RIVISTA = FERMENTI
E' in distribuzione l'ultimo numero della impegnativa rivista "Fermenti" - creata e diretta egregiamente da decenni da Velio Carratoni- Un volume ricchissimo che dovrebbe essere riservato come numero da collezione, per i molteplici e impegnativi interventi di eccellenti scrittori ed artisti contemporanei- Di seguito il Sommario e alcune delle prime pagine // per contatti email = ferm99@iol.it == ***
SOMMARIO :Fermenti 1
CONTEMPORANEA
7 Son ritornati i dittatori
di Velio Carratoni
BLOC NOTES
10 di Gualberto Alvino
CRONACHE di Giovanni Baldaccini
32 La “Cosa” scomoda: agli autori di tutte le guerre
34 La notte delle indulgenze
37 La solitudine dell’arte
CRITICA
41 I tesoretti del surrealismo
di Marcello Carlino
49 Francesco Leonetti e la fedeltà allo Sperimentalismo
di Francesco Muzzioli
64 Fenomenologia della “poesia facile”:
dalla neolingua di Orwell alla neopoesia di Arminio
di Michele Nigro
67 Nuovo campo, nuovi canoni. L’alterità tra i margini in Azar Nafisi
di Tommaso Bricchi
SAGGISTICA
78 Artaud, van Gogh e altri ‘suicidati’ dalla società
di Gabriella Colletti
88 Piazza Fontana, la strage, Pinelli, Valpreda
di Maurizio Nocera
ARTE
96 Intorno al Manifesto della Pulsione
di Vitaldo Conte, Carmelo Strano
99 La Lettera d’Amore: Pulsione per Arte-scrittura e Narrazione
di Vitaldo Conte
112 Futurismo
di Francesco Gallo Mazzeo
117 “Contro il morire della luce”. Avanguardia, sacro
e bellezza nella meditazione poetica
di Luca Siniscalco
124 ‘Pane d’artista’: un nuovo genere nella Collezione RACC
di Lucrezia Rubini
129 Site specific / time specific
Antoni Muntadas a Roma, ospite dello Sudio Varroni
di Giovanni Fontana
132 Posverso: poetiche della resistenza
Una biennale di poesia sperimentale nel cuore della pampa argentina
di Giovanni Fontana
137 Poemi astratti
di Giovanni Fontana
141 Artista multiforme: Giorgio Chiesi
OCCASIONI
143 Una lettera dall’aldiquà
Una risposta postuma a Marzio Pieri
di Alberto Artosi
RESOCONTI
149 “Appartenere”: that is the question
Di un telefono e d’un campanello che suonarono
di Bernardo Pieri
STORIA
154 Il Terzo Impero e la Terza Roma…: un altro Reich
di Stefano Lanuzza
TRADUZIONI
165 Poete di Salonicco e altro
premessa e revisioni a cura di Crescenzio Sangiglio
199 L’ appuntamento
di Irò Nikopùlu (a cura di Crescenzio Sangiglio)
MISCELLANEA a cura di Sergio d’Amaro
201 La fantastica avventura della vita e della letteratura
Giuseppe Bonaviri a cent’anni dalla nascita
203 Una vita al servizio della letteratura. Saverio Strati centenario
205 Emanuel Carnevali, il poeta che voleva diventare il primo dio
207 Come s’impara la vita per Corrado Augias
209 Danilo Dolci e l’invenzione di un futuro migliore, cent’anni dopo
211 Una rivoluzione chiamata Domenico Modugno.
Una nuova biografia di Mister Volare
212 Giocare a sciarada per rintracciare Bobi Bazlen
Il libro postumo di Giuseppe Marcenaro
214 I Beatles e la banda del Sergente Pepe
216 La riscoperta di Gian Domenico Giagni
Fermenti 3
POESIA
218 Con Lucio Toma, in poesia
intervista a cura di Canio Mancuso
225 E io intanto scrivo…
di Ivan Pozzoni
233 L’andazzo del camuffamento
di Velio Carratoni
238 Sei inediti e tre poesie contro la guerra
di Ariodante Marianni
240 Ecco di nuovo la mano sicura
di Assunta Sànzari Panza
242 Vorrei essere
di Italo Scotti
RECENSIONI
244 Odeporico sarà lei…
di Francesco Muzzioli
248 Scritture verticali
di Mariano Bàino
252 L’Eritrea e la solarità nella poesia di Casagrande
di Renato Pennisi
255 Storia del colonialismo italiano
di Velio Carratoni
257 Tra memoria ed amore, verso il nuovo giorno
di Roberto Casati
INTERVENTI
261 Quando il gioco si fa serio
di Francesco Muzzioli
NARRATIVA
264 Balentìa
277 Berlino 2014: appunti da un viaggio
di Marco Palladini
300 Da “Volevo conquistare l’America’’
di Sergio D’Amaro
306 Libero pensiero
312 Osservare
di Vinicio Verzieri
Fermenti 4 Potete seguire le attività della Fermenti anche suFacebook e Twitter: www.facebook.com/fermentieditrice - www.twitter.com/fermentiedit Continuate a sostenerci con l’abbonamento o un libero contributo: - C.C.P. 25251000 da intestare a “Fermenti Editrice” - bonifico su Banco posta, IBAN IT 84 E 07601 03200 000025251000 - bonifico a mezzo banca MPS, IBAN IT 42 D 01030 03271 000061304606 INSERTO FONDAZIONE PIAZZOLLA
POESIA
317 L’ora del delirio (tra apocalisse e follia)
di Marino Piazzolla
331 Inediti
Dal volume antologico Dieci poeti vol. 2
di Marino Piazzolla
ARCHIVIO
334 Agosto 1974: Prima mostra nazionale scrittori che disegnano e dipingono
335 Volumi pubblicati in collaborazione con la Fondazione Piazzolla
344 Audio e video proposti sul sito www.fondazionemarinopiazzolla.it
349 Note biografiche
All’interno, riproduzioni artistiche di: G. Braque, G. Chiesi, V. Conte, F. Filincieri
Santinelli, G. Fontana, G. Fucsia, P. Marafini, A. Muntadas, G. Severini, M.H.
