DOMANDA, D’ESTATE
Quando saremo nomi
e nient’altro, e del sangue
che insorge nelle vene
insieme a questo sole
si sarà spenta l’eco,
quando sarà per sempre
morta la primavera
e del nostro passaggio
nella vita avrà fatto
giustizia un fiero vento,
non sarà dolce all’anima vagante
la pietà d’un ricordo?
Qui intanto si consuma
l’estate e i falchi lanciano
al cielo mille sfide
di gridi e voli.
*
A L B A
Àlbica, il giorno pecora s’avvita
appena nato al primo
clacson di bus, a gorgogli di suoni,
a fiati di caffè,
a soffi di fonemi. Incarnazioni
umane, cifre cangianti del tempo
e caduche s’affrottano, diffusa
plebe fortuita, al rombo di corriere,
alla viltà dell’ovvio caldo e certo.
Ma l’infula dei monti
verderobusta a noi dispiega sogni,
ci guida all’attentato d’ogni iperbole
fanatica volgare di consumi,
c’invita al lauto pranzo d’erba, ai vivi
affetti, al dolce cato, all’avventura.
Così tra segni d’ignavia vivremo
e impeti di cuore ove s’addensa
questo mesto lucore.
(Anche il sole canuto ci riporta
Elena diademata,
madre di battaglie, a danno di Troia.)
*
EPISTOLA PRIMA
(Lettera alla sorella)
Dal medesimo grembo al sole sorti
fummo dannati a vivere lontani,
sorella grande, noi che affascinammo,
fanciulli, lune e legna e sogni e tronchi
per la nera cucina o per la breve
stagione di speranze. E quanto odiammo
gli agricoli lavori e della vite
corimbi e foglie per via del solfato
da spargere puntuale , e soprattutto
gramigne e logli, infesti e laboriosi.
Oggi invece mi è sposa
la terra che al mio abbraccio già si scioglie
in voli di filari e per le viti
mi genera il suo frutto.
Per questo con le mani
arronciglio carezze, con la zappa
d’argento ne sfioro la pelle, il fiato
ne bevo, colono caduco. E al miele
languido dell’alba mi levo. Invece
tu, sorella, persisti in disamare
e campi e viti. A me il padre trasmise
con chiuso pianto eredità di terra.
*
EPPURE
basta talvolta uno sfaglio di luce
per svelare allo specchio un’impensata
cifra di rughe, per indurre a somme,
per indagar mastrini, entrate e uscite
a una a una, senza scuse o sconti.
Io venni solo e navigai tra gli astri
nel cosmico disordine dei cieli
ed approdai a un fango da plasmare:
era il mio corpo infante. Con lui crebbi
in triste gioia, tra abbracci e ripulse.
Corsi la vita e colsi i suoi momenti
con animo vorace qualche volta
e qualche volta parco. Ora mi pare
che i totali mi danno debitore
e non so più che farmene di questi
miei giorni srotolati in furia, senza
misericordia, e poi svenduti al primo
giallo mercante ( e guarda che invasione
di compravendite se luce a picco
si leva e garantisce esuberanza
d’oro e profusi guadagni!). Saranno
cónti serali (moderatamente
finali) a dirci con certezza il saldo
e se il puntuto dardo di speranze
abbia colto la mela della vita.
Io venni al sole . . .
*
SE TI GUARDO
Se ti guardo, mia donna, in questo passo
a volte dolce e quotidiano, a volte
gravoso come un masso, in questo passo
ch’è sempre in salita
e che diciamo vita,
in questo lento incedere ( o restare?)
spalla a spalla, raccolte
poche cose, le meno amare,
se te, se me io guardo
uniti fin nel respiro e nel caldo
dei corpi e dei pensieri,
in questo fluire tenace e mansueto
dell’amore e delle ore ( di tutte,
di ognuna), se col consueto
ardore sbriglio suoni prigionieri,
versi e pensieri,
allora leggo la storia di due atomi
congiunti solamente per un attimo
nel marasma del tempo, donna mia,
e dello spazio, disperatamente
e certo casualmente,
nella sterminata via
dell’universo. Eppure grato ci occorre - 1
questo minimo tempo, e ci basta.
*
Pasquale Balestriere
*
1 - dal latino ob-currere = venire incontro .
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