SEGNALAZIONE VOLUMI = NADIA ALBERICI
Nadia Alberici, Cuciture (Poesie e Disegni), Quaderni della Fondazione Daniele Ponchiroli, Viadana, 2019, pagine 116, con una Nota di Gabriele Oselini e una Prefazione di Claudio Borghi, pubblicazione fuori commercio.
C’è stupore e consapevolezza nello sguardo con cui Nadia Alberici (nata a Viadana nel 1952) osserva il mondo, sguardo che si tramuta e si traduce nei versi compresi nella sua recente e bella raccolta Cuciture. Nella Nota introduttiva Gabriele Oselini, Presidente della Fondazione Daniele Ponchiroli che ha pubblicato il volume, dice dell’autrice: “poetessa e disegnatrice, la cui ricerca sulle dinamiche esistenziali dell’essere donna in un mondo moderno e antico nello stesso tempo, l’ha portata ad esprimere una visione della vita come realtà autenticamente vissuta con amore, passione e consapevolezza di sé. In questo contesto non mancano il sogno e il desiderio di fuggire dai condizionamenti dolorosi dell’esistenza”.
Il libro è diviso in quattro sezioni poetiche, ognuna preceduta da un disegno: “Le donne e l’amore”, “La mia natura”, “Quando ci corre la vita”, “Quelle tante dentro me”. Claudio Borghi, nella Prefazione, mette in risalto la capacità dell’autrice di “armonizzare il sentimento col pensiero”, “la continua, intenzionale ricerca, spesso felicemente risolta, di assonanze e libere associazioni visive e metaforiche”, le “invenzioni immaginifiche”. La sezione finale del volume comprende invece disegni con volti e corpi femminili.
Le “cuciture” a cui il titolo allude riguardano forse il nesso inestricabile delle cose e dei fatti dell’esistenza quotidiana con un altrove misterioso che, proprio grazie al qui e ora, si mostra e si manifesta attraverso frammenti e lampi improvvisi, un fruscio impalpabile, un soffio e “leggeri tocchi”. Partendo dal particolare la poesia di Nadia Alberici ci fa intravedere spiragli di assoluto (“Non senti il fascino dell’universo che mescola e rimescola / il vaso d’acqua e zucchero?”). Le stesse cuciture avvengono fra i dolori che il destino non lesina e l’amore che dobbiamo accogliere e fare crescere; fra l’incertezza inesorabile del cammino umano (“Sono nata sto vivendo morirò”; “Quando sarà il nero limite al bianco”) e il piacere di assaporare e respirare i momenti, gli istanti e gli attimi più gioiosi e gradevoli; fra le ferite, le lacrime, i dolori e gli abbracci, i baci, le tenerezze, gli incontri. “La vita”, scrive la poetessa-pittrice, “è tinta rosa e fuliggine”.
Il mondo rappresentato non tende alla magnificenza e all’eccezionale ma all’umiltà e alla semplicità (”Ho già sentito il fagiano e visto la lepre / già raccolto prove di piccole esistenze. Semplice essere dentro”). Basta apparentemente poco per vivere nella pienezza dei sentimenti e delle emozioni: “guardare il vento e aprire i suoi odori”, “uccelletti che schiamazzano nella siepe”, toccare “la pelle delle foglie”, “avere leggerezza guardare intorno e ascoltare profumi”, accarezzare “la schiena liscia del gatto”, “e la musica, la musica, gli alberi…”.
Per farci uscire dalla malinconia della solitudine basta “un desiderio di torta, di compagnia”, il verso di un fagiano dietro a un cespuglio, “…il fiore, la gemma, / il mare caldo dell’estate, la cima innevata”, il fruscio fra le foglie di un merlo, “la tortora, la gazza, la betulla, il nido”, “…gelsi e robinie con una floridezza piena”.
L’esplorazione poetica (“l’immateriale sostanza fattasi parola che risuona”; “indago la strada che compiono le parole”) passa attraverso l’attenzione ammirata per la natura: “Amo l’esplorazione che diventa un’orazione a mano / un lavoro da contadina con lo spostare frasche ingombranti”. In veste di “esploratrice di microcosmi” si ritrae l’autrice.
Il Po è citato nel libro più volte e con affetto (“amo il Po che ho salutato oggi pieno in piena”). Riporto alcuni versi di questa suggestiva poesia intitolata “L’argine ondeggia”:
“L’argine ondeggia sul limite fra paese e golena
è un’altura di pianura
solleva lo sguardo da una parte e dall’altra
s’ampliano due valli: una di case
e l’altra di viti e pioppi
è da lassù che s’imparano gli orizzonti e l’avventura”.
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Giancarlo Baroni
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