Sonja Peter, M. Russo,V. Verzieri.
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Fermenti 5
“Fermenti” n.252 “Fermenti” n.253
“Fermenti” n.250 “Fermenti” n.251
Fermenti 6
“Fermenti” n.256 “Fermenti” n.257
“Fermenti” n.254 “Fermenti” n.255
Fermenti 7
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Contemporanea Occupazioni, violenze, estremismi a oltranza
di Velio Carratoni
Son ritornati i dittatori
Peggio del peggio per contrapporlo al meglio dissolto, anche se non può paragonarsi alle peggiori trovate per mancanza di migliori tendenze che nessun umanoide potrebbe identificare. Per questo a volte dice poco o niente, rispetto alle risorse e alle aspettative rivoltate per incapacità di definirle a causa di chi sul peggio si ritrova, facendosi insuperabile nel praticarlo e raggiungerlo. Superando qualsiasi limite di confronto e raffronto. Sguazzando nella propria orbita, come se si fosse superato ogni limite. Forse anche il peggio ha osato superare chi si vanta di poter usare appellativi senza senso. Convinti che sia il limite massimo di una classifica, superando la quale non si trovano certo le Colonne d’Ercole o l’Inferno dei supplizi più infamanti e lerci. Raggiungerlo è come se si fosse sbagliata strada, avendo perduto ogni estremo limite, ammesso dalle armerie più ordinarie. Senza prevedere ogni mezzo di distrazione connesso con le armi della distruzione massima o di quanto concerne armi chimico batteriologiche. Non certo della classe delle risoluzioni del peggio immaginato o previsto. Potendo arrivare inaspettatamente, tramite distruzioni di massa per sete di aggressive tendenze, la cui feroce sete di annientamento rientra nel metodo del peggio, il cui effetto causa panico, morte, distruzione, a favore dell’esaltazione d’ogni sanguinaria carneficina o desiderio di sparizione che nessuna bestia potrebbe ipotizzare. E in nome del dominio regolato dalla forza bruta, esaltata da media e dal politicume più abietto e innaturale per decantare un peggio da mostri satanici, animati da deterioramenti basati sull’annientamento. In nome di un dio giustiziere. Anche se si crede fonte di ogni imparzialità immaginabile. Per decantare distruzioni delle peggiori risorse ripetute, perché ogni suo pronunciamento è privo di senso. Per questo si cita ancor prima di chiudere le presenti note. Ha senso il peggio come parola? Forse no. Risultando inammissibile nel linguaggio comune. Pur stimolando infime trovate, al di là di ogni rovina possibile. Per renderla materia da gioco, esulante ogni realtà ammissibile. Anche se diviene luogo comune, oltre ogni forza bruta. Su cui si incrementano tante costruttive tendenze che dopo Auschwitz o il peggio del pretesto Ucraina si diviene spodestati di ogni sembianza o ragione Stefano Lanuzza, Ritratto di V. Carratoni "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 8 umana. Grazie alle rovine immortalate da forze brute, alla conquista del venerato niente. La vita è una sorpresa a tutto raggio. Ma l’incomprensione è un fardello cui non corrispondono passaggi umani di comprovata via crucis, in quanto ogni fardello è un gioco a lotto manipolato dall’economia bacata. Bella sorte ai mortali. Già decomposti sul pre-nascere. Ma a nascita avvenuta gineprai e scadenze d’obbligo corrispondono a fardelli di rese spietate, poiché a ogni nascita non corrispondono salvacondotti di maniera. Siamo smaniosi di esistere. Ma guai a chi ci toglie un attimo di vitalità o di gioco al piattello. Gli esenti sono i non esistenti. Ma i compromessi sono condannati allo spiedo. E chi si turba è lo smidollato sorteggiato al palo. O l’infedele del raggiro. Per sognare realmente non è necessario dormire. Quel che conta è sentirsi né addormentati né svegli. Ma almeno vacillanti e rapiti in una componente di illusione a durata senza tempo. Da un attimo a un insistente collocarsi verso negazioni o ammissioni di chi non ammette o conferma, insinuando apparizioni vere-false. Pur vacillanti nei colori sfumati marcati, senza seguire destinazioni certe o realisticamente ammissibili. Se lo fossero non sarebbero sogni, ma mere apparizioni regolate dall’esigenza di non confermare né disconoscere, data l’incertezza o l’inconsistenza dell’ammissione comprovante. Chi sogna sorvola o gira attorno alle pratiche di ammissioni o negazioni di chi non crede forzatamente. Chi almeno prova a farlo non è convinto, forse disposto a farlo, senza certezze, dimostrando quanto siano benefiche le buone intenzioni. Più salutari delle negazioni delle maligne rinunce