Gino Rago (a cura di), AA. VV., Poesia Contemporanea Internazionale verso il Paradigma dello Specchio (un progetto editoriale di prossima pubblicazione)
Prefazione
Lo specchio come metafora stessa della filosofia, come dolore o lutto del «ciò che è stato, ciò che è, ciò che sarà», senza sorvolamenti sulla mitologia e sulle lotte senza tempo Narciso-Eco- specchio d’acqua e immagine riflessa di sé della quale non è poi difficile innamorarsi. Su alcuni degli aspetti ruotanti intorno al paradigma dello speculum Giorgio Linguaglossa, meditando sullo specchio, anche come metafora della filosofia, scrive:« Che cos’è lo specchio, per la filosofia è ancora un mistero. Che cos’è? Un nulla? Un qualcosa?. O l’uno o l’altro.
Mi si dice che non è né l’uno né l’altro, che non è né un nulla né un qualcosa. Bene, e allora cos’è? E perché ci inquieta così tanto?. Il mito di Narciso ci dice qualcosa, ma qualcosa che narra dell’io, del sorgere della consapevolezza dell’io, il primo bagliore dell’autocoscienza; con il che diventiamo duali: io e l’altro, io e il mio riflesso.
Ma, ci chiediamo, c’è dell’altro? Se rivolgo lo specchio verso il cielo, vedo il cielo, se lo rivolgo verso il mare, vedo il mare. E allora? Allora, direi che lo specchio ci rivela qualcosa, qualcosa di essenziale, che io, il cielo, il mare, le nuvole e tutte le cose che stanno nel mondo sono, siamo un effetto di specchio… anche i nostri occhi sono uno specchio, nell’occhio si riflettono tutte le cose del mondo, così quando io guardo uno specchio è come se uno specchio fosse posto davanti ad un altro specchio: lo specchio dei miei occhi specchia il nulla che è in me e che è nello specchio, il nulla fatto di pieno, di cose piene. E allora non possiamo non giungere alla conclusione che lo specchio è un nulla che riflette un altro nulla.
Direte voi, e allora lo specchio è uno zero? No, perché lo zero è un numero e, posto lo zero, implicitamente pongo tutti i numeri. E allora non resta che riconoscere che lo specchio è un nulla che ci rivela il nulla di tutte le cose. La vertiginosa abissalità dello specchio ci conduce vicino all’esperienza del nulla che è qualcosa, qualcosa fatto di nulla…
Che cos’è lo specchio? E perché ci riguarda da vicino?
Che cos’è l’ombra? Che cos’è l’ombra riflessa nello specchio?
Davvero inquietante».
Linguaglossa conferma così la natura aporetica dell’oggetto-specchio, secondo l’idea di T. W. Adorno, in Dialettica negativa, Einaudi, 1970, pag. 68: “ Lo specchio è un concetto aporetico per eccellenza, perché converte il più concreto nel più astratto, e quindi il più vero nel più falso. In ciò lo specchio è l’esatto contrario dell’essere, concetto anch’esso aporetico in sommo grado, perché quest’ultimo «trasforma il più astratto in più concreto e quindi più vero»”.
*
Silvana Baroni
Persa e ritrovata
Semplice, più che semplice
si tratta di allontanarsi e tornare
che non è altro che attraversare – di questo si tratta.
Sul bordo dello specchio schivo il taglio
un colpo di reni e libera! carne igienica finalmente!
Così da non rispondere all’insistente centralino
e smetterla d’appassire nella solita poltrona
a dire al gatto che il filosofo è un disperato assassino
d’omicidi ininterrotti.
Oh vitreo viso! Alveo di buio da cui risorgere!
Certo che mi vedo! Ho la faccia dei miei morti
sono il sosia d’una comunità di conclusi.
Eppure esito, che il sentimento è un lusso
preferisco negarmi,
farmi vedova d’oscura innocenza
tornare all’immagine sbaciucchiata, persa
e ritrovata da labbra settembrine
che nel fascio di luce dello specchio
ancora sono gesti
a garanzia d’accoglienza, giusto il tempo
di stringermi ad ogni loro dettaglio.
