POESIA = FRANCESCA LO BUE
**Il Pellegrino dell’alba**
Presentazione del Prof. Aurelio Rizzacasa
La poetessa, come di consueto, propone una sua composizione nella doppia lingua italiana e spagnola, ma la singolarità di tale proposta consiste nel fatto che non si tratta di una traduzione da una lingua all’altra, bensì di un sentiero semantico in cui le due modalità poetiche delle lingue utilizzate procedono in parallelo in una complementarietà di significato che arricchisce il messaggio di insieme. Questa poesia usa l’espediente mentale del viaggio che è un itinerario ma nel contempo un pellegrinaggio dove il percorso compiuto non assume il senso di una nomadicità, dove l’andare non ha uno scopo né una meta, ma costituisce l’avvio esodale in cui il percorso tende ad un fine.
In realtà, tale viaggio è del tutto immaginario e impegna l’interiorità del poeta, che, come sempre, privilegia il linguaggio e soprattutto il senso della parola. Pertanto il pellegrino dell’alba si domanda chi sono io? Ma rivolgendosi all’altro obbliga l’interlocutore alla medesima domanda. Il tema di fondo perciò è quello di ricercare l’essenza della propria identità, essenza interrogativa, il cui approdo è quello di una domanda che si approfondisce ripetendola e che non si impoverisce in una risposta definitiva. La poesia quindi offre lo spunto ad una meditazione senza limite.
**Il pellegrino dell’alba **
Che portai?
Che ho portato da sempre, da lontano, sconosciuto ed unico?
Un essere di passione e pianto,
al ritmo di un’ombra che avanza come lava pesante,
che dà frutti gravidi e brevi negli istanti dell’eternità.
Che sono?
Cosa corporale,
sospiro di anelito e rancore,
scia breve nelle orme.
Cosa sono?
Ciò che credo di essere, sono nomi.
Non voglio il nome.
Chi sono?
Un nome nell’acqua trasparente dell’anima.
Il nome è una funzione,
un mestiere,
una costruzione frammentata
che fa di sé il secondo, il sosia beffardo.
Che fa l’uomo secondo?
Non considera,
dice male, svaluta, scende e muore.
Sciogli le radici della terra,
con l’impeto del cuore senza nulla,
affinché arrivi alla Dimora.
Perché sei una siepe fra i meandri del destino,
perché sei fuggita dal greto del fiume,
più in là delle rive annebbiate.
Voglio dare ciò che portai e non posso riportare,
un essere di passione e fecondità
nelle giravolte del turbine sapiente.
Nel deserto udì la mia voce.
Non si sente la voce nel cumulare del dire,
il nome radiante che adocchia e segnala,
nascosto dal pellegrino dell’alba.
Sarò legge che avvisa nella marea,
che torna nelle strade ripetute.
**
"El peregrino del alba"
¿qué he llevado,
qué había traído, desde siempre desde lejos desconocido y unico?
Un ser de pasión y llanto,
al ritmo de una sombra que avanza, como lava pesada
que da frutos grávidos, breves en los instantes de la eternidad.
¿Qué soy?
cosa corporal,
suspiro de anhelo y rencor
estela breve en la secuela ¿de quién?
Lo que creo que soy, son nombres
No quiero el nombre.
¿Quién soy ?- no tiene nombre el agua diáfana del géiser.
El nombre es una función, un oficio,
una construccion desmigajada,
que hace de sí el segundo, el doble burlón.
¿Qué hace el hombre segundo?
no respeta, mal dice, desvalúa, desciende y muere.
Se suelta de las raíces de la tierra y
llega a la Morada con el ímpetu del corazón sin nada.
Porque eres una pared, entre las aspas del destino,
porque has huído del sequedal del río,
más allá del manantial de escarcha.
Y ahora quiero dar solo lo que traje y no me puedo llevar
un ser de pasión y fecundidad
en las vueltas extrañas del sapiente torbellino.
En el desierto oí mi voz,
no se siente la voz en el tumulto del decir
el nombre radiante que señala y enalza,
sonido escondido por el peregrino del alba.
Seré ley que avisa en la marea
que vuelve en las calles repetidas.
*
Francesca Lo Bue
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