SEGNALAZIONE VOLUMI = GUGLIELMO APRILE
**Guglielmo Aprile: "Sinfonia del mare" - Ed. Il Convivio - 2021 - pag. 104 - € 12,00
**Con "Sinfonia del mare", edito da Il Convivio, Aprile sembra procedere verso una deliberata presa di distanze dall’ansiosa auscultazione solipsistica delle sue precedenti raccolte, a favore di un’idea di poesia tendente verso l’immedesimazione panica e la dispiegata celebrazione vitalistica delle energie naturali. Recuperando l’arcaica e originaria vocazione al canto propria della parola poetica, l’autore tenta di dare voce all’anelito romantico dell’individuo che, per mezzo dell’immersione purificante nel respiro delle onde, ambisce a liberarsi della tirannia del proprio ego; la contemplazione del mare e del suo ritmo incessante e monotono è eletta a viatico di un catartico scioglimento nell’onnicomprensivo palpito della vita universale, entro cui ogni grumo della sofferente soggettività umana è assorbito e dissolto.
Sinfonia del mare può leggersi interamente come un ininterrotto panegirico al padre di tutte le cose, una preghiera in lode alla qualità proteiforme dell’elemento equoreo, e di riflesso alla tensione mitopoietica di un linguaggio che nella natura trova sterminate occasioni per esercitarsi nel suo gioco di reinvenzione del mondo, rinnovando così il gesto del fanciullo eracliteo che innalza e disfa con la sabbia gli universi per proprio esclusivo e disinteressato piacere. Il ruolo dell’immaginazione è sovrano: fedele alla teoria baudelairiana delle corrispondenze, come anche alle tesi espresse da Shelley nella sua Defence of poetry, essa scopre nel paesaggio marino un serbatoio senza fondo di metafore, convertendo ogni aspetto del percepibile in qualcosa di altro e di sorprendente e intrecciando relazioni analogiche tra tutte le forme: così, in un delirio metamorfico che ha in Ovidio il suo precursore, nelle onde è possibile riconoscere sillabe di una lingua estinta, indecifrata come il concerto mattutino dei passeri o il geroglifico di rughe sulle pareti rocciose, come anche bighe in corsa al comando di un auriga impazzito, scorrerie di predoni, bocche che pronunciano oracoli, mani che frugano la terraferma, lingue guizzanti di un rogo, furie di Menadi; oppure, la vista degli scogli suggerisce sembianze di sentinelle o di pizie o di vestali, patriarchi o profeti fulminati, torri di un tempio diroccato, inabissati ruderi atlantidei, schiene e membra di titani dormienti; e ovunque è possibile scorgere tracce del mito: orme di sirene calcano la battigia, dove la schiuma ritraendosi lascia un labile segno del suo passaggio, mentre ciottoli e conchiglie potrebbero leggersi come ossa di creature antidiluviane, o schegge di navi colate a picco e superstiti monete dei loro tesori, e nei fondali percorriamo in sogno sale di palazzi, logge e porticati di un regno inghiottito da un naufragio o travolto da lave e burrasche, a cui fanno le acque da sudario perenne. E il mare stesso indossa maschere sempre diverse: bardo e cantastorie vaneggiante, che col suo salmodiare fa risuonare i golfi di inascoltati vaticini, oppure ossesso in catene, che sfoga i suoi soliloqui sulle spiagge deserte, o ancora re accigliato e offeso, mendico e in esilio, divinità scorbutica, indifferente ai suoi stessi figli, perduta in una solitudine senza tempo, assorta in un segreto da cui l’uomo è escluso; mare che è tante cose opposte insieme, saggio e al contempo folle, muto oppure sproloquiante, vecchissimo e bambino, ossimorico specchio della totalità.
Una scrittura straripante, che nel suo sforzo di oltrepassare i confini della pagina sembra ripetere l’incedere delle mareggiate che assaltano la costa; una veemenza verbale che vorrebbe catturare la furia demiurgica delle ondate, per farsi eco del tormento della genesi e dello spasmo violento che plasmò il pianeta, ancora pulsante nel profilo di isole e promontori, nel rombo di raffiche e burrasche, nella lotta tra l’acqua e la pietra. Doveva essere così che guardavano al mare i primi maestri presocratici, sulle isole della Ionia, che nelle acque riconoscevano un emblema dell’arché, e nel moto dell’onda, nel suo rifrangersi contro la riva per ogni volta rinascere, una figura della metamorfosi, dell’eterno circolo; ma questa è una poesia che modula la sua curvatura sapienziale su accenti che richiamano anche il concetto spinoziano di natura naturans, raffigurata in termini di un “arazzo” intessuto dallo sconosciuto tessitore cosmico, del quale ogni esistenza costituisce un minuscolo quanto imprescindibile filo, come anche il visnuismo induista, in particolare nella sezione “Mare solo maestro”: i flutti, nel loro dissolversi, incarnano l’illusione del divenire, mentre reale è solo la forza che senza posa li genera.
Il titolo della raccolta rimanda alla ricerca di musicalità che anima questa poesia, che a una fitta trama di rime e figure foniche affida la sua voce, a volte una rapsodia selvaggia ed altre una tenera nenia, ma la stessa cura metrica a cisono sottoposti i testi lungi dal ridursi a vacuo esercizio formale, vorrebbe farsi carico del compito ditradurre in parole umane le note del mare, nell'illusione di restituire nell'idioma in cui quelle pagine di sabbia schizzi sono scritte,la parabola senza tempo dell'odissea umana.
*
BERNARDO ROSSI
*
"È come se abbia un suo segreto, il mare"
Nessuno vide mai
il suo vero voltoperchè
lo seppellì per sempre nei fondali,
nessuno mai saprà
da quali amplessi di fulmini fu
generato, da quali parti astrali;
chinarsi rive e promontori sembrano
in ascolto della sua confessione,
ma quale colpa ignorano
l’una all’altra incateni le sue onde;
e inutilmente, quando vedo incombere
ombre sulla sua fronte, anche io interrogo
l’ostinato silenzio
che al brusio della terraferma oppone.
Mare, rivelaci da dove vieni,
qual è il rimorso che squassa i tuoi seni,
e di quale tremendo senso sia
la sfinge del tuo volto allegoria.
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