VOLPONI = RITRATTO DI UN INTELLETTUALE
**Paolo Volponi tra narrativa, poesia e collezionismo: ritratto di un intellettuale
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Di - Riccardo Renzi
Paolo Volponi si affacciò con prepotenza sul panorama letterario italiano di fine prima metà del Novecento, a soli 24 anni, con la raccolta Il ramarro (1948). Si tratta di quaranta componimenti scritti nell’immediato dopoguerra seguendo la moda ermetica del frammento lirico paratattico. Lo spazio poetico delineato per successivi bozzetti e frammenti è un microcosmo naturale che si confonde, specchio del macrocosmo dell’io poetico. A tal proposito estremamente interessanti risultano essere le parole di Volponi sulla genesi della sua poesia in A lezione da Paolo Volponi: Perché scrivevo poesie allora, non ancora ventenne? Perché ero incerto, perché avevo paura. Ero folgorato da certe immagini, da certe visioni, filtrate attraverso il ricordo delle letture incerte e frammentarie della scuola, che mi portavano ad avere un rapporto con fatti lontani magici perenni quali gli astri, il paesaggio, le stagioni, le tempeste o le ragazze; o certe durezze della vita di allora, anche se già toccata dalle grandi speranze della libertà e poco dopo esaltata dagli effetti della liberazione.
La poesia per Volponi fu il mezzo tramite il quale riuscì a dare una forma alle sue irrefrenabili pulsioni, si trae dunque una forma da un magma cosmico di sensazioni giovanili. È infatti notevole, e non privo delle ingenuità e della meccanicità dell’apprendistato letterario, lo sforzo di appropriarsi di alcune costanti stilistiche e linguistiche tipiche dell’usus dei poeti più maturi. Nella poesia giovanile volponiana domina il sostantivo assoluto, con sospensione dell’articolo (il tipo: «Vastità che soffro», R, 59), l’analogismo sviluppato mediante coppie inconsuete di aggettivo e sostantivo ed epiteti di tipo sinestetico.
La poesia fu per Volponi cosa naturale, approccio ordinario d’espressione, prima forma letteraria. Egli stesso ha sempre affermato di averla sentita come ordinarietà linguistica, mentre l’approdo alla narrativa fu evoluzione stilistica e tecnica. La poesia per il giovane Volponi però è anche un rifugio sicuro. «Nello stesso Liceo “Raffaello”, dove Giovanni Pascoli studiò ed eccelse, suscitando il vivo entusiasmo dei suoi docenti, Volponi si sente estraneo, oppresso da un senso di claustrofobia». E ancora dallo stesso Volponi: «Ho passato anni di terrore in quel ginnasio, di vero dolore; anche perché non capivo nulla e nulla diventava mio». Volponi è proprio in quegli anni che inizia ad affidarsi ad un’altra scuola, quella della strada, quella della vita, fatta di piazze, mercati, botteghe, caffè, fabbriche, macellerie, ecc. Divine così un acuto osservatore della realtà, diviene così un poeta. La poesia, come già detto, costituì il suo primo approdo alla letteratura, ma fu anche un intermezzo alla narrativa che lo accompagnò per tutta la vita. Parentesi liriche squarciano gli ampi scenari narrativi dei romanzi; e una pellicola narrativa si dispiega, a sua volta, nei versi che prendono una forma poematica sin dalle Porte dell’Appennino. Proprio di questa raccolta fanno parte i tre componimenti che seguono, dove chiaramente emerge l’occhio da osservatore dell’urbinate e tutto il suo legame e attaccamento alla sua terra, che ancor più forte ritornerà in La strada per Roma:
"D’autunno è con noi"
D’autunno è con noi
ogni foglia e ghianda
ed è raggiunto il cielo.
Fra le avellane svolazza
la palomba ferita,
freme il sottobosco
agli scoppi
dei ricci di castagna.
Dolcissima è l’ultima uva
celata fra i pampini rossi,
sul fianco dei monti sale
il fumo delle carbonaie.
A sera
io provo il caldo smemorato
delle castagne,
del torbido vino,
il più nudo corpo
della mia donna.
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"La vergine"
I sassi bianchi
sono le tue spalle
gli alberi la tua statura;
è la tua gola che batte
se una rosa si muove
non vista nel giardino.
Dì pure al vento
di perdere il tuo canto
nella voce dei fossi,
al rosmarino
di chiudere i sentieri.
L’innocente starna
si leva alta sul bosco
e m’indica il tuo cammino.
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"Ramarro"
Nelle vastissime notti
io sento
U rumore dellessatura delle cose
gli alberi che battono sulle strade.
