martedì 19 marzo 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO

ANTONIO SPAGNUOLO : "Oltre lo smeriglio" - Ed. Kairòs - 2014
C’è un che di claustrofobico in alcune delle poesie di A. Spagnuolo contenute nella raccolta intitolata "Oltre lo smeriglio", soprattutto nella prima sezione “Ricomporre”. Lo segnala la presenza di lemmi come sbarre ed altri riconducibili alla medesima area semantica. Incontriamo infatti un “muro” e una “stanza” (IV, IX, X), “pareti disadorne”, “cieco vestibolo” (IX), “soffitto”, che sembrano la traduzione in poesia dell’enunciato dell’Autore, il quale nell’Antefatto parla dell’uomo qualunque, che “proietta i fantasmi sulle pereti della propria cella”. A questi lemmi fa da pendant il “giogo” di VIII. Incontriamo anche una figura di donna “non più libera” (XIV). Ma c’è anche tutta una serie di parole che rimandano all’idea di rompere (I, XII), sventrare (II), infrangere, IV, scalcare (VI), lacerare (IX), tagliare (X), squarciare (XV), usare il coltello (XVI), recidere, rodere (XVII); squarci che forse esigono “rattoppi di verde”. Per converso altre parole suggeriscono l’idea della fuga, del viaggio anche mediante l’immagine ricorrente del treno. Fuga forse nel tempo più che nello spazio, se una continua alternanza di piani temporali sembra far balenare l’idea di un passato che non torna, a fronte di un presente deludente, simbolizzato dalla stagione più spesso evocata, l’autunno, e dal “fotogramma” o dal “rotocalco ingiallito”. E allora questa fuga, questo desiderio o impulso o istinto di fuga, per sfuggire a “thanatos”, si pacifica nell’atto del creare. Un altro mezzo di evasione è dunque la poesia. D’altronde tutta la sezione è giocata sull’importanza della poesia, e tale centralità si evidenzia nella funzione metaletteraria che tradiscono molte espressioni, stilemi o singole parole. Il termine “parola” ad es. ricorre tre volte, ma in genere l’occorrenza dei termini che rientrano nel medesimo campo semantico è altissima, talché si può parlare di parole-chiave. Di un discorso sulla poesia, in somma si tratta, sulla sua importanza per instaurare un dialogo, per resistere agli assalti del tempo, per poter sopravvivere, come leggiamo nella prefazione dell’Autore, sulla sua capacità di far fiorire giardini e fare sprigionar profumi dal “fiore assente da tutti i bouquets” e creare colori nella “esattezza della musicalità”. Tutto questo nel tentativo di afferrare il mistero dell’inconscio, e cercando la collaborazione del lettore. E al fine di “proporre emozioni che il lettore dovrebbe ri-creare a suo modo”, come leggiamo in quarta di copertina. Non è un dato trascurabile, in quest’ottica, il ricorso al più universale dei linguaggi: la musica. Ed ecco allora “il frammento che unisce/il gioco al clavicembalo” (X); mentre “a gomitate franano gli accordi” (XII); ed ecco che si cita la “Sonata a Kreuzer” (un riferimento a Tolstoj?), e la musica si sposa al verso mirabilmente, quando “alle finzioni” si inoculano “gavotte”. Una volontà di canto disteso domina la seconda parte della silloge, intitolata programmaticamente “Memorie”, dove si fa ricorso, con opportuna misura, all’armamentario retorico: allitterazioni in Felicità; anafora in Distanze; rime in Ritorni e Sospetto; rimalmezzo in Sorrisi; e con un’apertura al linguaggio specialistico. C’è un prima e un dopo, una cesura in molte liriche, sottolineata dall’uso dei tempi verbali e dalle marche temporali: “ora”, “allora”. Molte poesie sono attraversate da questa linea temporale: il prima di un tempo felice, simboleggiato, a livello di paratesto, dall’immagine della donna ridente che illumina la copertina, e il poi del ricordo e della presente miseria, non senza una nota lugubre, ossianica: “Ora potrei contare le tue ossa” (Talvolta). Ed è l’assenza la cifra delle ultime composizioni: la parole si attesta già in limine, nel testo incipitario della seconda parte, Foto. E ritorna nell’ultimo, Porpora quasi a incorniciare idealmente il mannello di liriche; dato estremamente significativo, almeno dal punto di vista dell’indagine semiologica.
FABIO DAINOTTI -

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