INTERVENTO = ETTORE BONESSIO DI TERZET
DAL BISOGNO DI SAPERE
AL DESIDERIO DI CAPIRE
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Quando l’essere umano ha iniziato a pensare qualcosa ( sapendo di pensare), ha pensato come relazionarsi alla Natura e agli altri esseri umani, dapprima dello stesso gruppo.
Un problema si presentò ogni volta che gruppi diversi, magari della stessa etnia, venivano in contatto. Per lo più, ci dicono i dati archeologici, lo scontro era inevitabile, ma talora i gruppi si integravano, si allargavano e aumentavano la capacità del “nuovo gruppo “ di vivere meglio e di raffinare la propria tecnologia.
Che cosa pensavano e si dicevano gli esseri umani di questo gruppo ipotetico?
Certamente erano meravigliati di quello che vedevano sentivano provavano. Contemporaneamente erano curiosi di vedere e di sapere che cosa fossero le cose che vedevano, come funzionassero, come fossero “fatte” e come poterle utilizzare ai propri fini benefici.
Meraviglia curiosità emozioni voglia di sapere che cosa.
Questi i primi movimenti della mente e dello spirito degli esseri del nostro gruppo, mantenutisi per via genetica negli umani ulteriori.
Anche noi ci meravigliamo di fronte ad una cosa nuova, siamo stupiti dall’architettura di un tempio antico o di un palazzo modernissimo; siamo curiosi di avvicinarli di toccarli di vedere che cosa siano; siamo emozionati e vogliamo sapere come sono fatti. Poi li nomineremo secondo il nostro linguaggio in generale ed alcuni daranno loro un nome secondo la propria lingua, distinguendosi dai più.
E via così, venendo sempre più alla mente ed allo spirito il senso dell’ignoranza, il desiderio di sapere sempre di più e il sentimento disturbante di sapere che non sappiamo tutto, se non si intenda per tutto il mondo degli oggetti circostanti. Il che pare una limitazione da non prendere in considerazione.
Allora dobbiamo aggiungere ai primi moti che abbiamo detto, anche l’ignoranza, il sapere di non sapere.
Ignoranza che porta uno squilibrio, la sensazione che “muovendoci” incontreremo cose che non conoscevamo e che non sappiamo che cosa siano e come si comporteranno. Queste cose ignote portano un nuovo moto della mente e dello spirito: la paura.
Sappiamo soddisfare la nostra meraviglia lo stupore la conoscenza, ma non subito il sentimento di ignoranza e quello della paura.
Ignoranza e paura sono i sentimenti che hanno guidato gli esseri umani nella progressione positiva e negativa dell’evoluzione che va verso la completezza dell’essere umano.
Con che cosa si può combattere l’ignoranza è ben intuibile: con lo studio e la continua conoscenza degli oggetti. Ma la paura non è così facile da superare.
Ma anche l’ignoranza non è estinguibile giacché le cose da conoscere “aumentano” con il progredire del conoscere e del sapere.
Che cosa fare?
Per l’ignoranza non c’è scampo.
Possiamo arrenderci non procedendo più nella conoscenza e rientriamo, per sicurezza di sopravvivenza, nella “norma media del gruppo”.
Altrimenti possiamo continuare a conoscere a studiare e indagare “le cose del mondo nostro e altrui”, vicino lontano lontanissimo, ma nella consapevolezza che non raggiungeremo mai la conoscenza totale. Così alcuni esseri continueranno ad accumulare e raffinare il proprio conoscere tentando di pervenire ad un sapere più completo (più profondo) in campi relativamente ristretti e circoscritti, ossia si specializzano. Ma anche in questo caso, l’essere umano non può non riconoscere che ha un limite oltre il quale non può andare e, ragionevolmente, accetta (alcuni non lo accettano) tale limite come il limite di se stessi.
Bisogna ammettere che l’ignoranza si può contenere, ma non sconfiggere.
Più si conosce e più entriamo nella consapevolezza che un vasto territorio di conoscenze rimane da esplorare e che a noi, esseri umani, non è concesso toccare la fine di esso.
L’ignoranza non si sconfigge, ma fa riconoscere in particolare il limite del singolo essere, e in generale i limiti dell’umanità.
Vediamo che cosa succede con la paura.
Dapprima abbiamo paura di tante cose, dal buio al fuoco, del nuovo, del diverso sino a costruirci un nemico su cui scatenare la nostra paura che trasformiamo in aggressività.
Quando ci sembra di aver sconfitto la paura con l’aver individuato il perché del suo insorgere, ecco che un altro evento, cosa o persona, fa rinascere la paura.
E così via, possiamo andare più avanti per giungere alla matrice della paura: la morte.
