giovedì 15 maggio 2014

NOTA CRITICA = FRANCESCA LO BUE

Pianeta Poesia 2014- 2015

FRANCESCA LO BUE

Moiras Edizioni Scienze &Lettere 2012 pp.143 Euro 12


Abbiamo conosciuto Francesca Lo Bue nel 2010 quando ci ha fatto intravedere, presentandolo a Pianeta Poesia, il suo “Non te ne sei mai andato” che l’autrice ha dedicato alla terra natale, la Sicilia, e soprattutto al padre Salvatore prematuramente scomparso.
Un libro bilingue, come le raccolte che seguiranno, perché Francesca è vissuta la gran parte dell’infanzia e tutta la giovinezza in Argentina, terra da cui ha sorbito i colori e i contrasti, e la cui lingua morbida e rotonda ha fatta sua, tanto che nella creazione poetica è privilegiata, e soltanto in seguito tradotta in modo libero e non banalmente letterale, in italiano.
A distanza quasi esatta di un anno, nel novembre 2011 abbiamo presentato il suo “L’emozione nella parola” la cui stesura in lingua spagnola era precedente a “Non te ne sei mai andato”, stesura in seguito arricchita con la traduzione in italiano delle poesie e con una Nota di cui volentieri rileggo i primi tre versi particolarmente belli e intensi :

“ Perché la Patria non è una né geografica/ Perché la Patria è il cuore/ Perché la Patria è l’espressione delle parole del cuore” ( p.15)

Ora l’autrice ci propone il suo ultimo lavoro bilingue Moiras per le Edizioni Scienze e Lettere di Roma, bilingue nelle poesie privilegiando sempre lo spagnolo, ma la cui densa, emozionata Premessa si legge nella sola stesura in italiano.
Un omaggio a Roma, la protagonista della silloge?
Roma, infatti, ultima patria di Francesca, è il tema della raccolta nella quale il destino che il titolo suggerisce è quello della città ma anche quello dell’autrice : destini che si fondono e confondono in un intreccio emotivo dagli esiti simbolici e poetici quanto mai suggestivi .

Leggendo le composizioni della silloge mi sono venuti alla mente i versi di Octavio Paz ( Messico 1914-1998 Nobel 1991 ) che nel suo “Libertà sulla parola” (Guanda 1965 Collana Fenice diretta da Giacinto Spagnoletti : da notare la vicinanza del titolo del libro di Paz con il titolo 2011 della nostra poeta ) ci parla del “Destino del poeta” con queste parole :

“Parole?/Sì d’aria/ perdute nell’aria./ Lascia che mi perda tra le parole,/ Lascia che sia l’aria sulle labbra,/ un soffio vagabondo senza contorni,/ breve aroma che l’aria disperde.// Anche la luce si perde in se stessa”.

Il destino del poeta per Paz, ma anche per Francesca è quello di perdersi tra le parole per ritrovare e ricomporre il filo della vita oscurato e schiacciato da un dolore originario, per tentare disperatamente un rammendo allo strappo della storia.

Per Paz la poesia diventa atto di liberazione dentro una memoria continuamente portata alla luce ( vedi L’arco e la lira ) . Francesca condivide fin dalle sue prime raccolte tale convinzione e anche nella recente “Moiras” : qui Roma appare con i contrasti, le luci, le solitudini, il buio, il sogno e le speranze della Lo Bue. Qui la memoria riscatta il tempo perché : Roma è degli antenati : sono loro che trasformano il tempo in Bellezza e Religione ( p.8 Premessa).
Il riscatto della Città, tuttavia, come quello dell’autrice, passa attraverso dolorose contraddizioni, che la scelta dell’immagine di copertina del libro iconicamente riassume.
Si tratta di un allattamento, non quello classico della lupa capitolina nei confronti dei gemelli, ma quello rappresentato dal pittore Niccolò Tornioli nel dipinto Carità romana… dove la donna allatta un vecchio mentre il bimbo alla sua sinistra implora e piange… : Roma ( o Francesca?) che predilige il passato e trascura l’oggi?
Roma (o Francesca?) in continuo stato d’indecisione tra passato e presente?
E tra il vecchio e il nuovo chi perde? Perché la donna porge il seno al vecchio ma guarda l’infante.
Domande che adombrano altre domande dei testi che abitano il libro dentro colori spesso cupi di dolore, di considerazioni oscure (p.23), di vento febbricitante (p.25).
E se talvolta Roma appare nella grazia splendida d’un giorno pieno di luce, resta pur sempre “Romasola” (p.33).
C’è un sole senza tramonto (p.105) che incombe su un Tempo sempre livido (119) e un sogno dimenticato s’accende come stella nella foschia della sera (127).

Le domande della poesia, frequenti com’è nello stile della poeta rincorrono passato e presente e si fondono con il singhiozzo millenario della città, cercando risposte al dolore, a quello che Francesca chiama il sorriso del nulla (125) deluso anche dal Dio cristiano del cui nome l’Urbe porta vanto, ma che appare lontano e assente .
Dorme Dio nel suo specchio secco/ nel lusso della sua pace? (85) grida la poesia al cielo che appare sempre più alto ( e il cielo è alto…alto – p. 127 ).


I crolli, le ferite delle pietre romane soffrono lo stesso male delle ferite della donna autrice che tuttavia non vuole arrendersi alla fatalità d’un destino avverso.
C’è uno squarcio di luce nel Vespero e sopra il muro lungo, spesso appare lo Straniero, l’Angelo (133) dentro il cui volo fermo ma denso di simboli si definiscono e si proteggono nome riscatto e salvezza non solo della Città Eterna, ma anche di chi, come Francesca, vi ha legato il proprio destino.
Un destino che allaccia e congiunge Francesca a Roma, ma soprattutto alla poesia, frutto perenne che rosseggia nella siepe oscura, frutto il cui succo d’emozione e visione possiamo anche noi assaporare leggendo i versi effusivi e densi di richiami culturali ed esistenziali di Francesca Lo Bue.

P.S. “Moiras” porta in Appendice la traduzione in italiano d’una poesia di Francisco del Quevedo Y Villegas dedicata a Roma, e quella in lingua spagnola di due composizioni romanesche Carcinacci e Il fiume de Roma, con chiuse poetiche della stessa Lo Bue.

Firenze, Casa di Dante, 8 maggio 2014 Mariagrazia Carraroli

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