domenica 18 settembre 2016

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALESSANDRA PAGANARDI

La paziente tenace ricerca poetica di Alessandra Paganardi
Nota di lettura di Valeria Serofilli a "La pazienza dell’inverno" ( puntoacapo Editrice, 2013) di Alessandra Paganardi

"Ancora una volta la poesia autentica mostra il suo nodo: sprofondare nella malinconia del nulla, quasi fino all’afasia, per emergerne con un messaggio di dura fiera e musicale resistenza. Tutto il libro testimonia questo combattimento, e il titolo stesso del libro, "La pazienza dell’inverno", entra nella mente del lettore come un invito a lasciar passare le cose peggiori, in attesa di un mutamento positivo di cui talvolta si dispera”.
Ad apertura di questa mia breve disanima introduttiva del libro "La pazienza dell'inverno" di Alessandra Paganardi, mi piace riportare questa frase tratta dalla corposa e intensa Prefazione di Marco Ercolani, lasciando poi al lettore il compito e il piacere di leggere ciascun verso di ciascuna lirica, entrando in modo individuale nel mondo poetico dell'Autrice.
Il volume si articola in sei sezioni, una delle quali costituita da Frontiere apparenti, opera vincitrice dell’edizione 2009/2010 del Premio Astrolabio, di cui ripropongo un interessante stralcio della motivazione curata da Mauro Ferrari, valida dunque anche per l’opera qui oggi presentata: ”Se c’è uno spunto autobiografico e fattuale, questo si situa subito prima di laceranti riflessioni sulle occasioni e sui luoghi che ci hanno reso ciò che siamo, sulle direzioni non prese e sulle potenzialità non espresse della nostra vita; ma, anche, questi versi sempre poggianti sulle cose e sui sensi, ci fanno riflettere su ciò che abbiamo costruito nel divenire della vita.”Soltanto ciò che è dato sarà tolto” dice in un verso alto e sonante di saggezza quasi epigrammatica: Alessandra Paganardi mette in scena il dramma della vita, il sentirsi grumo ed erranza, che è comunque un’apertura allo slancio vitale e alla costruzione di un nostro mondo in cui sia possibile, nella frase di Holderlin “ abitare poeticamente”.
Riprendendo la mia personale disanima posso affermare che La pazienza dell’inverno è un lungo e teso braccio di ferro tra desiderio di silenzio e volontà, o forse sarebbe più esatto dire necessità, di espressione. A questo contrasto di affianca la dicotomia più classica: quella tra il senso dello scorrere del tempo e la speranza di poterlo in qualche modo fermare, arginare, dandogli una diversa forma e una misura più umana.
Il ritmo del libro è "mono-tonale", facendo ancora riferimento al termine scelto da Ercolani. Come una goccia che cade ogni giorno nello stesso modo, con lo stesso suono, su un suolo che lo accoglie passivamente. Il suono dell'inverno, la sua musica triste. Ma è proprio qui la sfida, quella a cui fa riferimento il titolo: l'attesa.
È un'arte che richiede perizia, tenacia, molto fiato. L'attesa per qualcosa che nel momento in cui viene concepito appare non solo improbabile ma quasi impossibile. Eppure la coscienza e la consapevolezza, il sogno e la memoria sanno che alla fine di ogni inverno, per quanto lungo possa essere, c'è una primavera:
al ramo spogliato porteremo
un’attesa gentile
di pazienza e silenzio
lo chiameremo solamente inverno
non sarà più dolore.
(da Quarto piano)
Quindi la parola trova risorse che non pensava neppure di possedere e cambatte l'afasia, il desiderio del nulla, l'azzeramento.
«Seguire il solco, non l’aratro –
dentro / la legge della terra, sempre quella / che non ascolti.
Ritrovare il seme / nascosto, o non scoprirlo / se non era per noi.»
(Si veda la lirica XII di pag.46)
Non saprà nessuno che il mio buio è la madre del mondo, afferma l'autrice nel distico conclusivo della lirica che apre la Sezione "Voci in ombra". E sono versi emblematici dei contrasti e delle contrapposizioni di cui si è detto. Sapere di essere fatti di buio ma cercare la luce. Un continuo e paziente lavoro di adattamento alla materia, alla pietra soprattutto, quella che appare inanimata ma che contiene in sé il cammino, la strada, la possibilità di mutare terreno e orizzonti.
Di quella pietra nel cemento
non è rimasta che un’impronta vuota.
La terra ha una memoria minerale
si riempie quando passa forte il vento
o il piede indelicato del passante
a scalciare la vita.
(Si veda la lirica VII di pag.68)
Anche la dedica della Sezione "Ritaglio" a Cesare Pavese è conferma ulteriore di un legame non solo letterario ma umano, di spirito di com-passione, sofferenza condivisa, vissuta in tempi diversi ma con coordinate condivise. Ma a differenza di Pavese trova in sé la tenacia dello scalatore che a un certo momento non è più diretto verso la vetta, la verità assoluta, ma verso ogni singolo passo, ogni molecola di polvere, fango e aria che circonda il mondo e l'uomo e ne costituisce la materia:
Non più segreti. Non più parole.
Era rossa d’amore la terra
ma per trovare il caldo di un abbraccio
dovevo farmi radice, scendere
fino al centro del fuoco.
(Si veda la lirica III di pag.75)
Per concludere, questo libro di Alessandra Paganardi è un lungo e sincero diario di viaggio: dagli abissi del buio alla ricerca di quelle radici che in realtà sono rami, e frutti. E quell' abbraccio caldo è il traguardo, la meta.
*
Valeria Serofilli
Caffè dell’Ussero di Pisa 16.09.2016


0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page