dei vili o degli indifferenti abulici. Refrattari a predisposizioni altruiste. Chiusi ad aperture sospette di chi non fa nulla per gli altri, sopraffatti da stordimenti cronici. Allietarsi o rimanere amorfi di fronte a ceneri rese a dominatori del caso, per far dispetto a nostre incurie o devastazioni psico-fisiche, decomposte o annebbiate. Per dare conferma a polveri riunificate dal caso o da ostinate risoluzioni di maghi occulti o smarriti. E chi si bea sa che è devastato o martorizzato da brutalità facenti gola a otturate funzioni intossicate. Magari fosse. Anche se le tergiversazioni vanno a ripercuotersi verso innocenti, colpiti per caso o intenzioni: bambini, vecchi, chi non c’entra niente. Questo è l’eroismo praticato dai tiranni. Chi soccombe è segnato. Chi reagisce, un profanatore di scopi iniqui. Così, la regola. Chi si esalta rispetto ai crolli altrui è un reprobo millantatore di disgrazie irreparabili. Un pusillanime delle iatture degeneri tanto in voga, dato che non si rispetta più ogni onore e gloria, conquistati con il sangue di coerenti condivisioni di personali conquiste, senza ruberie o azioni turpi. In ogni stato oltre agli accaparramenti arbitrari, ce ne sono altri meritevoli d’ogni onore e riconoscimento. Anche se gli obbrobri sono all’ordine del giorno. Come distinguerli? Tutto rientra negli affari interni di chi possiede, raccoglie, "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 9 custodisce. Fin quando tutto procede nel presunto diritto acquisito per fallacia o crudeltà imposta. Dopo chissà. E il chissà chi se lo pone? Solo quando si diventa nemici delle cose proprie o altrui. Prima riverite, rispettate onorevolmente e pazientemente. Poi? Ci vorrebbero i maghi per prevederlo. Non bastano gli oligarchi o i rappresentanti degli stati amici (nemici rivali, presenti in ogni caso). Prima quindi amici rispettati ossequiati onorati con inni present’arm. Poi? Tutto può avvenire. Come è capitato ad un definito zar che per anni e anni era l’amiconemico onorato, riverito portato d’esempio, Come l’amico salutare genio superiore d’intenti senza paragoni. Poi? Azioni belliche. Parole più turpi d’eguali non ce n’è. Impari in ogni caso agli sdegni provati. Nelle circostanze più buie. A prescindere dal sangue versato. Dato che ogni guerra ammette le cose più turpi. E per troppi dominatori chi non le pratica non sa cosa sia l’amor patrio. Per il resto tanti si professano guerrafondai, agli ordini di produttori di annientamenti, più stimati nel ruolo. Per forza, crudeltà, ambite non paragonabili ad altre attività che non arrechino spietatezze di vario genere. Per questo tutto ciò che non causa morte, terrore è deprecato. Divenendo effetto di normalità che non fa più notizia, rispetto alle violenze, ai femminicidi, più attuali dell’aria, pur divenuta irrespirabile. Da ciò deriva che la cieca crudeltà ha conquistato il mondo. Velio Carratoni Biennali. Sogni dell’arte e sfide della realtà di Vittoria Biasi e Edvige Bilotti La corriera azzurra di Fabio Dainotti "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 10 Bloc notes di Gualberto Alvino RITRATTI DI CONTEMPORANEI Italo Calvino Fu Zavattini, verso la metà degli anni ’70, a preannunciargli telefonicamente la mia visita in via Campo Marzio: «Un ragazzo di belle speranze vorrebbe venire a trovarti. Ma attento, è molto impegnativo!». Cesare riattaccò dopo qualche minuto e, rivolto a me, disse: «Ti aspetta dopodomani alle 5. Sii puntuale, lui detesta i ritardatarî. Ma non trattenerlo troppo a lungo: ha mille cose da fare, quasi come me». La mia visita durò una manciata di minuti che mi parvero ore. Lavoravo da tempo sullo scrittore più arduo e sperimentale del Novecento non solo italiano, Antonio Pizzuto, che sarebbe diventato il principe dei miei auctores, e sùbito gli chiesi un parere: «Lei è dall’altra parte della barricata: detesta l’avanguardia e ogni forma di obscurisme e di deformazione linguistica, quindi il Palermitano non riscuoterà certo il suo…». Chiunque mi avrebbe accompagnato alla porta, ma lui no: mi fissò per qualche secondo, poi sillabò con la sua voce pacata: «Di Pizzuto, mio caro quasi omonimo, apprezzo il coraggio e la brama di rinnovamento, ma c’è un limite a tutto: se il lettore deve consultare dieci vocabolarî al minuto…». Lo interruppi: «Lo scrittore non è degno del nome se non sperimenta continuamente, se non ha orrore del già fatto e del già saputo, se non rinnega perfino sé stesso. Non possiamo continuare a scrivere come nell’Ottocento. Lei parla di