Abbiamo paura perché sentiamo che siamo limitati dalla fine del nostro essere umani. Abbiamo paura di qualche cosa esterna ed interna perché abbiamo paura della morte. In generale, e oggi più di ieri, non siamo educati alla morte, se non attraverso pedagogie che inibiscono le nostre capacità e possibilità e ci portano se non alla rassegnazione, alla depressione.
Come superare la paura della morte?
Respingere il pensiero di essere immortali come quello dell’inutilità del fare, soprattutto non lasciarsi prendere dal naturale e vitalistico scorrere della vita, manifesto in certi modi di dire: è il destino, doveva andare così ecc.
Ogni essere umano è padrone e responsabile del suo destino e possiamo agire secondo quello che siamo. Ritorniamo all’accettazione del nostro limite, di noi stessi.
Nessuna rassegnazione, nessuna depressione, nessun fatalismo quindi.
Anche l’idea di immortalità può essere riportata, con una conversione mitica, al fatto che un tempo siamo stati immortali e che poi per qualche evento che non sappiamo e per una ragione ignota alla nostra ragione, siamo adesso mortali. Dobbiamo accettare di essere mortali e meglio lo faremo se migliore sarà stata l’educazione a questa condizione.
Solo con la consapevolezza che il nostro vero limite è la morte e non l’ignoranza, possiamo liberarci da questi due sentimenti e possiamo vivere nella libertà e responsabilità verso noi stessi e gli altri. Anch’essa limitata e non assoluta.
Sappiamo, adesso, che sin dall’Inizio l’essere ha saputo di esser limitato a tal punto che sparisce, muore agli affetti agli amori alle cose che per lui erano piacere gioia e lo soddisfacevano anche per un altro sentimento che aveva bussato alla sua mente e al suo spirito: la Bellezza.
La morte ci porta via il sentimento della Bellezza e del Bello.
Che fare a questo punto? Entra in gioco il pensiero.
Per una buona parte dei secoli, dalla Grecia ad oggi, il pensiero è stato confuso con la filosofia, con una certa filosofia che si presenta, troppo spesso sotto mentite spoglie, come una retorica per convincere e guidare la massa verso predeterminate finalità economico-politiche.
La scienza del potere è questa certa filosofia.
Dicevamo che entra in gioco il pensiero. Abbiamo molte tipologie di pensiero: metaforico, simbolico, mitico, metafisico, pragmatico, pratico, scientifico, tecnico e tecnologico (tutti di ordine operativo questi ultimi) ecc.
Entra, può entrare in gioco il pensiero totale, somma dei vari pensieri e che si può esprimere come pensiero trasformativo, a differenza del pensiero filosofico che si esprime come normativo e ripetitivo.
Il pensiero trasformativo è il pensiero che può salvare l’essere dalla sua paura fondamentale, la morte.
Gli impulsi che il sentimento della morte agita nel nostro interno ed esterno come atti e azioni possono non essere repressi (per paura), ma trasformati in possibilità positive per l’essere. Vale l’esempio di Van Gogh che, ossessionato dalla paura di non essere accettato e quindi isolato, respinto e negato come artista, ha trasformato le energie della paura della morte in opere d’artepoesia. Ed altri esempi esistono.
Trasformare la morte in vita attraverso l’opera d’artepoesia e non per raggiungere una immortalità orizzontale, ma per se stessi prima di tutto ovvero per esprime tutto quello che si poteva dire all’interno del limite riconosciuto e accettato. All’interno di questo limite l’artistapoeta esplode tutte le proprie energie non pensando a se stesso, ma mirando oltre la propria vita, alla vita dell’umanità, alla vita che non muore, ma si trasforma.
Oltre lo spazio e il tempo, verso lo spaziotempo, verso gli universi mondi indefiniti, forse infiniti. Grande scommessa anche senza fede in un Dio, avendo fede nella propria attività, nell’arte scelta per segnarsi nella massima umanità.
Ogni segno è parola.
L’essere trasforma il limite in una luce di Bellezza, siccome l’artistapoeta cerca nel suo “fare artistico” primariamente, se non solamente, la poesia. E sappiamo, nessuno può negarlo, che nel nostro complesso gruppo etnico europeo la poesia cerca l’idea che esprime la Bellezza.
Semplicemente possiamo dire che l’essere per esistere umanamente al massimo non può che essere un artistapoeta, un essere trasformativo che agisce e opera per la Bellezza, sconfiggendo ignoranza e morte, perché ha capito il grande gioco del pensiero e della parola a cui è stato chiamato.
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ETTORE BONESSIO DI TERZET
1 settembre 2013
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