Interventi = Giuliana Lucchini
POESIA E CRITICA
Si fa tanto un parlare di critica e di poesia in questo periodo, che induce una riflessione
( peraltro sollecitata).
In questo mondo affollato e cresciuto culturalmente, è ovvio, oggi si scrive più che in ogni altra epoca. Soprattutto poesia. Ramo fiorente della letteratura, a giudicare dalla quantità di pubblicazioni. Chi non possiede mente particolarmente inventiva e immaginazione complessa, fantasia creatrice (talento innato), con buona dose di sicurezza scrittoria e capacità strutturale per avventurarsi nella narrativa di successo, magari con un tocco di colore ‘horror’ alla moda, scrive versi. Non sono impegnativi, rispetto alle altre forme di scrittura, non hanno bisogno di ‘scalette’, di personaggi, di intrichi, intrecci, di un’architettura d’insieme, di tanti ingredienti indispensabili. Il verso è libero. Accessibile. Basta andare a capo. Si può scrivere di tutto. E per prima cosa si scaricano le pulsioni emozionali, o di pensiero, inerenti al proprio essere, o esserci, nel mondo. Si indaga dentro se stessi l’imprevisto, lo sconosciuto. Si trova il proprio ritmo.
L’io, sempre celebrato, diventa l’esclusivo protagonista. Funziona da particolare che può guadagnare (o perdere) approcci con l’universale.
In tale contesto sorge il problema della lingua. Una poetica si impone, che caratterizza l’autore. Ognuno ha la propria lingua. Dalla più semplice, ingenua, banale, quotidiana, alla più articolata, metaforizzata, asciutta, intellettuale. Si possono dire le cose in tanti modi. Ciascuno sceglie (o subisce) il proprio stile.
Ma da questo, a fare opera d’arte, ce ne corre.
Chi scrive ama i propri testi e guai a chi glieli tocca. (“Ognuno ama solamente se stesso”, cantava già qualcuno tanto tempo fa). Se un poeta presta attenzione a testi di altri, e vi si rapporta, torna pur sempre pieno d’affetto alle proprie pagine. Nessuno lo convince del contrario. I libri sono come figli del poeta. Per assicurarsi che abbiano lunga vita, i poeti li battezzano, li cresimano, a mezzo di ‘Prefazioni’, ‘Postfazioni’, segnali di salute e validità che dovrebbero invogliare e guidare la lettura, e che invece finiscono con il condizionare, perché il libro riceve, e si stampa addosso, con tutte le buone volontà, un’impronta estranea, una visione spesso parziale, riduttiva, o comunque insufficiente nel complesso.
Ma la firma del prefatore avvalla l’opera : merce griffata.
Pubblicato il libro, il poeta vuole naturalmente essere letto. Da chi? - Ebbé, dal lettore. E dove lo trova? Se non sei uscito per sortilegio dalle mani di pochissime Case Editrici di potere (diciamo del Nord), nessuno ti conosce, nessuno ti fila. Ed ecco il poeta si dà un gran daffare per acquisire ‘visibilità’ (così poco, tirate le somme!). Prima cosa distribuisce da sé il libro fra amici, poeti, persone che trovano tempo per la poesia. Si organizza in letture pubbliche, su siti, su blog, e-book e quant’altro: un lavorìo di recensioni, di presentazioni, con l’aiuto di compiacenti poeti che si improvvisano critici (dato che in effetti sono specialisti della materia), i quali a loro volta riceveranno attenzione da altri consimili. Gentilezze di scambio? Tutto con serietà.
“… i geologi scrivono per i geologi…”,(etc), scriveva il poeta Sally Prudhomme, primo Premio Nobel per la Letteratura, all’inizio del Novecento, per dire che ogni corporazione di specialisti, per esempio i poeti, è chiusa in se stessa a cerchio.
“I poeti scrivono per i poeti”. Si stimolano a vicenda, magari da una poesia nasce un’altra poesia, le voci si intersecano, si prolungano echi.
Oggigiorno tuttavia c’è saturazione anche fra gli ‘adepti’ ai lavori, i poeti che frequentano le letture pubbliche, in librerie, Biblioteche, etc., che leggono i libri degli altri poeti, ne parlano. Come fare? Troppe voci, troppi scritti, che poi in fondo si differenziano poco fra loro. Si dà un’occhiata all’insieme, si legge qua e là, si esprime il proprio pensiero approssimativo, magari focalizzato a un solo aspetto del problema.
E dove si trova la ‘critica ufficiale’?
I giornalisti non scrivono di letteratura contemporanea sui giornali (tanto meno di poesia) da lungo tempo. Pare che ci siano quattro o cinque critici in Italia che si interessano di poesia. Quasi sempre essi stessi sono poeti. E chi li raggiunge? Nella marea della produzione vengono assillati ogni giorno da libri su libri. Se ne devono difendere.
Come in ogni ramo dell’arte, oggi è difficile distinguere personalità di rilievo. In ogni campo non nascono più ‘star’. Tutto è pressocché livellato. In Italia, tolta Alda Merini, non nasce una seconda icona di poesia. E la ‘lirica’ non è più possibile.
Così decade anche la critica, che non ha materia per parlare; la critica seria e completa che preveda, non solo qualche citazione di versi o di micro-testo in recensioni sommarie e affrettate, per ragioni varie, e di spazio, ma possibilmente un’analisi critico-interpretativa a dovere : e del procedimento scrittorio, e delle varie fasi interne all’opera, geometrie di gioco, motivazioni, architettura d’insieme, un’indagine dei significati superficiali o profondi.