chiarezza, ma non è lo scrittore a dover scendere: è il lettore a dover salire. Lei, Calvino, è un grande sperimentatore di temi, ma non di forme, non di linguaggio». Con un tono quasi paterno promise che avrebbe riflettuto a fondo sulle mie parole: «Intanto mi dia il suo indirizzo: le faccio mandare qualcosa di mio e mi dirà cosa ne pensa». Gualberto Alvino "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 11 Nei mesi che seguirono intercorsero tra noi numerose telefonate, tutte sul tema della sperimentazione linguistica. L’ultima terminò così: «Non creda che io non sperimenti e non sappia che l’opera letteraria è un tessuto di parole. Ma all’espressione-espressione preferisco di gran lunga l’espressione-comunicazione». * * * Sui critici militanti Siamo sempre ben disposti erga omnes, ma non al punto di non andare su tutte le furie leggendo un’articolessa di Raffaele Manica («Alias-Il Manifesto», 9 luglio 2017), nella quale scintillano le seguenti gemme: «Da dove arriva l’incanto della poesia di Penna, che si presenta con tanta chiarezza e luce da rinviare per forza a un mistero? Ogni poesia di Penna – nella sua brevità – sembra essere la scheggia residua di un’esplosione avvenuta chissà dove: per questo è altamente drammatica anche nei passaggi di maggior cantabilità e intimità». A) per quale motivo un incanto debba «per forza» rinviare a un mistero resta un mistero (e di che mistero si tratti è ugualmente un mistero). B) «Un’esplosione avvenuta chissà dove»? Dillo tu, Manica, di quale esplosione si tratta e dove è avvenuta: il tuo è un testo argomentativo, non una lirica ermetica. C) «è altamente drammatica anche nei passaggi di maggior cantabilità e intimità »: che la (facile) cantabilità sia l’opposto della drammaticità, nessun dubbio; ma perché mai l’intimità dovrebbe essere l’opposto della drammaticità? D) «Penna è un poeta solo illusoriamente facile. Presenta insidie perfino sul piano immediato (lasciamo stare i simboli). Certe disposizioni grammaticalmente ambigue stanno lì in agguato per chi si contenta di poco, e avvertono che invece occorre leggerlo come merita, alla sua altezza. Perciò Penna non può essere un poeta del Midcult, se non equivocandolo»: d’accordo, lasciamo pure stare i simboli (quali simboli non è dato sapere), ma vogliamo almeno spiegare quali sarebbero le «disposizioni grammaticalmente ambigue» e perché tendono agguati solo a chi si contenta di poco? E) «interdipendenza dei testi di Penna con la tradizione passata e recente»: credevamo di sapere che recente si oppone a vecchio, antico ecc., non certo a passato, perché – come tutti sanno, salvo i nostri gazzettieri letterarî – anche il recente è passato. * * * Alfonso Berardinelli nel Foglio: «Manica discute il commento di Maria Antonietta Terzoli al Pasticciaccio di Gadda. Ma questo per lui sembra soprattutto il pretesto per scrivere un fitto e denso saggio sul prosatore italiano del Novecento più entusiasmante o più "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 12 esasperante, il quale racconta e non vuole raccontare, preferisce meditare, descrivere e sfogarsi. A questo punto Manica, per venire a capo di tali complessità che evidentemente lo appassionano, diventa a sua volta prosatore di estri analitici e ritmici degni a loro volta di analisi». In verità il saggio di Raffaele Manica (Divagazioni sul Pasticciaccio secondo Terzoli, «Nuovi argomenti», I, 3, 2016, pp. 153-60), pur complesso, come richiede la materia, è altrettanto perspicuo che godibile. Evidentemente il Berardinelli non ha molta dimestichezza con la critica letteraria. * * * Agli amici poeti che non detestano le rime Non tutti sanno che due parole sdrucciole prive di una corrispondenza omofonica perfetta (ossia contenenti suoni non identici) rimano tra loro, essendo il ritmo sdrucciolo considerato un equivalente della rima. Chiabrera: quel giogo impostomi dolce e spiacevole * * * «Spessore» è la parola Un vecchio amico, di quelli che si perdono di vista ma non si dimenticano mai, mi scrive di sapere perfettamente che la sua produzione poetica non rientra nelle mie corde (dice che una volta bruciai una sua poesia in presenza di Arnaldo Colasanti: dovevo essere un ragazzo eccessivo e severissimo). Gli ho risposto (e lo ripeto a tutti voi) che ho naturalmente le mie inclinazioni, ma nulla è fuori dalle mie corde se ha spessore formale e concettuale. Mancando uno dei due è il deserto. * * * Diciannovesimo o ventunesimo secolo? «Antonella e Andrea vogliono un figlio. Ma è come se non ci fosse