mercoledì 6 novembre 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ROBERTO PIPERNO

Roberto Piperno, Sull’antisemitismo, con un’antologia di testi antiebraici, Editrice La Giuntina, Firenze, 2008, pagg. 288, 16 euro, Prefazione di Walter Veltroni

Segnalo come fonte dalla quale attingere preziosi e laceranti elementi di meditazioni problematiche su quell’antisemitismo che, nel Secolo appena trascorso, il ‘900, si è spinto fino all’atrocità dei campi di sterminio nazisti, vergogna incancellabile sull’intera storia della nostra civiltà il saggio di Roberto Piperno, Sull’antisemitismo, con un’antologia di testi antiebraici, Editrice La Giuntina, Firenze, 2008. Questo libro si avvale di un ampio e rigoroso saggio storico introduttivo che l’autore affianca efficacemente ad una ricca, precisa, ben articolata antologia di scritti antiebraici, (a partire dalla seconda metà dell’ 800 fino ai giorni nostri), come base sulla quale edificare la convinzione che una più sicura e più diffusa conoscenza delle motivazioni sulle quali si fonda l’antisemitismo possa contribuire alla necessità, sempre più stringente, di porre fine a queste secolari persecuzioni allo scopo di favorire l’avanzamento generale della società contemporanea. Perché, come giustamente sostiene Roberto Piperno, il problema ebraico non è soltanto «ebraico» ma è, al contrario, un problema di piena, completa realizzazione delle democrazie. E questo saggio lucido, rigorosamente sviluppato, è perfino necessario nel raggiungimento del severo e luminoso traguardo della maturità democratica, della «democrazia compiuta» di cui lucidamente parla in Prefazione Walter Veltroni, in grado di resistere a ogni tentativo negazionistico. Punto di forza di questo libro è lo stile adottato dall’autore, ove per “stile” sono da intendere l’armamentario linguistico, la nitidezza di scrittura, le scelte tono-lessicali, la chiarezza espositiva. In Memoria del male, Tentazione del bene Tzvetan Todorov scrive:«Ho scelto di mescolare a questa riflessione sul bene e sul male politici del secolo un richiamo di alcuni destini individuali fortemente segnati dal totalitarismo, che tuttavia hanno saputo resistergli. Gli uomini e le donne di cui parlerò non sono del tutto diversi dagli altri. Non sono né eroi né santi, e neppure dei «giusti»; sono individui fallibili, come voi e me. Tuttavia, hanno seguito tutti un itinerario drammatico; hanno tutti sofferto nella loro carne, e al tempo stesso hanno cercato di far passare il frutto della loro esperienza nei loro scritti. Costretti a vedere da vicino il male totalitario, si sono mostrati più lucidi della media e, grazie al loro talent, come alla loro eloquenza, hanno saputo trasmetterci ciò che avevano imparato, senza però mai diventare dei perentori distributori di lezioni[…]». Ho pensato, dal canto mio, di parlare di questo autore e del suo saggio sull’antisemitismo perché sulla scia todoroviana in questo libro, e nei suoi antefatti, in Roberto Piperno ho colto proprio la vitalità dell’«umanesimo critico», quella vitalità di resilienza, di talento, di eloquenza, di ekphrasis, per cui lo spavento subìto non è stato in grado di trasformarsi né in paralisi del pensiero né in frattura dell’azione quotidiana. Lo spavento subìto non si è trasformato neppure nella paralisi del gesto etico-estetico perché Roberto Piperno ha continuato a credere nell’uomo. Riferendosi al ‘900, scrive ancora T. Todorov:«Come ci si ricorderà un giorno di questo secolo? Sarà chiamato il secolo di Stalin e di Hitler? Sarebbe accordare ai tiranni un onore che non meritano: è inutile glorificare i malfattori. Gli si darà il nome degli scrittori e dei pensatori che erano, da vivi, i più influenti, che suscitavano più entusiasmo e controversia, quando a cose fatte invece ci si accorge che si sono quasi sempre ingannati nelle loro scelte e che hanno indotto in errore i milioni di lettori che li ammiravano?[…]». Sarebbe un imperdonabile, tragico atto riprodurre nel nostro presente gli stessi errori del ‘900. Conclude Tzvetan Todorov:«Per parte mia preferirei che si ricordassero, di questo cupo secolo [il Novecento], le figure luminose di alcuni individui dal destino drammatico, dalla lucidità impietosa, che hanno continuato malgrado tutto a credere che l’uomo merita di rimanere lo scopo dell’uomo». Ogni libro ha delle intenzioni che lo sorreggono, ma anche degli antefatti che suonano come spinte catalitiche. Queste spinte le ho sentite e individuate nel clima del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma del 16 ottobre del 1943 che Roberto Piperno ha suggellato nei versi di Clandestino/(Alle Suore Betlemite*):”Sì torniamo spesso a quella stanza/con la finestra stretta dalle inferriate/clandestini nascosti/approdati da notti insonni/in fuga e affogati dalla fame e dal deserto/attenti a non farsi riconoscere/mai/ – c’è sempre chi ti può denunciare/magari solo per poter raccontare/di avere fatto il proprio dovere/ o per pochi soldi da sfamare/sì torniamo spesso a quelle inferriate/giornate lunghe senza fine/spudoratamente attenti a non orinare/per paura di essere scoperti/magari puzzzzzolenti/senza mai dare fastidio/ neanche il più piccolo rumore/per chi ti ha nascosto/clandestino che non deve comunicare/ sì andiamo tu ed io a ricordare/ quando la luce si spegne con il buio/ per non denunciare la presenza/ nel nascondiglio non si può parlare/al massimo ricordare quel nome/un nome nuovo da non dimenticare/su quella carta fasulla/ l’identità sdoppiata che ti accompagna/senza mai sostare/sì il clandestino non sa se ha paura/ d’essere scoperto o d’essere quel nome/che non potrà mai negare,/il clandestino aspetta tutta la vita/ di svegliarsi e,/non sapendo più quale nome chiamare,/affogare.” (da Sala d’attesa, Edizioni Campanotto). [*All’età di cinque anni, dall’inizio di gennaio al 4 giugno del 1944, per sfuggire ai nazisti rimasi nascosto e quasi segregato in un seminterrato – con mia madre, mia sorella e le mie due nonne, tutti forniti di nuove carte d’identità, con nome, provenienza e religione diversa – presso il Monastero delle Suore Betlemite di Roma, alle quali va la mia permanente riconoscenza.]. Le testimonianze di «umanesimo critico» di Primo Levi, di Edith de Hody Dzieduszycka,( che negli scritti strazianti di Nella notte un treno ricorda Camille, suo padre, morto a Mauthausen-°), e ora di Roberto Piperno, sono qui davanti a noi per aiutarci a non disperare.
°"Per la verità storica si precisa che Camille, il papà di Edith de Hody Dzieduszycka, non era ebreo e fu catturato dai nazisti perché legato alla resistenza francese che si richiamava a de Gaulle."
*
- Gino Rago

1 Commenti:

Alle 6 novembre 2019 alle ore 09:09 , Blogger Lucia Gaddo Zanovello ha detto...

Non si parla mai abbastanza del male assoluto.
Una recensione estesa, profondamente partecipe e utile a un meritorio, giacché occasione di nuova sofferenza, ma ineludibile lavoro di memoria.

 

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