POESIA = ANNALISA MACCHIA
"L’urlo del fiore"
1
Le cose
sussurrano a chi ha orecchi
milioni di parole
ma il fiore
il fiore
con la festosa corolla
lo stelo esile e svettante
per me parlava col colore.
C’è voluta la notte
una presenza accanto a dirmi ascolta
per sentirne la voce.
Sbocciava ogni fiore au ralenti
stendeva fiero il petalo nell’aria
stagliava glorioso le curve tra l’erba
spiccava radioso il colore
le forme sfumando mutavano
nell’incredibile serra giardino
infine l’ultimo fiore
rabbrividendo ha oscillato
ha lanciato al cielo e alla brezza
tremuli orli di bocca spalancata
e l’urlo l’urlo muto del fiore
mi ha assordato.
L’urlo era un coro
un groviglio di voci
canoro respiro di terra di foglie
sonoro palpito di microorganismi
- invisibili piccole bocche
solleticate da un vento insistente
consolatore
(quale madre non teme per i figli?)
Da ogni minima bocca
soffiava bellezza
e terrore.
2
L’urlo
straccia veli salta confini
m’invade .
Sotto un cielo cangiante
avvolgente
ho corpo di legno mani di corteccia
balbetto nuova lingua
agito piccoli orecchi
a forma di foglia.
3
Un’ape resiste tenace
a ogni colpo di vento. Risale
la liscia parete d’un petalo. S’intrufola
nel calice goloso. Si tinge
d’un giallo solare
- bagliori infinitesimali
mischiati al nero alle ali
ai suoni che vorticano attorno.
Strana lignea gioia diffonde.
4
Ascolto l’ape e il suo fiore
memorie echi lontani
mormorii di luci e colori.
Una voce. Unica voce.
Il volo della mosca
il ragno che dondola nell’aria
furtivi tremolii tra l’erba
il guizzo della lucertola
i bruschi giochi d’ombra…
Verrà poi l’ombra grande della notte
- niente cancella
al coro regala il suo riposo e le sue lotte.
Trattengo il fiato
finché il polmone non reclama
respiro. E respiro ma piano.
5
Il piccolo uccello
dalle corte e scomposte piume blu
non mi teme
salta un po’ goffo sul mio ramo-mano
cerca granelli
si lascia osservare
ha tondi occhi neri
ali tozze immature
non so la sua razza
non so se sa cantare
tenero sole
che spiuma d’azzurro
ogni sua piuma
ha becchi segreti
impensabile forza
di contrastare l’aria.
6
Non si separa colore da fiore
forma da sagoma
mente da pensiero…
Il pigolare dell’uccello
il vento tra le foglie
il ronzio dell’insetto
sono un intreccio
inevitabile corsa di suoni
accavallati a milioni
di voci di pianti di canti
confusi e inscindibili.
Sono. Hic et nunc. Sono.
7
Sono il cieco
che ebbe nuova vista da Gesù.
Non fu solo gioia riuscire a vedere
- disserrata la grazia d’essere vivo
fu smarrimento e sapore
sconosciuto. Fu colore
violento mai saputo
vento improvviso
su ogni certezza.
Fu inimmaginabile ascolto
perduto nell’amore di quel Volto.
*
Firenze, 21 marzo 2020
*
Annalisa Macchia
6 Commenti:
Poesia che funziona, nella sua immediatezza. Nemmeno ha bisogno dei consueti colpi di lima. Va bene così: con qualche segno di scalpello visibile qua e là. Innanzitutto, il tono: dolcemente apocalittico, o apocalitticamente dolce. Traspare la dolcezza di donna dell'autrice e, allo stesso tempo, la sua implacabilità intellettuale. Poi, l'atmosfera: complessa, ribollente di vari sentori: vi si respira il difficile momento storico, l'interiorità cercante, e l'eternità del finale in cui, nella sua metamorfosi panica, la poetessa assume gli occhi del guarito da Gesù. Ancora, l'elocutio: le metafore affiorano dalla superficie del discorso increspandola senza sconvolgerla, ma facendo presagire l'imminente sconvolgimento esperienziale. E le isotopie: si intrecciano il campo semantico naturalistico e quello sonoro: il primo contrasta con l'esigenza di una nuova, vera, vita rispetto alla tecnologica e alienante della nostra epoca; il secondo assona con il mutismo urlante del fiore, segnale di avvio della nuova esistenza. E poi, il senso: la trasformazione panica, che si ritrasforma alla fine in cultura (non cristiana, ma cristica) o, forse, vi si fonde, o, forse, sono in fondo la stessa cosa. Infine, il ritmo: spezzato, ecolaliaco, franto, ricomposto, ripreso. Poesia che corre verso la visione e visione che corre verso la profezia, e profezia che ritorna poesia.
Daniele Barni
poesia dove l' onirico si fa realtà e la realtà è esaltata dall'onirico. Visione- condivisione del creato con occhi di Cristo
un'ape si posa su un bocciolo di rosa.
Lo succhia. Poi se ne va.
Tutto sommato è una piccola cosa
quella che chiamano "felicità".
*
(se annalisa riuscisse a tenere a freno la inclinazione alla quasi ipertrofia aggettivante, se riuscisse ad espellere dai suoi versi brevi gli aggettivi qualificativi privilegiando al contrario i sostantivi con tutta la loro potenza semantico-emotiva e se infine riuscisse a tenere ai bordi dei componimenti quell'io narcisistico, solipsistico, decadente, quell'io poetante eletto sgradevolmente a unità di misura del mondo e della storia, con le sue piccole muffe della propria stanza e con le piccole psicopatologie della vita quotidiana (colpa e limite della scadente poesia italiana degli ultimi quaranta anni) allora sì che annalisa...
gino rago
I punti di sospensione mi incuriosiscono. Quali parole nascondono?
Annalisa Macchia
allora sì che annalisa macchia può con un possente scatto estetico-formale e un profondo lavoro sul logos aspirare all'abbandono dell'epigonismo diffusissimo nel far poesia nostrano per aprirsi un suo sentiero "altro" sottraendosi al ruolo della continuatrice e dandosi invece il compito di iniziatrice...di un corso poetico "altro"
segnalo ad annalisa una occasione di lettura i cui contenuti può fare suoi o ricusarli,
https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/03/19/28954/
grazie di cuore al sempre ruggente leone antonio spagnuolo,
gino rago
*
– La poesia come prodotto di un progetto culturale, in grado di porre domande senza la pretesa di dare risposte.
– La poesia come discorso poetico e come presa d’atto e messa in opera dell’assenza.
– La poesia nell’età della non-poesia.
– La poesia dopo la fine del ‘900.
– La poesia nel segno della discontinuità.
– La poesia verso una nuova ontologia Estetica.
– La poesia dopo la fine della critica letteraria e dopo l’affievolimento dell’autocoscienza storica del poeta dell’ epigonismo, dell’elegia, dell’io del narcisismo e/o del melanconismo e dell’emozionalismo d’accatto.
In buona dose trovo l’essenza delle nuove istanze poetiche sopra indicate in versi ben riusciti come questi
[Una volta scrisse asfodèlo senza averne l’immagine negli occhi.
L’asfodèlo se la prese a male e protestò vivacemente.
– Perché non dici pane al pane e vino al vino?]
di Pino Gallo,
e anche in questi
[Ci sono delle convergenze che ci fanno OMBRE.
Ed è proprio questo dire
che ci fa “Ombre sulle Ombre.”]
di Mauro Pierno, per far due esempi.
*
gino rago
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page