niente di semplice, nel desiderio più naturale del mondo». Così presenta un grande editore l’opera narrativa di una scrittrice in odor di Premio Strega. Davvero, ma davvero interessano ancora certe trame? * * * "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 13 Cose di lingua Mi scrive un docente milanese di filosofia: «Nella frase “Questo numero ce lo siamo giocato sulla ruota di Bari”, perché giocato e non giocati?». Preferirei concordare il verbo con l’oggetto e non col soggetto, ma entrambi i costrutti sono corretti. Qualche esempio (con l’oggetto anteposto e posposto): «Tutto quello che ci siamo bevuto e mangiato» (Gaetano Cappelli); «Ieri sera ci siamo bevuto un bicchiere» (Saverio Strati); «Ci siamo bevuti qualche birra» (Jack Kerouac tradotto da Monica Luciano per Mondadori). Roberto Maggiani di Roma: «Non riesco a decidermi su indicativo o congiuntivo in questa frase: “Eppure parlano a chi lo crede possibile” o “Eppure parlano a chi lo creda possibile”?». Indicativo. «Lui non è il mio prototipo di uomo»: frasi come questa ricorrono continuamente nei programmi televisivi. Per «prototipo di uomo» intendono ‘uomo ideale’. Ma prototipo (dal greco protótypos, composto da proto primo e typos impronta) significa esattamente ‘modello originale di una serie di realizzazioni successive’. Nulla a che fare, dunque, con ‘ideale’, ‘perfetto per me’. Agli ultrapuristi che mi comunicano il loro ribrezzo nei confronti di chi scrive frasi del tipo «Io, non nutro alcuna stima per lui» (virgola tra soggetto e predicato) rispondo che, oltre al cosiddetto enfopunto o punto tematico, esiste anche la virgola tematica, che svolge la funzione di isolare il soggetto (ossia il tema: perciò si chiama tematica) enfatizzandolo. L’«io» della frase citata equivale, insomma, a ‘quanto a me’. Numerosissime le attestazioni letterarie di questo modo d’interpungere. Due soli esempî: «Voi, mi fate del bene, a venir qui» (Manzoni, I promessi sposi, XXX); «Il contrario, esiste» (Italo Calvino, Ti con zero) Qualche riflessione sulla cosiddetta “rotazione di transitività” o, con una brutta espressione, “transitivizzazione dei verbi intransitivi”. Ad esempio, «Ho passeggiato il cane», «Scendimi la borsa», «Luigi siedilo accanto a me», «La tua chiamata verrà risposta quanto prima» ecc., frasi ovviamente scorrette, ma "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 14 sempre più diffuse, anche presso i parlanti/scriventi cólti, per sostituire le quali bisognerebbe ricorrere a soluzioni assai meno economiche, per lo più servendosi di verbi causativi (o fattitivi): «Ho fatto passeggiare il cane»; «Luigi fallo sedere accanto a me» ecc.; E poiché il parlante tende a ottenere il miglior risultato funzionale con il minore sforzo possibile (parola del grande Martinet), prevedo che scorciatoie di questo tipo prenderanno il sopravvento. Qualche sconsiderato grammatico esorta gli scriventi a non drammatizzare sulla virgola prima e dopo i vocativi: «Può esserci o non esserci. Ad libitum». Non obietterò col solito «Ho mangiato mamma» VS «Ho mangiato, mamma», ma col seguente quesito, che rivolgo a tutti voi. Luigi guarda la foto di un paesaggio postata dall’amico Carlo e commenta: «Splendido caro Carlo!» A chi è attribuito «splendido», a Carlo o al paesaggio? Umberto Pavoncello mi scrive: «“La creatività gioca sempre con l’ignoto e ce ne consegna l’eco, quando fioca quando assordante”: non sarebbe più corretto un due punti? «La creatività gioca sempre con l’ignoto e ce ne consegna l’eco: quando fioca, quando assordante ». Col due punti può andare senz’altro, ma la sento una sottolineatura eccessiva, ai limiti del supervacaneo. Anche la virgola va bene dopo fioca, ma i due «quando» sono in correlazione e possono tranquillamente fare a meno della virgola (cfr. or sì or no). Scrive Chiara Spagnolo (“La Repubblica”): «Bellomo paventò che avessero commesso illeciti nella trattazione del giudizio a suo carico». Naturalmente voleva dire insinuò. Dopo ventilare e vociferare, ecco una nuova accezione di paventare, che – poverino – non pretende di significare altro che temere. * * * "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 15 Stefano Lanuzza Céline en voyage. Contraddizioni, canzoni, filosofemi Massa, Transeuropa, 2024 Saggista, storico della lingua italiana, traduttore, comparatista, francesista e scrittore in proprio, noto soprattutto come agguerrito célinista (memorabili, tra gli altri, Maledetto Céline, Céline della libertà, Argotier e Marginalia intorno a Louis-Ferdinand