venerdì 23 febbraio 2018

SEGNALAZIONE VOLUMI = GERMANA DUCA

L’ORLO LIRICO DI GERMANA DUCA

"Orlo invisibile" titola l’ultima raccolta di Germana Duca, edita nell’appena trascorso 2017 per i tipi di Piero Manni. Quell’ “orlo” richiamato nel titolo indizia un punto sensibile, non individuabile né distinguibile con la forza dei sensi anche quando si sia in atto di valicarne i limiti. Con buona probabilità lo si deve e può intendere mercé la chiave per cui le nostre azioni e vicende si articolano nel quadro di una “vita” che invariabilmente persegue un proprio “gioco”.
Ma siamo pur sempre di fronte a una raccolta lirica, dunque ci si può indurre a pensare anche alla scrittura, ai suoi "enjeux" come alle sue risorse, testuali tanto quanto simboliche. Il suggerimento che arriva dalla composizione d’incipit, "Melusina", personaggio mitico e chimerico (come annota nella sua postfazione Katia Migliori), figura che da donna, madre e amante si trasforma in “corsiva farfalla” indi sperdendosi e disvanendo nei gurgiti di un tempo senza misura, pretende un’attenzione al tutto particolare, evidenziata dalla stessa autrice.
La farfalla, che nel mondo greco è soffio vitale, respiro, indizia l’anima del poeta secondo la lettura del prefatore, Alessandro Ramberti. Così la fiaba femminile si traduce inevitabilmente in poesia al femminile trasportandosi in una temporalità nella quale abbia statuto di vigenza lo scrivere, “dov’è soltanto scrittura, scrittura…”.
In ambedue i casi – esistenziale e letterario - l’orlo invisibile è infine ciò che fa da antemurale a una dimensione del divino, o almeno dello spirituale, allacciati alla terra come a una condizione creaturale nondimeno abbassata al livello della quotidianità. Oppure, esso è una linea invisibile: l’uguale della vita che nella sua infrenabile corsa si disfa per poi rinascere nelle esistenze a malgrado del tempo che fugge rapido e a malgrado di sciagure che ci si rovescino sopra. O più semplicemente è un filo tenue: “Il passatempo misterioso, caldo fino / alla fine. Il soffio breve che ride, / sbuffa, sospira e rivive nel Creato”. Il che riconduce a un sentimento universale e religioso della realtà.
L’incessante meccanicismo che vede le cose travolgerci è alla base della lucidità interrogante e della serena disperazione che la poesia ha espresso sin dal suo ingresso nella modernità. Per duecento anni, finito e infinito hanno continuato a affrontarsi senza tregua. Germana Duca li avvicina con posatezza e anche con lieta cordialità, allora che ricompone usanze locali e ritempra opere e composizioni di cui s’era perduta traccia (come quelle della "Memoria popolare della settimana santa" raccolta dalla viva voce della suocera).
Anzi, il primo tratto di queste liriche è la dinamica che si determina dal loro reciproco interferire. In quel coniugarsi comune che si riflette nell’armonia delle forme metriche e nelle parole semplici, lievi e soppesate, ricondotte entro un flusso fenomenico e quotidiano ma anche nel giro che le oltrepassa e che le compone. “Per questi colli, anfiteatri / di infinito, si rinnova il rito / di Natura, in echi di stagioni”.
L’alfabeto adottato è quello intimo delle cose che teniamo dentro e delle altre all’ingiro, governate e forse comandate da un segno che le trascende; ma pur sempre abbarbicate alla realtà, persino a qualcosa che risente del gender, almeno nel gruppo delle composizioni che maggiormente si declinano al femminile e che anche per questo perseguono il tratteggio fiabesco – e maternale, e filiale – e insieme la circolarità delle stagioni come quella della scrittura (nel modo seguito nell’ordinare i versi e le strofe ma anche nel raccogliere e distribuire i materiali).
Incastonati nei flussi stagionali, tematicamente suddivisi all’interno delle varie sezioni, i versi di Germana Duca traggono dalla propria materia un’espressività pacata, che si esalta nella dimensione familiare e anche vorremmo dire urbinate (insaporita in una lirica sulla cucina locale e in altre dove l’idioma materno, un anconetano interiorizzato, si incrocia con quello dei percorsi e dei luoghi raccontati nei versi: S. Giovanni in Ghiaiolo, la strada per Casteldurante con ai lati la lupinella e i fiori dell’ornello, ovviamente Urbino). E allora l’orlo è la pagina di uno spartito antico e insieme attuale.
Infine quella lingua che attiva e accende e smuove il pensiero, graffiandolo, ustionandolo o anche liberandolo, è intensità, silenzio, presenza discreta, ascolto di altre dimensioni e avvicinamento all’infinità del quotidiano e del mondo, in cui per Duca consiste la poesia. Così non stupisce che il libro si concluda con la lirica dedicata al dodicesimo mese dell’anno, il dicembre, e con un’aurea rimodellatura, in punta di preghiera, del Salmo 144 della Bibbia.
*
Gualtiero De Santi

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page