Scivolo nei bulbi, attraverso il diametro delle sfere
mi perdo nel tempo perso dalla luna, nel riflesso di lei
che ancora vuole che io sia.
*
Giuseppe Gallo
Lastre a specchio
Sullo sfondo il palazzo di ferro e cemento
ha una parete di vetro con la polvere addosso
rivolta ad oriente per riscaldarsi al sole.
E su e giù e a destra e a sinistra altre lastre a specchio
anch’esse annerite.
Ogni tanto un riflesso
un luccichio maturo di tramonto.
Puntando gli occhi a volte
ci incontriamo in quel balenio,
raro come una chiara pupilla,
e ci sembra in quell’istante il mondo,
con le cose e la materia,
un lampo.
Il crollo del nel nostro destino
*
Mauro Pierno
Avvenne per acclamazione.
Ricevettero tutti quanti palette riflettenti.
Le uniformi regolari anche.
Ai polsini led intermittenti.
Tutti avrebbero fermato tutti.
Si posizionarono.
Fu convenuto un unico fischio,
un richiamo morbido.
Un fruscio incontrollato di uccelli.
E avvenne
*
Lorenzo Pompeo
Specchio, specchio delle mie brame
restituisci il contorno
a questa pletora di fantasmi,
questo sciame di profilattici,
questo almanacco di sembianze
aggrappate a una molletta,
questa vita sciupata,
neoplastici arabeschi
che si moltiplicano
all’ombra di sillabe stanche.
Specchio delle mie brame
raccogli i riflessi
di quel muro annerito
su cui sono venuto su,
rampicante docile e tenace,
per celebrare ancora
le menzogne del volto.
*
Ghiannis Ritsos
[da Crisotemi]
” […] In una grande stanza disabitata era appeso da anni
un antico specchio dalla cornice d’oro. In quella stanza
non entrava nessuno. Là dentro gettavano alla rinfusa
tutto il vecchiume inutile – lampade, poltrone, candelieri, tavolini,
ritratti di antenati e altri di generali deposti, di poeti, filosofi,
vasi di cristallo dalle forme strane, treppiedi, bracieri di bronzo,
grandi maschere di gesso o di metallo, e altre piccole di velluto nero,
teste imbalsamate di cervi e fiere, uccelli
multicolori impagliati, azzurri e d’oro, dai becchi adunchi-
di cui ignoravo il nome-
attaccapanni, armature, consolle e tende pesanti,
di solito color porpora o verde scuro. Quello era il mio rifugio.
C’era un odore di stoffa tarlata, di polvere e frescura. Dunque,
lo specchio, appeso in alto sul muro, concentrava tutta quanta la luce-
era l’occhio
della stanza cieca piena di anfratti.
Quell’occhio
regnava calmo e intramontabile sull’inservibilità e la desolazione,
anzi le immortalava; – memoria sacra nell’oblio profondo.
Una sera,
salii su un baule e mi guardai allo specchio; – non vidi niente –
niente, soltanto luce – una luce oscura, come fossi io stessa
tutta quanta di luce – e lo ero veramente. Compresi, allora,
(o forse ricordai) ch’ero sempre stata luce. Un ragno
passeggiava sul chiarore dello specchio e sul mio viso. Non
mi spaventai affatto” […]
*
Umberto Saba
Lo specchio
Guardo un piccolo specchio incorniciato
di nero,
già quasi antico, semplice e severo
a un tempo.
Una fanciulla -
nude l'esili braccia - gli è seduta
di contro. Ed un ricordo
d'altri tempi mi viene, mentre in quello
seguo le sue movenze e come al capo
porta le braccia, e come ai suoi capelli
rende la forma dovuta. E il ricordo
narro a mia figlia, per diletto:
«Un giorno
fu che tornavo di scuola. Il maestro
ci aveva fatta ad alta voce e come
allora usava, una lettura. Immagina
un bambino che va solo in America,
solo a trovare sua madre. E la trova
sì, ma morente. Che se appena un attimo
ritardava, era morta. Io non ti dico
come a casa giungessi. E quando, vinto
dai repressi singhiozzi, apro la porta
e volo incontro a mia madre, lei vedo
al tuo specchio seduta, nello specchio
il primo suo capello bianco.