“Testuale” è l’unica rivista dichiarata “critica della poesia contemporanea”, che tuttavia si occupa raramente di poeti viventi (esclude le recensioni).
Il mondo - anche quello poetico - è cambiato. La critica, se c’è, dov’è, guarda oggi con occhi diversi. Gli stessi poeti acquisiti del recente Novecento perdono di sostanza. Molti vengono messi in discussione di merito. Chi si leggerà ancora nel futuro?
Insipienza è diffusa. Cosa si pretende dalla critica, quando si dice che essa è in crisi, che non esiste più?
Da quando sono cessate le complicazioni della forma esteriore dj un testo, e ha perso valore il disegno propositurale dell’insieme per creare armonia e letteratura, in assenza di codici estetici, resta poco da sottoporre a oggetto di studio. I critici si sono stancati delle situazioni stagnanti. La spinta emozionale, o di pensiero, che fa scrivere, non coincide con la spinta dell’emozione che fa leggere. Spesso chi legge non trova nei testi corrispondenze di senso in comune, neppure un certo rigore e governo di penna che li renda appetibili al primo sguardo.
Il gusto moderno rifugge dalla qualità ‘lirica’, emblema aristocratico della tradizione..
I poeti la trasformano in qualcos’altro che, ove seduca, non convince più di tanto. Perché la Bellezza imprescindibile ha un solo aspetto di luce.
In questo modo non si sa quanto e come possa vivere un libro di poesia.
Qualora certi critici lo prendano in considerazione, c’è ancora da interrogarsi circa l’effetto che ciò può produrre. Scrive ancora Sally Prudhomme, poeta (in ‘Pensieri’):
“ La sorte dei libri è curiosa. Un’opera può essere scritta da un soggetto serio, da uno superficiale, o da uno sciocco; può essere giudicata da uno sciocco, da uno superficiale, o da uno serio.
Combinate due a due questi diversi caratteri e valuterete le possibilità di una reputazione.
…Si pubblica per vanità.”
E questo conclude davvero ogni discorso sulla critica.
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Si pubblica per volontà di autoaffermazione.
Forse il poeta per primo dovrebbe disporsi in proprio, con occhio distaccato, a leggersi, rileggersi, correggersi; stringere, eliminare; limare, rifinire. Decidere la sua critica. Tenendo d’occhio il possibile gradimento del lettore (se non vuole scrivere soltanto per sé): sviluppare un dialogo, oltre l’amore di sé, oltre lo standard banalizzante che lo contempla. Il lettore chiede chiarezza, vuole capire.
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Qualcosa di nuovo - e di artistico - in poesia si è visto fare da nuove presenze di questi ultimi anni, che hanno dato una svolta al concetto di poesia. Per lo più, donne: Irene Ester Leo, Bianca Madeccia, Mariagrazia Calandrone, esperte anche nella nuova forma d’arte audio-visiva, la video-poesia. Struttura poetica solida, compatta, verso lungo. Una forza emozionale sospinge la loro scrittura, cui si concedono senza riserve, un ardore spirituale, di quasi mistica infatuazione, in scoppiettanti terminologie, un’energia di parola che scalcia e scalpita, saltando in correnti di direzione contraddittoria. Un fiume scorre in acqua trasparente con detriti sotterranei tenuti tuttavia celati. I loro encomiabili approdi dovrebbero ora essere incanalati in un progetto di durata produttiva che non generi sazietà a lungo andare.
In parallelo gli uomini poeti, forse più ironici, si caratterizzano per un impianto di pensiero governato da maggiore ‘consecutio logica’, coerenza, con effetti di timbrica più tranquilla, ma di minore forza coinvolgente.
In un passato meno recente, alcuni poeti hanno operato un intervento di rottura e di innovazione, di innesto nel corpo della Tradizione, sviluppando, con strategie diverse, un proprio concetto di scrittura e di argomentazione, che però non ha avuto séguito. Fra loro, diversamente proponibili, Edoardo Sanguineti (dallo sperimentalismo ’63 fino a tempi non lontani): signorile, astuto, (‘accademico’), dissacrante, mondano; Giorgio Linguaglossa, serioso, elucubrativo, solitario, voce forte, procedura drammatica, il quale con “Paradiso” voleva forse riproporre, in farraginosa modernità, i fasti di un “Paradise lost”, di Milton.
Giorgio Linguaglossa è oggi l’autore di un saggio di oltre 400 pagine, “Dalla lirica al discorso poetico”, Edilet, 2011, che prende in considerazione lo stato della poesia in Italia dal 1945 ad oggi. Un lavoro di enorme impegno, per il quale i poeti, comunque siano rappresentati, con quali lacune, devono essere solamente grati. *
Altri poeti sono appendici di intellettualismo che perdura nella ricerca poetica. Per esempio, la compagine che fa capo a Flavio Ermini, ‘Anterem’ - all’insegna di teorie benjaminiane - , di alta qualità progetturale e scelta di linguaggio – diciamo anche Gio Ferri (sebbene promulghi ‘comunione/comunicazione’ della parola), lo stesso Ermini, Ida Travi, Rosa Pierno e molti altri. Il discorso, solitamente poco permeabile, si evolve per frammenti, in eterna ricerca dell’origine pre-babelica del verbo, il luogo dove la lingua, criptica, s’adombra di oscurità che nessuna luce dissolve.
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Tantissimi poeti, presi singolarmente, hanno dato opere distintive, degne di nota. Non è questa la sede. La presente riflessione ha una vista parziale, naturalmente non è esaustiva.
Altri, a maggior titolo, avranno voce ad allargare il panorama.
GIULIANA LUCCHINI
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