Mario Lopez – Il filosofo osceno-- Puntoacapo Editrice – Pasturama (Al) – 2013 – pagg. 101 - € 11.50
Mario Lopez è nato nel 1966 a Genova dove vive; ha pubblicato due raccolte di poesia.
Il filosofo osceno, la raccolta del Nostro che prendiamo in considerazione in questa sede, è scandita in due sezioni: Exit e quella eponima Il filosofo osceno.
Il testo è preceduto dallo scritto introduttivo Lopez e l’oscenità del pensiero di Emanuele Spano.
I componimenti del libro hanno come cifra essenziale una forte verticalità, anche quando sono costituiti da più di una strofa; questo elemento porta ad una rarefazione del dettato e ogni segmento è felicemente risolto in lunga ed ininterrotta sequenza.
Lopez ci presenta una poetica del tutto antilirica e pratica una scrittura intellettualizzata e vagamente filosofica, nella quale predominano la riflessione e l’interiorizzazione di un io-poetante molto autocentrato.
È uno scendere nei meandri dell’inconscio quello dell’autore, nel suo emergerne portando alla superficie le immagini e le sensazioni dette attraverso la parola poetica, nel suo pronunciarsi con urgenza.
I componimenti, connotati da chiarezza, nonostante l’apparente oscurità, sono carichi di significati e presentano una forte densità metaforica e sinestesica.
Il poeta, attraverso la sospensione e lo straniamento arriva ad esiti alti, con un linguaggio originale sotteso ad un’idea dominante.
A volte il gioco dei versi oscilla tra erotismo e misticismo e c’è un “tu,” presumibilmente femminile, al quale Mario si rivolge.
I versi a volte sono costituiti da un’unica parola.
Il tono è assertivo ed epigrammatico, scabro ed essenziale e minima e l’aggettivazione mentre è forte lo scarto poetico dalla lingua standard.
Quello che si nota subitaneamente è la velocità dei versi, scattanti e icastici, nel loro fluire neobarocco.
È un pensiero che riflette su sé stesso, quello che s’incontra in Il filosofo osceno, un vero e proprio filosofeggiare in cui l’oscenità diviene l’approccio disarmante con il quale il poeta si rivolge a sé stesso e al “tu”.
Nella prefazione ricca di acribia Emanuele Spano, per illuminarci sulle ragioni di questa scrittura, parla di un nuovo etimo della parola osceno, ben diverso da quello del significato usuale.
Osceno è quello che letteralmente è “fuori scena”, che è estromesso dal palcoscenico, gettato fuori dal contesto: ciò che la scrittura deve
interpretare, riportare a galla per addentrarsi nella selva del reale e coglierne le contraddizioni.
Eppure accanto a questa accezione persiste una traccia latente di quell’oscenità, intesa come sacrilegio, come spergiuro, in un mondo in cui ogni gesto sottratto all’automatismo perfetto del conformista è bollato come equivoco.
Il pensare stesso è “osceno” e la stessa poesia, sottesa al pensiero può divenire “oscena”
In realtà, se la poesia può diventare addirittura bestemmia, può essere anche preghiera, come insegna Mario Luzi, e questo nella sua acuta coscienza letteraria Lopez lo sa molto bene.
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Raffaele Piazza
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