Forse
- oggi lo so - forse non era solo
amore il forsennato, il doloroso
affetto che per lei sentivo. Forse
altra cosa era in me che sì alla vista
mi feriva di quel presagio mesto.
E piansi, stretto a lei piansi sì forte,
ch'ella dovette al fin sgridarmi.
Ed ecco
tu ridi adesso, e anch'io ne rido, o quasi,
ma non quel giorno, o quelli poi».
«Non rido,
babbo di te - mi risponde -; ma tanto
s'era a quei tempi, o eri tu solo tanto
stupido?»
E getta le braccia intorno al mio collo e mi bacia,
e dallo specchio e da me s'allontana
*
Charles Simic
Specchi e miracoli
Specchio pesante trasportato
Sull’altro lato della strada,
Mi inchino a te
E a tutto quello che in te appare
Per un momento
E mai più allo stesso modo:
Questa strada col suo cielo rosa,
I casamenti grigi messi in fila,
Un cane solitario,
I ragazzini sui pattini a rotelle,
Una donna che compra i fiori,
Uno che sembra perduto.
A te, specchio incorniciato d’oro
E trasportato dall’altro lato della strada
Da qualcuno che nemmeno riesco a vedere
E al quale, inoltre, io mi inchino.
*
Antonio Spagnuolo
"Contro lo specchio"
Sono frammenti di scritture anche le schegge
nella falce di luci sulle guance,
ove il rosa è sbiadito con il tempo.
Contro lo specchio
suoni e colori cercano l’assurdo
gettato alle dita attraverso quei gesti,
uncinati al fulgore del desiderio,
e tu curva infinita rimani nel nulla
a coniare leggende.
Hai disperso i segreti , le lusinghe , i coltelli
fra le ombre assediate dai riflessi,
fino a sbiancare nelle pupille irrequiete
il cristallo che compone figure.
Improvvisa farfalla finisci nelle ombre
ove tace disperato ogni segno.
Resta solo il velo dell’attesa
in vertigini e disperde
o frantuma il silenzio tra le figure
dell’infinto splendore del niente.
La mia furia attraversa il proibito,
che divora me stesso ed abbandona
le offerte ricucite.
Scivolando in preghiera,
vana promessa di un frasario imprudente,
oltre la cieca impazienza, confondi i rimandi.
*
Giuseppe Talìa
Speculum
Morirò su questa cyclette
lo sento dal battito del cuore
e da questa gronda di sudore
che mi cola dalla fronte
come il sangue del Cristo.
Il mio specchio è un retrovisore.
Una Venere lotta con il tapis roulant.
Le conto le costole.
Ne mancano due all’appello,
quelle fluttuanti sul decorso
obliquo del Summa Theologiae.
Mi riempie gli occhi
ma non posso fermarmi
– sarebbe una sconfitta –
nonostante avverta una fitta.
Imposto il programma a barre intermittenti.
Zompo come una marionetta.
Respiro attraverso la cuffietta.
Arriva, arriva il vento!
Si specchia nello specchio:
Anemosssss
Kathorossss
Una lunga fila nella sala attrezzi
del purgatorio.
Gli abbonati alla tortura
sferrano attacchi ai pesi,
ai manubri, ai dischi contesi.
I corpi si bilanciano,
entrano in trazione;
alzano e abbassano maniglie
in un rumore di ferraglie.
Lo specchio a cui tutti si specchiano:
l’inferno-out, il paradiso-in.
E’ una via crucis lo spin
asciugamano e bottiglietta- biberon.
Morirò su questo vogatore, lo sento
quando l’istruttore- Caronte- moggio
mi incita a non cedere il passo
a superare l’orlo del collasso.
