sabato 7 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ADELE DESIDERI

ADELE DESIDERI : "Stelle a Merzò" , Moretti&Vitali 2013, pag.72, euro 12

La Sapienza che va custodita, è il monito trasmesso da Atena nel mito del serpente Eretteo, nato da un violento, quanto mai tormentato litigio tra la Dea e Vulcano. Sotto le vesti di una parafrasi lirica moderna che coinvolge amore e sapere, Adele Desideri ripropone una versione del significato mitologico citato, con un dramma diaristico intitolato: Stelle a Merzò. Il poemetto racconta lo sviluppo di una storia d’amore nata a Merzò, una frazione di Sesta Godano e finita, attraverso un percorso circolare, ancora a Merzò e, come in un rituale misterico, celebra l’eterno ritorno della esperienza umana (v. significato del serpente), contro la tradizionale linearità della catarsi spirituale interna alla cultura occidentale. Graficamente il poema si inscrive in un Mandala, poiché insegue un progetto di progressione spinto dal prezioso dono dell’amore. Sappiamo che Amore e Sapienza, nell’esoterismo precristiano si inscrivono compiutamente all’interno del gioco generativo della vita. Così, come nella magia di un sabba dionisiaco, tra toni sacri e profani, si sviluppa un racconto il cui finale, tuttavia, convola a un totale fallimento della storia d’amore. E’ un nulla in questo caso che non ha niente da dividere con il concetto di vuoto, inteso come separazione dalla matrice (mater) genitrice di tutto. Il Nulla di questa storia, si palesa attraverso un progetto non-generato, malgrado la Sapienza femminile impieghi ogni strategia atta a salvare l’Amore. Stelle a Merzò si pone come eccellente pagina di una storia umana dai margini estremi, dove passione ed eros sono corifei nel teatro della vita. E’ proprio in questo incantesimo che nascono, a cavallo tra sogno e risveglio, versi elegiaci affini a un estetica surreale che ricorda alcune finestre poetiche della Notte di Dino Campana …allora so che nel canto incessante/ delle cicale, nel verde fosco delle alghe,/ nel cielo nervoso di questo agosto/ smembrato, si ferma il tempo…, dove compagna degli amanti figura l’ombra del naufragio. Le parole sono riti inverecondi,/ ancelle dei tuoi sbagli. L’amuleto/ indiano -che oscilla appeso al muro -/ rifrange le ombre del dissentire,/ della ribellione, delle errabonde deviazioni. Tuttavia nessuna strategia seduttiva può intervenire e lei, la Donna del pane nuziale,/ anfora - madrigale -/…latrice di grazia/…secretata memoria/, non può mutare il corso di un destino che è vocato, come in una tragedia antica, già al fallimento. La fine in questo dramma si avvicenda di data in data ma, come avviene sempre in ogni dramma, ha come sfondo un’eroina che sola riannoda sotto la sinopia la favola incantata della speranza …Ci raduniamo qui,/ in attesa di una donna che,/ con il filo - con l’ago - riannodi/ gli orli slabbrati, rammendi la lisa/ stoffa e sui capelli ponga fiori/ di cartapesta - segnali/ di una memoria mancata,/ di una fallita scommessa./… Attento! Controlla, registra/ non svuotare le tasche,/ conserva i lacerti di carta/ che attestano il tempo fuggito. Il tono usato dall’autrice trasferisce al silenzio di un abisso mitologico la forza primeva che, come in un incipit Wagneriano, è capace di aprire agli dei della natura, latori di segni sapienziali, la forza di un dolore pervasivo che fa eco in una terra in cui il divino riesce ancora a parlare all’umano. E’ quindi la stessa autrice che, nel nascosto delle selve umide della Val di Vara, diventa mediatrice di questo messaggio. La vita per maturare deve crescere nella cesta che Atena, la domina mater, ha consegnato alle Aglauridi. Rinunciare a priori è consegnare al destino la paura, un fine che, come dice Kemeny nella prefazione al testo, si raffigura come un’ombra mortale che trascina negli abissi dell’annullamento anche le cose. Premonitrice di tutta l’escatologia umana, la donna, luogo dell’anima vitale, è destinata a portare la sapienza ad affinare un gioco temerario ma necessario, pena l’annientamento della stessa natura.
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AKY VETERE

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