domenica 1 luglio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI - ANTONIO SPAGNUOLO

Antonio Spagnuolo : "Canzoniere dell’assenza", Napoli, Kairós edizioni, 2018 -

L’ultimo libro della feconda e felice attività poetica di Antonio Spagnuolo è quale il titolo ben indica. Si tratta di un canzoniere (e dunque è la musica l’elemento formale unificante) ed è l’assenza (o meglio il sentimento dell’assenza) il suo contenuto. Titolo che unifica due tradizioni diverse. Infatti “canzoniere” rimanda a Petrarca e alla tradizione lirica della nostra letteratura, e “assenza” si collega al sentire prevalente dell’uomo moderno, alla sua espulsione da un mitico eden, con la solitudine e la sofferenza che ne conseguono. La perdita della moglie del poeta, causa biografica del presente canzoniere, diventa dunque metafora di una perdita ancor più radicale e universale, quella del senso della vita, tanto che l’autore, smarrito, può sentirsi vittima inerme di “un Dio inclemente” (p. 82). Ma per fortuna a soccorrere il poeta nel vuoto che si spalanca è la clemenza della poesia, con la sua “musica lieve, modulata” (p. 13), come Spagnuolo scrive, con parole appropriate, nella lirica incipitaria. Verlaine, uno dei padri della poesia moderna, suggeriva di “faire de la musique”. È proprio quel che il nostro fa, nel suo originale modo, con la sua poesia fortemente metaforica ed evocativa, dove il non detto prevale sul detto e il sogno è più consistente della realtà, in un surrealismo domestico tipicamente italiano. Non a caso le liriche del Canzoniere sono di prevalente ambiente notturno, la luna è presenza dominante (addirittura l’autore può tuffarsi, a piedi nudi, nell’astro, p. 84) e ricorrenti sono parole come “sogno”, “fantasma”, “illusione”, “miraggio”, “silenzio”. In questo modo i leopardiani “inganni della gioventù” (p. 52) si stemperano nell’ammaliante incanto della musica e la perdita si trasmuta in poesia. La presenza della poesia. L’assenza della donna amata, vagheggiata in una memoria che ripercorre, con delicatezza e commozione, i momenti più vivi dell’esistenza comune, si traduce nella presenza della poesia, nel suo potere liberatorio. E dico “liberatorio” a ragion veduta. Infatti, insieme al prevalente scenario notturno di cui ho detto, un altro elemento, insieme fisico e metaforico, che si evidenzia nel libro di Spagnuolo è quello spaziale. Sparse fra le varie liriche (oltre settanta) troviamo infatti parole come “muri” (e “mura”), “pareti”, “stanze”; e possiamo leggere versi come i seguenti: “Lo spazio è prigioniero di se stesso/in una cella che toglie la memoria” ( p. 41). L’abitazione che custodiva gelosamente il felice amore della coppia, si trasforma, malignamente, nell’angusta cella di una prigione. E una prigione nella quale gli specchi (altra presenza significativa del libro) non fanno che moltiplicare l’assenza, la solitudine e il silenzio, facendo del mondo e del suo spessore un “riflesso spettrale” (p. 38). Non solo: anche la memoria si dà per “frammenti”, e in quanto al futuro, esso “non concede speranze” (p. 73). Da questa situazione che sembra senza sbocco, ecco scaturire il sogno di evasione, il sogno di “salire sul treno senza meta” (p.20): fuggire, non importa in quale direzione. Sogno vano, naturalmente. L’unica liberazione – e il poeta lo sa bene – è quella offerta dalla poesia, dalla sua musica sempre uguale e sempre diversa, con la quale “i giorni che scorrono monotoni” (p.81) possono farsi ritmo e melodia e acquistare senso. Si leggano, ad esempio, questi versi: “Ho amato le tue mani delicate/incastonate nell’incertezza delle dita/per quella intimità che ripeteva/il verde della gioventù improvvisa” (p. 48). O questi: “Le mie mani ti vorrebbero ancora,/ ma stringo inutilmente le mie dita/tra il cuscino e il silenzio” (p.77). Versi esemplari di quel surrealismo domestico di cui ho detto sopra, ma anche rimarchevoli per una scansione esatta, senza sbavature. Altre volte il poeta sa trovare attacchi di immediata, coinvolgente forza emotiva, come questo: “Come vorrei parlarti ancora un poco/fra le tue nuvole che non hanno senso” (p. 31): l’aura metaforica si squarcia e appare il cuore nudo, nel suo così umano e toccante desiderio Ma il poeta ha molte frecce al suo arco e talvolta contrappunta efficacemente il prevalente tono musicale con versi di andamento prosastico, eppure innervati dall’energia che può scaturire solo da una dolorosa esperienza di vita: “Mi stordisce la vertigine di questa estrema forma di dolore” (p. 57).
Fedele alla sua “visione segreta” (p. 17), Spagnuolo ha scritto un libro di notevole unità, dove il dato biografico non si presenta mai nella sua spoglia oggettività ma si dà al lettore nella mediazione della poesia-musica, con la sua presenza che sa essere più reale del reale: non un surrogato di vita, ma vita essa stessa, nella sua impalpabile ma autentica libertà.
SAURO DAMIANI

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