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Antonio Spagnuolo, Svestire le memorie, Edizioni Confronto, Fondi, 2019- pagg.48 -s.i.p.
L' autore dell'armoniosa ed elegante silloge, " Svestire le memorie", già nel titolo fa uso della catacresi, figura retorica che poi sarà presente nello sviluppo della versificazione, con l'obiettivo di coniugare immagini e suoni, quali preludi di una significazione che esplora i luoghi della memoria, tutti gli scenari fisici e metafisici, in cui
l'amore della giovinezza viene cantato in tutte le sue forme, sempre accarezzando una salubre nostalgia per ciò e per chi non è più.
Le trenta liriche si muovono senza ridondanza, sulla pagina bianca che intende restare pura nonostante i segni incisivi della grafia, per simboleggiare e trattenere nell' intimo, sia pure apparentemente svelato, tutta l'innocenza dell'età dei sogni impossibili- possibili, liberati sulle corde di un umile violino sul pentagramma eterno delle mutazioni.
" I lunghi violini d' autunno dalla voce falsa
traforano il profilo della lontananza,
Ingorgano ogni sera le mie smanie
trascinando nel buio le dita distorte
ove le trasparenze scompigliano le immagini
nel segreto della tua cifra eterna."
(Pag. 7 - Violini-)
Pennellate leopardiane affrescano i fogli della raccolta, avvicinando l'oggetto d'amore ormai lontano, con il ricorso alla " Rimembranza". Si canta, dunque, il ricordo dell'emozione, rendendola scevra dalla tirannia del tempo, proiettandosi in un tempo senza tempo, in una sorta di finito nell'infinito. Vivere e cantare la propria realtà del presente sarebbe come girare un documentario vivo e attuale nell' odierno e affidare tutto al consumo veloce lasciando poche scorie e resti per il divenire, ma cantare ciò che è stato nel passato o sarà nel futuro, conduce agli sguardi mossi sempre su basi che prescindono dal reale tocco di verità, metafisica, noumenica o fenomenica, appartenenti alla storia umana, culturale, biologica.
Connettere il passato con il futuro, restando fermi sul presente vissuto come eterno, anastomizzando le annose separazioni e ferite tenute aperte da chi vuole immergersi nelle acque di un fiume eracliteo convinto di bagnarsi sempre con la stessa acqua, è come incedere a ritroso nella stonatura del grande concerto, ma serve per unificare, sapendo che: "Wir sind hier im lauf der zeit", " Noi siamo qui nel corso del tempo", come diceva Wim Wenders. E così Spagnuolo ci riporta nell'incavo del tronco che scivola silente verso le rapide trascinando con sé storie e fiabe criptate nel suo intimo nodoso e friabile che quando necessita affiora in superficie e narra, come in questi versi in cui l"anafora rafforzativa: "che rincorre, che varca, che inghiotte", intende allargare ogni schermata semantica per collocarla in spazi aperti nel Ciclo iniziatico fino al suo " Hortus conclusus".
" Il ricordo ha l'incanto del sogno,
il profumo del baleno che rincorre,
che varca i mari del naufragio,
che inghiotte le illusioni,
e la memoria inciampa nel miraggio"
(Pag.9 - Vertigini-)
L'attesa, che non necessariamente presuppone un' aspettazione, e lo stesso poeta sostano, come in una stazione dismessa, sapendo che il treno non verrà perché è già venuto, ma di esso resta il rimbombo dei fischi, il frastuono cadenzato sulle rotaie su cui continua a serpeggiare tra curve, ponti e gallerie, come la mente, il cuore dell'uomo sempre in viaggio, in permanente attesa di un qualcosa che non verrà poiché, come si diceva, è già venuto.
La poesia si muove, si ferma, si evolve, si abbassa, si rialza quando e dove vuole, senza mostrare passaporti per varcare frontiere e mai indietreggia di fronte alle asperità della vita, delle vicissitudini personali, sociali, universali.
Tra le tantissime cose, Aristotele sosteneva che l'oracolo di Apollo a Delfi avesse ragione quando diceva, " Gnothi seauton, Nosce te ipsum", ma a ciò bisognava aggiungere la " Misura".
