sabato 6 aprile 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = VELIO CARRATONI

Velio Carratoni, Paura della Bellezza , Fermenti Editrice 2019–

Mi sono sempre chiesto cosa spinga un uomo, ed in particolare uno scrittore a cimentarsi nell’arte dell’aforisma, sopratutto dopo la consapevolezza che i lettori abbiano potuto già leggere Wilde, Flaiano, Bokowski o Gibran; una risposta potrebbe essere che è la stessa forza che continua a farci innamorare nuovamente dopo una delusione amorosa.
E invece quale forza ci spinge a leggerli? E’ l’esigenza di cercare una distinzione, una caratterizzazione -si veda la definizione di aforisma- che condensi in una preposizione di breve e sentenziose parole una piccola verità.
Così come è possibile spiegare la musica con la matematica ci si può azzardare ad accostarle anche la letteratura. E da cosa si parte per dimostrare una qualsiasi tesi? Dagli assiomi, preposizioni o principi che si è assunti per veri, proprio perché ritenuti evidenti. E l’arte dell’adagio è proprio il svelare l’evidenza, che la penna sagace rende manifesto.
Pensate a come si esprime un uomo che noi riteniamo saggio: in poche e concise parole sentenzia un precetto che si ritiene incontrovertibile.
Partiamo dal titolo dell’opera : “Paura della bellezza”, un ossimorico apoftegma esso stesso che ci può ricondurre ad un piano parallelo: “Sto così bene da star male”, e che l’autore dirime analiticamente in sette sezioni: 1.Cultura, 2.Politica, 3. Psicologia, 4. Costume, 5.Attualità, 6.Collettività, 7.Prassi.
Nella sezione Cultura, proprio il primo detto recita “Per essere letti non basta essere calligrafi”. Elementare vero? Ma qualcuno di voi ci aveva già pensato prima di Carratoni? Questa è la sagacia della penna a cui prima mi riferivo. Si tratta di una paradossale ambiguità talmente elementare da sconcertarci; si prosegue nella stessa pagina seguendo lo stesso filo assurdo con un “Cimitero dei libri: luogo vivo della letteratura” che ci suggerisce un’immagine di libri dormienti sugli scaffali o al macero in discarica immortali, correlato poco dopo dal “In molte famiglie c’è l’esigenza di liberarsi dei libri” che ci rivela senza addentrarsi in sottili analisi di come ormai la lettura non sia la priorità di molti.
In “Solženicyn avrebbe parlato, pensato meglio da uomo libero?” si ravvisa una polemica, politicamente scorretta (plauso al coraggio), che ci fa riflettere su come a volte si rivolge maggiore importanza a chi dice qualcosa piuttosto che a cosa dice.
Nel leggere “Anche un gesto può essere espressione poetica” è per mio conto un esplicito rimando a “Lo stile è una risposa a tutto” di bukowskiana memoria.
Siamo sempre nella sezione cultura quando si legge “Lo sconfitto se la prende sempre con qualcuno. Tranne che con se stesso”. Voi a chi avete pensato? Ad un amico, conoscente o parente. Sicuramente non a voi stessi…
Nella stessa sezione a conclusione evidenzio “L’abito non fa il monaco. Come il libro non fa l’autore”, scoccata a che vuol leggere sempre tra le righe di un’opera elementi autobiografici, dimenticando ciò che differenzia l’attività letteraria dalla vita…
A proposito di leggere tra le righe, nella seconda sezione -Politica-, cosa vi suggerisce “L’assenza della politica scatena esibizioni di squadracce nostalgiche”? Forse tempi moderni che ci inquietano nella ciclica riproposizione; non credo di essermi sbagliato di molto, visto che dopo poche righe si legge “A Predappio non si fa che praticare una certa apologia. Nessuno se ne è accorto?”.
Cambiamo aria prima che qualcuno ci additi come “buonista del cazzo” e passiamo alla sezione Psicologia, la terza, dove si va sul personale: “L’amore è sempre una conquista?”. Che si tratti di conquista o inconsapevole sconfitta, lasciatemelo dire è sempre una fatica…
E difatti leggere aforismi è una continua elaborazione di pensiero; non si tratta di lunghi periodi in cui si possono omettere parole: occorre sempre stare vigili; non si tratta di bere un boccale di birra ma di sorseggiare un prezioso liquore che non bisogna ingollare in un solo colpo, altrimenti se ne perderebbe il gusto. Quindi nel leggere “L’ignoto è la sorte degli incerti” ho elaborato una certa inquietudine…
Nella quarta sezione -Costume- colpisce subito “Il più detestato è sempre il migliore”. Insomma se odiate qualcuno iniziate a preoccuparvi oltre che a dolervi.
Di impronta fisica invece è “Il tempo è ciò che avviene dopo”; sembra un enunciato di fisica teorica che ci fa riflettere della troppa importanza che l’uomo arrogantemente conferisce al futuro, trascurando il presente e dimenticando il passato.
Più avanti si legge “Strano Paese il nostro. Per ogni circostanza si attende il deus ex machina. Che funziona nel regno dei poteri forti”. Io ci rivedo qualche collegamento alle nostalgiche esibizioni della sezione Politica, con riferimenti più o meno espliciti a personaggi del passato e del presente più o meno recente.
E veniamo alla quinta sezione -Attualità- in cui all’epigrafe si trovano parole di Gramsci. Paradossale. Ci fa comprendere come l’immarcescibile sensibilità dell’intelligenza sia sempre moderna e contingente, dove rimarco “Chi inventa storie. Modifica il mondo. Come i falsari?” un’anfibologia che si è liberi di tradurre. Io dico che non lo modifica, ma che lo interpreta.
Nella sesta sezione -Collettività- leggo che ”Avere ragione non significa essere nel giusto”. Sorridete nevvero? A ragione? Oltre all’ennesimo paradosso si leggono amare massime dedicate alla sporcizia che attanaglia Roma capitale ed all’alveo di morte, il Tevere, che l’attraversa.
Altro tipo di doloroso rammarico nella seguente sezione Prassi, con “Castigo più gravoso. Ricordare tanti attimi salienti della vita trascorsa”.
Invece ha sapore socratico “Il vero sapiente è chi non sa. Inconsapevolmente”.
Per ultimo menziono “La bellezza si estingue. Il fascino resta. A far rivivere la genialità delle ombre.”, che forse più di tutti i motti suggestivamente rimanda al titolo della raccolta.
Infine un appunto sullo stile dell’autore. Se pur per natura gli aforismi siano di breve sviluppo, l’autore predilige notevolmente, in buona parte delle composizioni, l’uso del punto a discapito della virgola, forse a suggerire uno stile di lettura lento e cadenzato.
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GIANLUCA DI STEFANO

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