Céline), Stefano Lanuzza torna sul più amato dei suoi auctores esplorando come nessuno mai prima il legame tra la Germania nazista prima della Seconda guerra mondiale e il discusso scrittore francese (definito da critici e lettori corsivi cinico antisemita e feroce collaborazionista del regime hitleriano: non si dice quanto ingiustamente, sia in quanto il valore di un testo letterario non dipende esclusivamente dalle idee e dai contenuti-significati ma soprattutto dalla potenza espressiva del linguaggio, sia perché Céline preconizza con candido idealismo, non solo in Les beaux draps, la divisione egualitaria dei beni, il salario nazionale unico, la nazionalizzazione di banche, miniere, ferrovie, assicurazioni, grandi magazzini) nonché il suo rapporto con l’universo femminile, mettendo a nudo con persuasività dimostrativa e spessore euristico profonde contraddizioni ideologiche e affettive: Due donne inobliate segnano la formazione di Louis-Ferdinand Céline, la trepida e possessiva madre Marguerite, umile merlettaia al servizio dei borghesi ricchi («Era una paria mia madre» [così in Voyage]) e la fantasiosa lieta vivace nonna materna Céline Guillou da cui Louis vorrà assumere il proprio nom de plume. […] Concentrato, al pari dei romantici, sul proprio Io e oltremodo sensibile al femminino, lo ‘specifico’ della donna trasposto nel proprio animo, Céline inaugura, schierandosi dalla parte delle donne, un personalistico epperò non sempre equo femminismo. Non esimendosi dal classificarle e al tempo stesso sostenendone la superiorità rispetto agli uomini. […] Le donne lo attirano e coinvolgono, ma lui non manca d’affermare sdegnoso d’avere eliminato dal proprio vocabolario la parola “sentimento” che infine giudica volgare: «La volgarità comincia, miei signori, nel sentimento, tutta la volgarità, tutta l’oscenità […], insomma tutto il bidet lirico. O l’amore? Parola infame! Il rancido delle stalle, la parola più intrisa di abiezione che ci sia!… la malefica immondizia! La parola più usata, oscena, vischiosa del dizionario! Con “cuore”!» (Bagatelles). Quanto alle accuse di antisemitismo (si noti che prima dell’Olocausto una non magra schiera di scrittori francesi si dichiarò apertamente antisemita e collaborazionista durante l’occupazione nazista della Francia, da Louis Dasté a Léon "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 16 Daudet, da Charles Maurras a Jacques Doriot, da Marcel Bucard ad Alphonse de Chateaubriant a Lucien Rebatet), Lanuzza cita più d’un passo dei libelli “antisemiti” céliniani talmente pregni di esplosive contraddizioni da smentire la communis opinio (sue le traduzioni): «Me, io, mi sento comunista senza un atomo di dubbio! […] Mi sento comunista in ogni fibra! In tutta la polpa! [… ] Mica sono un reazionario! neanche tanto così! Neanche un secondo! Niente fascista!» (Bagatelles); «Il comunismo è una qualità dell’anima. Uno stato d’animo che non si può comprare. […] Il comunismo è innanzi tutto vocazione poetica. Senza poesia, senza fervore altruista ardente, purificante, il comunismo non è che una farsa. […] Il comunismo assennato creperà in questa civiltà senza poeti […]. Il comunismo deve essere follia, prima di tutto, soprattut’o. Poesia » (L’école des cadavres); «Delle élite così divoranti, dei mangioni, degli accaparranti, non ne abbiamo proprio bisogno. […] Nazionalizzo le Banche, le miniere, le ferrovie,’le assicurazioni, l’Industria, i grandi magazzini […]. Se si fa la rivoluzione non è per farla a metà, bisogna che tutti siano contenti, con precauzione, dolcezza, ma con la coscienza delle cose» (Les beaux draps). «Quale mistificazione, allora – conclude Lanuzza –, è voler adattare Céline alla categoria dell’irresponsabile “povero diavolo fascista” […]?» In appendice due canzoni argotiche, ossia composte secondo la parlata popolare parigina, improntate al più impenetrabile obscurisme: Le Réglement e À noeud coulant, tradotte liberamente dallo stesso Lanuzza. Riportiamo la prima: REGOLAMENTO Ti troverò, carogna, una brutta sera! Ti farò negli occhi due grandi buchi neri! La tua anima puttana prenderà slancio! Vedrai che bella assistenza vedrai che ballo nel gran cimitero dei Bravi Ragazzi! Ma ecco zia Ortensia e il suo piccolo Leò! Ecco Clementina e il valente Totò! Bisogna dire a questi amici che la festa è finita? Al diavolo la tua sorte? "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 17 Piaga! Muffa! Non importa, O dannato! le tue croci che il vento ti porti foglie morte e tormenti! Ma ecco che