L’esercizio terminerà tra qualche minuto.
Premere un tasto qualsiasi per continuare.
Secondo voi che faccio?
*
Conclusioni
Più di una volta ci siamo soffermati sulla dialettica problematica uomo-immagine-specchio. L’immagine allo specchio ci rivela il nostro sembiante come un «gioco» di significanti e di significati, di codici e di geroglifici inscritti tra le pieghe del nostro volto […] Un contesto di «gioco» nel quale la Parola, nel suo significato, rischia di farsi ambigua.
Da questa ambiguità trae l’origine il «lutto» e da questo l’ impedimento al pieno dispiegarsi dell’adempimento nel tempo della «Storia».
La storia individuale è quindi una ripetizione del «gioco luttuoso» del Trauerspiel, ripetizione infinita della rottura, della non congiungibilità tra suono e significato, della differenza tra significante e significato, del permanente rischio di parlare tramite la ciarla, facendo scadere la parola a chiacchiera se non a urlo gutturale da caverna.
Da uno studio puntuale condotto sul tema “Autotrasparenza e Autoriflessività” Linguaglossa precisava:«[Autrasparenza e Autoriflessività] sono due momenti dello «specchio» intorno ai quali ruota la rappresentazione nel Moderno. La rappresentazione si fa rappresentazione di sé, si duplica, si mostra nella trasparenza e nel riflesso allo specchio, mostra la propria struttura riflessiva e, nello stesso tempo, mette in atto un rapporto con il soggetto della rappresentazione di cui smarrisce la genesi; il soggetto si mostra «barrato» nella elisione, direbbe Lacan*, indicando in tal modo la lacuna intorno a cui si costituisce la rappresentazione, lacuna che colpisce, a ritroso, il soggetto, elidendolo. Così, il linguaggio tende al metalinguaggio e l’io tende al meta-io.
L’atteggiamento giubilatorio del bambino davanti allo specchio è, per Lacan, la seduzione dello specchio, la fascinazione in cui si produce quello sdoppiamento nel soggetto per cui l’immagine riflessa diventa l’emblema nel quale il soggetto si riconosce e si identifica. Si è colti in imago prima ancora come persona, si è catturati dall’immagine statuaria che si produce sulla superficie dello specchio. Il corpo è la sede dell’ingovernabilità, in balia dell’altro e della propria inibizione motoria. Il corps morcelé è l’espressione che Lacan utilizza per descrivere questo stato. Il «corpo-in-frammenti», è l’altro polo di questo processo che detta le regole, da un lato, alla disgregazione del soggetto tra la sua immagine unitaria, ortopedica, come dice Lacan, in cui il soggetto si aliena, e la frammentazione che rivela al soggetto il soggetto.
Lo specchio è quel luogo in cui il soggetto scopre la sua alienazione primaria e in cui accade qualcosa che appare nel registro della finzione: la formazione di sé nell’immagine».
* M. Foucault, Les Mots et les choses, Gallimard, Paris 1966; trad.it. Panaitescu E., Le parole e le cose, Rizzoli, Milano, 1967 .
Anche su questi precisi aspetti che ruotano intorno al paradigma poetico-speculativo dello specchio i nove poeti, estratti dalla antologia di prossima pubblicazione, Silvana Baroni, Giuseppe Gallo, Mauro Pierno, Lorenzo Pompeo, Ghiannis Ritsos, Umberto Saba, Charles Simic, Antonio Spagnuolo, Giuseppe Talìa, pronunciano una parola nitida, diretta, icastica, nella consapevolezza che a uno specchio e alla immagine che esso riflette ci si può accostare nella verità o nella vanità, o nella pazienza…
Gino Rago
Telepatia...diceva il grande Eduardo è quando io non busso e tu apri la porta. E in questo caso quando ad accoglierti in casa Spagnuolo è un cerimoniere di eccezione, appunto lei caro Rago, la soddisfazione raddoppia.
RispondiEliminaE poi in così tanta buona compagnia! Babà per tutti.
Grazie Spagnuolo.