Giuseppe Vetromile – Cantico del possibile approdo – (Poesie del sicomoro)--Scudieri Editrice – Avellino - 2019 – pag. 59 - € 10,00
Giuseppe Vetromile, l’autore del testo che prendiamo in considerazione in questa sede, è nato a Napoli nel 1949 e svolge la sua attività letteraria nella città in cui risiede dal 1980, Sant’Anastasia, nei pressi di Madonna dell’Arco. Scrive Giuseppe Vetromile nella premessa a Cantico del possibile approdo che questa poesia non trova spazio se non nel tentativo di darci una risposta unica e certa: poesia, dunque, come tensione salvifica per aprire all’autore e ai lettori un varco, in senso montaliano, che porti ad una soluzione al dramma di un esistere, di un esserci nel tragico postmoderno occidentale, che vede l’uomo alienato e sradicato dai suoi valori essenziali. La salita sul sicomoro, gigantesca pianta africana, diviene simbolo di una compiutezza dell’essere umano nel trovare il senso della vita., un centro di gravità permanente. Il sicomoro, dopo la salita diviene, dunque, simbolo salvifico da cui ridiscendere con un vago barlume di Dio nel cuore. appena un sentore di certezza ultraterrena. In questa possibilità di un’uscita mistico-religiosa, Vetromile si differenzia da Montale, che non credeva in nessuna forma di trascendenza, anche se ne era attratto da una vaga idea. La poesia di Cantico del possibile approdo è permeata da un forte misticismo cristiano: il canto, infatti è spesso rivolto a Dio e in esso riecheggiano passi della sacra scrittura. Il Dio di Giuseppe Vetromile è del tutto immanente e pervade con la sua essenza anche luoghi come condomini e sottoscala. L’approdo diviene una possibilità di una condizione di vita umana a misura d’uomo e serena e, per giungere sul limbo felice di tale approdo, il mezzo è proprio quello del cantico, della poesia. Cantico del possibile approdo ha una valenza spiccatamente poematica, anche per il fatto di non essere suddiviso in scansioni e, per la sua brevità, può essere definito un poemetto. Come scrive Enzo Rega nell’acuta prefazione al testo, Cantico di un possibile approdo è un libro complesso e sapientemente costruito, che non nega l’urgenza del dire, semmai la pone sotto il controllo dell’arte, un testo, che, pur nel notevole impegno etico, si pone come letterario, e non come un pamphlet. Nel forte connubio tra impegno etico e poetico, in questo libro, forse ancora più che in altri, Vetromile si confronta con elementi, personaggi e vicende della Scrittura, cercando nella dimensione religiosa, il possibile approdo che ci sottragga all’insensatezza di quel veleggiare senza ormai alcuna bussola che è diventata la nostra vita; attraverso l’immersione nel misticismo si rivela la tensione etica di Vetromile, nel cercare un bene, che vinca il male, proprio nel dare alla quotidianità una dimensione del sacro. Il libro di Vetromile, dunque, in un panorama poetico come quello contemporaneo, caratterizzato, prevalentemente, da una poesia laica e soggettivistica, si propone come un unicum e, per certi aspetti, la poesia di Cantico del possibile approdo, potrebbe essere avvicinata, vagamente, a quella di Turoldo. Spesso il tono e la cadenza di Cantico del possibile approdo hanno una forma e un’intonazione biblica, soprattutto veterotestamentaria e, molto accentuata, è l’aggettivazione: tutto tende ad una redenzione attraverso immagini ricche di religiosità, come quando l’autore si rivolge ad un “tu” al quale reca essenza di asfodeli bianchi, estorti dai laterizi abbandonati del quartiere, nella poesia intitolata Il mistero degli Arcangeli, nella quale è presente, viene detto, anche il Rosario recitato dalle vecchiette nella sera, unica purezza rimasta attaccata ai banchi della chiesa.. Lo stile dell’autore è sinuoso e icastico, certamente non leggero, e non manca un forte e vago senso di mistero nei suoi versi, mistero del tempo della vita umana che si condensa, in senso agostiniano, in una dimensione metatemporale di presente: tutto questo si coniuga con una stabile tensione verso una fiduciosa attesa di una dimensione altra e definitiva dell’esistere. A volte l’interlocutore dell’io-poetante è il personaggio evangelico Zaccheo: - “Salirai ancora sul sicomoro, o curioso Zaccheo, per vedere meglio cosa sia questa voce e questa luce/ che rompe l’ordine del mondo e la quiete, regalando alternative, amore e nuova vita/ a destra e a manca, qui nel quartiere dei qualunque/”. Dal sicomoro, dunque si vede una luce, che, facilmente, può essere interpretata come viatico di salvezza. Pare esserci una certa pesantezza, nel versificare di Vetromile, ma da intendere come indizio positivo, pesantezza legata anche al verso lungo, che l’autore pare preferire. Tutte le poesie sono suddivise in strofe e il ritmo è incalzante ed è presente una certa musicalità; tutto è sognante, in questo libro, tutto è sotteso ad un senso forte di sospensione. Nella postfazione Armando Sarveriano afferma che la lingua è incarnazione del poeta e il poeta è incarnazione della lingua, assillo che qui come mai si ripropone, grazie alle angolazioni dello sguardo, alle sottolineature del rapporto tra poesia e senso e/o istinto religioso, tra realismo e fulminazione (delicata e propositiva, assorta e agrognola) visual- visionaria, tra concretezza percettiva (che si addentra nei dettagli e vi raddensa legittima curiosità) e divagazione mai fine a se stessa (il sorriso che include lo sgomento, l’improbabile che suscita, un attimo dopo, la pensosità). In definitiva, la scrittura di Vetromile, attraverso il misticismo e il sacro, cerca di dare senso all’umano esistere, proponendosi in un modo tale da poter intrigare anche il lettore laico o agnostico.
*
Raffaele Piazza
Nessun commento:
Posta un commento