poi ti lamenti d’essere cornuto! Che son’io l’infame responsabile e tu non ne puoi più! Ora non sbagliare l’occasione rara di respirare! Se ti va vieni a vedere con me i grandi ossari di San Mandé! Non sono novità che ti sgranocchi essendo marcio! Che le smancerie ti soffocano della tua Mélie! Ecco com’è caduta Mimile nel gran canestro! Va’ a vedere che bel lasciapassare ti farcisco nella ragnatela! Ma c’è una questione che mi tormenta guardandoti! Sarai più disgustoso da morto o da vivo? Vai pigiando tutto il vermicaio nella sepoltura! Mentre tu resti a cuccia nella bara io avrò delle grane con Mimile nel fornocimitero dei Bravi Ragazzi! * * * Giorgio Bassani Pavana a cura di Angela Siciliano Roma, Officina Libraria, 2024 Dottoressa di ricerca in Studi Italianistici dell’Università di Pisa e dell’Université Grenoble-Alpes, lettrice d’italiano presso l’Université Sorbonne Nouvelle - Paris III, contemporaneista specializzata in filologia d’autore (è redattrice del portale Filologia d’autore della piattaforma Wiki Gadda istituita e diretta da Paola Italia), specialista di Primo Levi e Giorgio Caproni, membro di redazione delle riviste «Nuovi Argomenti» e «Prassi ecdotiche della modernità letteraria», Angela Siciliano – dopo aver allestito il catalogo delle pubblicazioni di Giorgio Bassani e averne pubblicato con passione e acribia più d’un’opera – torna a occuparsi del suo autore prediletto curando Pavana, raccolta di versi composti "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 18 tra il il 1939 e il 1942 e recentemente rinvenuti nel Fondo Arcangeli della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna: in sostanza, il primo getto della silloge d’esordio intitolata Storie di poveri amanti e altri versi. Un libro, dunque, rifiutato dallo stesso autore, benché segni, afferma la curatrice nella dotta e informatissima Introduzione, uno snodo biografico e letterario: da qui la necessità di riprodurla nella sua fisionomia originaria, poi progressivamente occultata dall’autore. Dopo aver rinunciato a pubblicare il volume, forse per mancanza di un editore, Bassani lo rielabora infatti due volte: nella primavera-estate del 1943 in un’altra stesura provvisoria e inedita, Dei poveri amanti e altre poesie […]; nella primavera del 1945 in Storie dei poveri amanti e altri versi […]. Nel ciclo dei «poveri amanti» maturano i presupposti del superamento di Una città di pianura. Includendolo in Pavana, Bassani traccia una continuità tra i due libri e, insieme, rivela un laboratorio di poetica in fermento: nel congedarsi da sé, all’«uscita della giovinezza», non offre un’immagine lineare della sua scrittura ma, autenticamente, la testimonianza di una sofferta riflessione, che procede per tentativi e ripensamenti. Su un altro punto Pavana segna un netto avanzamento rispetto a Una città di pianura: la raffigurazione di Ferrara. Nel libro del 1940, la città non è mai nominata esplicitamente, ma nascosta dietro l’abbreviazione «F.», per ragioni di prudenza e poetica. Come ricorda Pasolini, Bassani riuscirà a chiamarla col suo nome solo nel 1956, nelle Cinque storie ferraresi. Ciò vale per la prosa ma non per la poesia, in cui Ferrara compare per la prima volta in Pavana, nel titolo dell’ultimo testo: Verso Ferrara, datato 1942. Il congedo della raccolta annuncia perciò la nascita dello «scrittore realistico» che, benché «perseguitato, escluso, considerato indegno di vivere», «guarda in faccia la realtà un attimo prima che la bufera degli eventi lo investa violentemente». Notazioni da sottoscrivere in toto come, d’altronde, tutti i criterî che presiedono all’edizione critica. Malgrado la massiccia presenza di alcuni temi («solitudine, attesa, lontananza, infanzia» suggerisce opportunamente la curatrice) e stilemi ermetici (analogie, omissione dell’articolo attualizzante o suo uso assoluto, rotazioni di transitività ), la poesia di Pavana non viaggia totalmente all’insegna dell’ermetismo, come dimostra il lessico (non già «tecnico-specialistico», come afferma Angela Siciliano, ma) sliricato (sottopassaggi, tuta, fabbriche, persiana, altoparlanti ) e soprattutto l’inserimento di Ferrara nel contesto paesaggistico padano, «che distacca per concretezza – si precisa ancora nell’Introduzione – la natura indeter- "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 19 minata dei poeti ermetici». Lo provino testi come Di settembre a San Giorgio (al lettore avvertito non sfuggirà la sapienza delle soluzioni metriche e retoriche): Mai più ritornerà nel vento