La terra tesa con spasimo
che potrehbe schiantarsi
come u ghiaccio di un lago.
lo debbo reagire
per non farmi sovrastare
dal rumore del mio corpo
per non farmi tendere
come la pche della terra.
Cerco di spezzare le corde
che stirane ogni cosa.
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Tutta l’opera letteraria volponiana deve essere concepita come un continuo divenire, una continua maturazione. A tal proposito è necessario ricordare quanto sia stato faticoso e gestatorio l’approdo alla narrativa per lo scrittore urbinate. Spesso si confidava con gli amici Pasolini e Calvino sul fatto che non fosse in grado di produrre un’opera narrativa. Volponi spesso si confessa con Pier Paolo:
Caro Pier Paolo,
scrivo a te come guardandomi allo specchio, tremo dalla paura. […] Non credo di essere uno scrittore capace di un programma di produzione.
Per Volponi il passaggio dalla poesia alla narrativa non fu così immediato come per molti altri scrittori, per lui fu quasi un travaglio infinito. Memoriale fu il primo romanzo dello scrittore urbinate, pubblicato per la prima volta nel 1962 per Garzanti. Nell’opera risuona forte ancora il tema bellico. Il protagonista, Albino Saluggia, è un reduce della seconda guerra mondiale, assunto come operaio in una grande fabbrica del Nord Italia. Il protagonista è un uomo solitario e nevrotico, un narratore inattendibile. I suoi disturbi e comportamenti perversi sono segni, semi-cicatrizzati, delle ferite lasciate dalle brutture belliche. Allo shock bellico si aggiunge quello legato all’estraniazione, provocato dal duro lavoro in fabbrica, che riduce l’uomo a un mero macchinario.
I temi sociali nel Volponi narratore sono sempre molto forti, la scrittura è sempre specchio della realtà vissuta.
Il successo internazionale, lo raggiunse con la sua seconda prova narrativa, La macchina mondiale, edita da Garzanti nel 1965. L’opera venne tradotta in francese, tedesco e inglese, inoltre in Italia gli valse il Premio strega. Protagonista dell’opera è Anteo Crocioni, che vive a San Saiano, frazione di Frontone in provincia di Pesaro Urbino. La storia si svolge nel secondo dopoguerra, Anteo è un giovane curioso ma di poca scolarità che si pone molte domande sull’origine del mondo e degli esseri viventi, giungendo ad una concezione insieme meccanicistica e idealistica dell’esistente che presuppone la sua creazione da parte di quelli che chiama automi autori. Secondo Anteo, se le sue teorie fossero conosciute nel mondo, si farebbero dei passi in avanti verso l'amicizia tra i popoli e la pace universale. Esse lasciano invece perplesso suo padre, piccolo coltivatore che vede nel figlio un perdigiorno e un pericoloso contestatore (per le sue inclinazioni verso il comunismo) dell’ordine economico e sociale rappresentato dai proprietari terrieri, dalla Democrazia Cristiana e dalla Chiesa cattolica. Tuttavia, è proprio con un giovane seminarista di nome Liborio che Anteo instaura un rapporto d’amicizia, trovando nel ragazzo una mente disposta ad ascoltare e a comprendere la sua concezione del mondo, per quanto non a condividerla. Successivamente Anteo conosce Massimina, una ragazza di un paese vicino, e la sposa. Per migliorare la propria condizione economica egli acquista, sulla scia della sua fascinazione per i mezzi meccanici, diverse macchine agricole con le quali avvia un’attività di contoterzista, malgrado il parere contrario del padre e della moglie, restii ad ogni idea d’innovazione. Il suo lavoro lo tiene lontano da casa per lunghi periodi, e quando vi ritorna non vi ritrova più Massimina. Scopre che la moglie, non più decisa a sopportare i suoi repentini scatti d’ira, si è trasferita a Roma per cercare lavoro come donna di servizio, contando sull’appoggio della cospicua comunità marchigiana emigrata colà. Anteo vende le macchine e si reca anch’egli nella capitale, per riportare a casa la moglie cogliendo nel frattempo l’occasione di mostrare a docenti e studenti dell’università le proprie teorie e il trattato che sta scrivendo, che però non riscuotono presso di loro il minimo successo. Dopo aver finito i soldi, esercita diversi mestieri per mantenersi, tra i quali quello di pulitore delle gabbie dei leoni in un circo, e riesce rintracciare Massimina grazie ad una denuncia per abbandono del tetto coniugale che sporge contro di lei. La giovane lavora ora come serva in una casa signorile e, per tutelarsi contro il marito, lo denuncia per percosse. Anteo è così costretto dall’autorità giudiziaria ad abbandonare Roma e torna a San Savino in attesa del processo. Ritrova Liberio, che nel frattempo è stato ordinato prete e nominato parroco di Acquaviva, e lo aiuta a sistemarsi nella casa canonica. Un giorno incontra per caso la moglie, venuta in visita ai suoi luoghi d'origine; questa non si nega alla consumazione di un rapporto sessuale col marito, ma si rifiuta di tornare a casa. Alcuni mesi dopo, Anteo apprende dai giornali che Massimina ha di nascosto dato alla luce un bambino, concepito dal rapporto avuto quel giorno, lasciandolo morire per mancanza di cure; la donna viene quindi arrestata per infanticidio. Anteo decide allora di porre fine alla propria esistenza riempiendo la propria casa di esplosivo e facendola saltare in aria dopo esservisi chiuso dentro.