Il pensiero greco, in gran parte, conscio della finitudine dell' uomo, della morte, basava ogni cosa su tale realtà, al contrario di quello cristiano, che ribalta ogni pensiero esistente e lo sposta nella dimensione "Escatologica".
L' occidente, impregnato in uno strano sincretismo religioso, politico, culturale, economico, umano e artistico, ha perduto il verde respiro delle radici e non sa districarsi in modo eccellente nelle spire di nuovi venti ultori e veloci, imprendibili.
Fare poesia adesso è inattuale, "inattuale più attuale", direbbe Nietzsche e "Vivi dunque, poeta, continua a scrivere versi", direbbe Goethe.
Antonio Spagnuolo è molto parsimonioso e conosce il peso e la leggerezza delle parole, soprattutto della parola poetica, profetica e al sommo grado, del " Verbum ". I versi di " Svestire le memorie", pur essendo tutti permeati dal respiro, dal profumo, dalla presenza- assenza-essenza, della moglie, della compagna, di cui solo una volta ne pronuncia il nome, creano un Apax Legomenon.
" Il tuo nome, il tuo nome Elena ricorre
per le mie vene in ultima illusione:
s' innesta la febbre alla polvere,
il capo chino ripete ritorni nel tempo
per sorprendere vertigini nel pensiero che oscilla."
(Pag. 11- Silenzi-)
I tropi, le similitudini, le iperboli, che infine si disperdono sublimandosi in un viaggio in cui si tenta di verificare il costo dell'impresa, dell'esperienza, rasentano in alcuni punti il sapore della litote, proponendo un linguaggio che varca i confini di tutto ciò che è stereotipato, creando nuove ramificazioni, nuove possibilità di combinazioni, di sintassi e di una grammatica generativo- trasformazionale. La misura, che si esalta nell'atto continuamente creativo, svolge una funzione di freno e di "limite liberatorio", nei costrutti poetici di Spagnuolo, che conosce bene il ritmo, le aritmie, le euritmie, sia del cuore, essendo un medico, sia della poesia, essendo un poeta.
In ogni letteratura, nel suo interno, ricorre in modo imperante l'apoftegma giovanneo dell'Archè e del Logos.
Sostanzialmente, noi siamo il frutto della Parola quale Verbo generatore e rigeneratore, che vibra nell"essere umano. Siamo lacerti finiti in un viaggio infinito, che è già porto approdo. La poesia è conoscenza, estetica, verità e quando scorre si sente, anche se si insinua nei cunicoli sotterranei della forma, involucro che la ospita, che la fa involvere per poi farla esplodere. L 'approccio formalistico serve solo a verificare gli elementi che compongono la sua struttura, ma per capirne la sua vera natura, bisogna vedere oltre, sconfinare oltre i meandri del noto e dell'ignoto, dove tutto si muove e pulsa, ma con leggi diverse.
"Le mie parole hanno il giogo dell'edera,
strette ai rami, irrequiete al vento per ricordi,
cingono la solitudine in quel nodo
che il nostro amore mostrava insaziabile."
(Pag. 13- Le Parole)
Svestire le memorie significa andare sino all'osso, affondare le mani e la mente nel caldo inferiore degli intestini, navigare in acque stagnanti e in rapide, soffermarsi sul più piccolo insignificante essere ed elemento, che compone la molteplicità umana, animale, vegetale e cantare il frutto dell'esperito, dopo l'emozione, forte o debole, del momento. Le associazioni semantiche e sintattiche di Spagnuolo portano sempre in luoghi alti e altri della materia, dello spirito e sfociano come per incanto in nuovi mari, le cui acque sono un continuo divenire e le nubi le aspettano per ridiventare gravide di loro e ridiscendere sul terreno erboso o sabbioso
pronto a ricevere il seme rigenerante. La metafora migliore è proprio l'assenza di metafore, ma può la metafora essere assenza?
" Ritorna l'illusione del coltello che taglia
ogni mattina
il rigore d'inverno, la penombra di tutte le parole
che io spesso ricamo a rime del ricordo."