delle bandiere lungo il fiume l’infanzia. In quest’aria celeste ardono sul ponte i candidi angeli nei volti a meste luci di lontananza. S’apre dalle brughiere derelitte un’umana solitudine. È tempo di caccia; e spari trasalgono fiochi nella tua pietra o mia chiusa città, remoti entro l’attento stupore in che tu duri implacabile, tetra. o Sul Po: Nei veli delle sere che assonnano le alte biade, e le campane esalano da nebbie d’oro le pievi remote, ti porterò fuori il borgo lungo le spade mormoranti dell’erba ardente, quando la lieve anima delle rose sogna il viola devoto dagli argini, e in un fumo amaro sopra funeste solitudini d’acque arrossa languido il fuoco di nostalgici incendi le solenni foreste. o, ancor di più, il componimento eponimo, Pavana: Al metronomo sordo d’una mesta pavana sfiorivi: un crisantemo frangeva l’ombra smorta della stanza. Smettevi di suonare: dalla persiana lacrimava la polvere del giorno sul pianoforte. Poi riprendeva la musica solitaria e insistente quei pomeriggi tetri nel remoto novembre della tua noia; la spera si spengeva: era sempre di nuovo sera. T’alzavi, tornata indifferente. * * * Stefano Fumagalli Note metriche su Tommaso Landolfi: «Viola di morte» e le versioni da Tjutčev «L’analisi linguistica e letteraria», XXXII, 1, 2024, pp. 50-66 Nel fascicolo monografico di «L’analisi linguistica e letteraria» (una delle riviste italiane più sensibili al versante linguistico del testo letterario: pregio non dappoco in un’epoca in cui si privilegia il mero piano dei contenuti-significati "Fermenti" n. 258 (2024) Fermenti 20 non solo dal grande pubblico, ma persino dalla maggioranza dei lettori professionali), contenente gli Atti della «Giornata di Studi sulla traduzione poetica. Indagini stilistiche e metriche», tenutasi a Milano il 3 marzo 2023 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a cura di Monica Lucioni e Stefano Fumagalli, spiccano le Note metriche di quest’ultimo aventi per oggetto Viola di morte – la prima silloge poetica di Tommaso Landolfi (Pico [Frosinone] 1908 – Ronciglione [Viterbo] 1979), alla luce nel 1972 ma composta tra la fine del 1966 e l’agosto del 1970 – e le sue versioni delle Poesie di Fëdor Tjutčev: un saggio di grande interesse che, movendo da una scansione contrastiva delle forme metriche adibite da Landolfi nella sua poesia e nelle traduzioni dal russo, pone in evidenza i punti in comune nel modo di formare del poeta e del traduttore. Un lavoro, dunque, originalissimo, senza precedenti, così presentato dall’Autore: In queste pagine proponiamo uno studio delle versioni landolfiane da Tjutčev con l’obiettivo di descriverne la strategia di resa metrica, che fino a oggi non è stata oggetto di analisi. Procederemo dunque a un raffronto con i dati risultanti dalla scansione metrica di Viola di morte, la raccolta cronologicamente piu vicina alle versioni da Tjutčev, al fine di verificare se, sotto il profilo metrico, vi siano punti di contatto tra traduttore e poeta. Al di là della prossimità cronologica con Viola di morte, la scelta è ricaduta su Tjutčev, da un lato, perché su queste traduzioni rimane ampio spazio per l’analisi; dall’altro, perché, fatte salve le usuali manifestazioni di insofferenza nei confronti del gesto traduttivo («una traduzione, sia pure da un poeta, per me è sempre una tragedia» [parola dello scrittore]), la poesia di Tjutčev era particolarmente cara a Landolfi: lo testimonia, tra le altre cose, la dedica di Viola di morte «Alla memoria di Fedor Ivanovič Tjutčev e di Gabriele D’Annunzio». Rinuncia alla rima e mancato rispetto tanto del numero dei versi quanto della scansione strofica caratterizzano le versioni landolfiane, che però tendono a riprodurre la struttura ritmico-accentuativa dei versi tonico-sillabici russi rispettando, quindi, il più possibile la collocazione degli ictus; infatti, come osservò nel 1978 Pier Marco Bertinetto, «Ogni metro sillabico è potenzialmente un metro tonico-sillabico, purché si pongano severe condizioni circa l’occorrenza degli ictus». Si tratta, in sostanza, di un accorciamento delle distanze tra il sistema metrico italiano e quello russo. Fumagalli dimostra persuasivamente che, malgrado il tendenziale rispetto della tradizione metrica («Io mi propongo di adottare la più libera misura possibile, o meglio ancora di non adottarne alcuna, di seguire immemore la formazione del verso, di lasciare cioè che questo si componga ed articoli da sé, fuori se "Fermenti" n. 258 (2024)
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