Di nuovo si presenta il problema della sostituzione umana per mezzo delle macchine, l’ossessione per la tecnologia e per un progresso che però sembrerebbe nefasto. Il microcosmo generato da Anteo incorre in un implosione quando il protagonista riprende contatto con la vita reale e scopre di aver avuto un figlio, che però era stato ucciso dalla madre. Il ritorno al macrocosmo della realtà provoca nel protagonista uno shock che lo spinge a porre fine alla sua vita. Le grandi problematiche degli anni Sessanta e Settanta staranno sempre al centro della genesi narrativa di Volponi, da Corporale al Pianeta irritabile, da Le mosche del capitale al Lanciatore di giavellotto. In quest’ultima assume una rilevanza particolare il gesto, l’azione, l’agire all’interno della narrazione. Quando nella lettura volponiana ci si imbatte in gesti, se si procede ad una distinzione in base alla funzione e al ruolo che hanno nella narrazione, questi possono essere di due tipi ben diversi. Alla prima categoria appartengono quelli che dolcemente cullano la narrazione e che in tutta l’opera si ripetono con regolarità. Nel secondo caso si tratta di un gesto che attraversa la narrazione con brutalità e serve a cambiare la direzione di quest’ultima. Questa seconda tipologia di gestualità narrativa può anche sbloccare le situazioni narrative o addirittura concluderle. Si prenda il caso de La macchina mondiale: il gesto estremo e definitivo che chiude il racconto, cioè l’esplosione che Anteo Crocioni preannuncia di voler innescare quando ormai ha terminato di scrivere le sue memorie.
Come però preannunciato precedentemente, il gesto narrativo volponiano risulta preponderante in un’opera in particolare: Il lanciatore di giavellotto. In tale romanzo il ricorso alla gestualità avviene in modo articolato e frequente, tanto da mostrare nello svolgersi della narrazione una rete di gesti diversi che innescano dinamiche di differente natura narrativa. Nel romanzo si presentano entrambe le tipologie di gestualità volponiana, la prima caratterizzata da un agire e un produrre che con continuità e costanza attraversano tutta la narrazione, la seconda messa in evidenza dall’esasperazione della brutalità dell’azione.
Il gesto caratterizza in parte anche il suo ultimo romanzo: La strada per Roma. In questo il momento narrativo è strutturalmente basato sulla percezione e sulla rappresentazione sensoriale, è piuttosto facile e forse non troppo sorprendente trovare che la storia sia come trapuntata da una lunga serie di gesti. Qui le sensazioni del giovane protagonista permeano completamente le emozioni del lettore.
Questo romanzo rappresenta il climax apicale dell’esperienza narrativa volponiana. Il romanzo venne pubblicato per Einaudi nel 1991. L’opera racchiude in sé tutto l’io volponiano, da quello di Memoriale (1962) a quello de Le mosche del capitale (1989). Il romanzo però ci riporta alle origini di Volponi, infatti è caratterizzato, a differenza di tutti gli altri, da una forte matrice autobiografica. L’opera è ambientata nell’Urbino degli anni Cinquanta del Novecento, il protagonista, Guido Corsalini, all’epoca ventitreenne, altro non è che l’alter-ego di Paolo Volponi. Il giovane sta per laurearsi in giurisprudenza, sente in sé l’esigenza di partire, di allontanarsi da quella realtà cittadina che lo sta soffocando, ma allo stesso tempo si sente fortemente legato a quei luoghi che gli hanno dato i natali. Anche qui ritorna il tema del gesto, l’andarsene in opposizione al voler restare. Leggendo il romanzo emergono le doti descrittive dello scrittore, attento a tutte le minuzie sensoriali della narrazione: «Guido uscì la sera tardi, quasi alla fine dell’ora del passeggio. Per tutto il giorno aveva guardato la nebbia e la campagna dalle finestre della stanza da pranzo». Volponi riesce benissimo a trasmettere al lettore le sensazioni e le emozioni vissute dal protagonista. Ciò che sorprende in questo romanzo è proprio la straordinaria capacità descrittiva dell’autore, il lettore può aprire il libro in una pagina a caso e leggendo cinque o sei righe si trova rapidamente travolto dalla vita di Guido Corsalini. Questo è dunque, un romanzo, che raggiunge la compiutezza estetico-formale, ma anche di contenuto. Rappresenta a pieno il percorso di maturazione letteraria volponiana, dalle prime raccolte poetiche, all’ultimo romanzo.