(Pag. 28 - Abbraccio)
A volte basterebbe un solo breve respiro spalancato nell'universo per sentire tutti i profumi che giungono dalla natura, i suoi segnali, ma troppo veloci corriamo, per intraprendere attività alienanti, estranee all'indole umana e non riusciamo a penetrare con il terzo occhio ciò che avviene nella stanza, oltre le persiane, restando navigatori di superfici, come le aguglie, perdendo il piacere degli abissi e delle altezze.
Poiché tra le grinfie della nebbia la Poesia non può sostare, cerca un varco e si dirige verso i suoi siti naturali circumnavigando le attese per essere sempre azione, "Parole".
Gli stichi di Antonio Spagnuolo inseguono una musica sempre viva e armonica dentro e fuori del pentagramma, del rigo musicale, che allarga la sua capienza per comprendere il suono singolare di altre note.
" Scompongo le avventure della nebbia
reinventando l'aorta interrotta
lacerando lunghe grida di angoscia.
C'è ancora un canto a fine di orizzonte
per le mie palpebre ferite dal silenzio."
(Pag. 32- Pagine-)
Ancora qui, cercando di trovare l'amo resistente e l'esca giusta e dolce per pescare l'infinito, i Poeti si misurano giorno per giorno, attimo per attimo, con la pochezza espressa dall'essere perituro, quando questi perde le sue sembianze umane e si trasforma, come il KafKiano Signor Samsa, nell'insetto più ignavo, immondo e inutile, pronto alle seminagioni del male, nei solchi della vita, ma prono a intraprendere anche nuove acerbe illuminanti navigazioni.
Il poeta campano, consapevole di queste ibridazioni, sente il bisogno di far prevalere il Bene sul male ed esplode sulla carta questa sua precipua contemplazione elegiaca per una "Donna Fatale", incontrata nella pienezza della gioventù, rendendone essoterica l'intima relazione.
Più che romantico, il suo canto appare magistralmente incastonato tra gli stilemi e i gusti: "Protoromantico e Decadente", incontrandosi nelle grandi linee con i cantori dell'Amore in tutte le sue sfaccettature, in tutte le sue temperie letterarie, di ogni epoca, aggiungendo un felice e profondo personale tassello, fuori da schemi e topoi già esistenti.
Alla fine, come l'urna greca, ogni cosa rientra e ritorna al silenzio primevo, all' armonia della quiete, e i bassorilievi incisi sul marmo riecheggiano, rinnovano e narrano nel tempo, l'inviolata bellezza, che mai si piega all'usura distruttiva massiccia e ai morsi famelici del tempo. Quando la parola poetica, sia pure a volte nascondendosi, riesce a serpeggiare e a sgattaiolare tra i bui cuniculi, raggiungendo poi il gaudio delle altezze, della luce, il suo compito è stato adempiuto.
" Il marmo ti rapisce rimpiangendo le ultime scelte
tra gli squarci di un lembo intorpidito
e gli incanti imprigionati alle mie sere.
Pallida sulla veglia hai divorato inganni
per dissipare riflessi e lontananze,
o reinventare il sangue raggrumito
tra le brezze che imporpora la sera.
( Pag. 35- Ultima pagina-)
La sua amata Elena diventa un'icona immobile e inimitabile nel groviglio millenario di forme che scaturiscono da ogni dove per stabilire il predominio del Bello canonico, contro cui il poeta oppone, con dolcezza e convinzione, lo spessore e la delicatezza del suo canto.
Agenti inotropi positivi e negativi, endogeni ed esogeni azzannano il nucleo del costrutto e le sue periferie modificando le frequenze del ritmo poetico sino a stabilizzarsi nella naturale intensità cavalcata da rimanenze di marosi su creste di acque mosse dall' ardore di navigazioni, di incontri, di moti di estasi.
Puntuale, chiara, nei contenuti, nelle forme, essenziale e meticolosa nella qualità e nella quantità di lessico, "Svestire le memorie" giunge, in modo concreto e visionario, al lettore che, con segno di umiltà desideri intraprendere un viaggio catartio nel viaggio.
"Io ricompongo memorie in un libro
che potrebbe tradurre lo soazio angusto
della tua dimora"
(pag.35)
***BIAGIO PROPATO
Roma 16 - 9 - 2020
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