planicie,
hacia la danza de los dìas.
No tienen la paz de los caminos
ni un rayo ameno que dibuje en las piedras las formas corazòn.
No tienen el padre profundo que danza como un àngel en las calles maltrechas,
en las veredas de los àrboles de sal.
Sòlo una punta de humo y vana esperanza.
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La terza lingua
Dov’è il luogo da mettermi?
dov’è il solco da seguire,
per raccogliere il giorno della pace
e aspettare che l’ombra affievolisca?
e sia indole di luce
prima che mi sommerga la rosa di morte nella sua tenebrosità d’oblio.
Si sdoppia la solitudine,
la sua ala affamata cerca alfabeti moltiplicati.
Si sdoppia in un ombra inquieta,
fino alla pace della pianura nella danza dei giorni.
Non hanno la pace dei cammini
né un raggio ameno che disegne nelle pietre le forme del cuore.
Non hanno il padre profondo che saltella come un angelo nelle strade dissestate,
nei marciapiedi degli alberi di sale.
Solo una piega di fumo e vacua speranza.
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FRANCESCA LO BUE
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