La narrativa e la poesia volponiane sono spesso la celebrazione descrittiva di un paesaggio che sempre ne rispecchia uno interiore. L’estrema attenzione alle minuzie paesistiche, così come a quelle antropologiche e comportamentali, non è un caso. Il paesaggio per lo scrittore urbinate fu quasi un’ossessione. Proprio a tale ossessione si collega il suo collezionismo. A tal proposito Enzo Siciliano scrisse: «non fu il completamento parassitario di una mania: fu un nutrimento necessario del suo essere più intimo». Volponi fu uno scrittore complesso, di quelli difficili da comprendere, in continua evoluzione, in continuo mutamento, e la duttilità e l’ampio spettro di tipologie artistiche collezionate ne sono una prova. Egli iniziò a collezionare quando era già uno scrittore affermato e maturo, il suo collezionismo fu una necessità, un nutrimento, la scrittura non bastava più. L’arte però era sempre stata presente nelle sue opere, sia direttamente che indirettamente. Prendiamo un racconto “minore”. Del 1967, Accingersi all’impresa. Questa è la storia di un antiquario che sta per prendere una decisione fondamentale: cosa fare della propria vita? Il protagonista si trova a un bivio sia nel privato che nella propria professione. Il fallimento annebbia entrambe le vie, lo soffoca, facendolo sentire isolato dal mondo. Alla fine le due scaturigini si fondono e sfociano in una fuga alla ricerca dei rami perduti di acqueforti del Canaletto. In tale racconto, Volponi, non ci parla solo di collezionismo e arte, ma è il testo stesso a divenire tale. La sintassi del racconto si distende elegante e ricca di chiaroscuri, come su una tela barocca, pomposa di particolarismi, ove si stagliano luci e ombre, volti e oggetti.
La presente trattazione ha esordito con la “paura” di scrivere dello scrittore urbinate, per giungere, mediante l’analisi delle sue opere, alla compiutezza estetica e contenutistica. Ciò che caratterizza l’opera volponiana è che questa “paura” non arrestò mai la potenza generatrice della sua scrittura. Di fronte alla “paura” il soggetto non rinuncia ad esperire il mondo, e «intanto cerca il suo buen retiro in una sorta di abisso parlante, che alla fine si avviene».
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Bibliografia
P. Volponi, Il ramarro, con una presentazione di Carlo Bo, Urbino, Istituto D'arte, 1948.
P. Volponi, A lezione da Paolo Volponi, in «Poesia», n. 2, 1988, p. 47.
S. Ritrovato, All’ombra della memoria. Studi su Paolo Volponi, Pesaro, Metauro Edizioni, 2013, p. 10.
P. Volponi, Introduzione a I. Di Martino, Enciclopedia della gestione della scuola, Milano, Teti, 1977, pp. 4-5.
P. Volponi, Scrivo a te. Come guardandomi allo specchio. Lettere a Pasolini (1954 – 1975), a cura di D. Fioretti, Firenze, Polistampa, 2009, pp. 175 – 176.
S. Ritrovato, All’ombra della memoria, studi su Paolo Volponi, Pesato, Metauro, 2013, p. 75.
P. Volponi, Memoriale, Milano, Mondadori, 2015.
P. Volponi, La macchina mondiale, Milano, Il Sole 24 Ore, 2012.
P. Volponi, Il lanciatore di giavellotto, Torino, Einaudi, 1981. P. Volponi, La strada per Roma, Torino, Einaudi, 2014, p. 106.
E. Siciliano, Passione per la pittura, in Le due donazioni Volponi alla Galleria Nazionale delle Marche a Urbino, Urbino, Quattro Venti, 2003, pp. 13-16.
P. Volponi, Romanzi e prose, Torino, Einaudi, pp. 1039-1048.
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RICCARDO RENZI
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