domenica 9 febbraio 2014

PRESENTAZIONE VOLUMI = FABIANA FRASCA'

FABIANA FRASCA' : “Aporia delle scorie” – Giulio Perrone editore – 2014 – pagg. 100 - € 12,00
"Prefazione" –
Dietro la levigata superficie dei versi traspare la vigile coscienza del poeta che cerca la realtà anche dietro lo specchio, per miniaturizzare quei chip che la tecnica contemporanea ha saputo inserire nel proporre la quotidianità insita nel bosco della realizzazione. Anche se nessun versante sembra offrire una soluzione convincente e duratura della crisi della poesia italiana, inceppata da anni in sterili opposizioni fuorvianti, nella illusione che una nuova maniera di poetare potesse ridar credito e vita alla creatività , ecco che ritroviamo con stupore e legittima soddisfazione una costruzione musicale che sfiora con arguzia e rimandi il tessuto della scrittura , per rompere con insistenza l’isolamento della lirica.
Da buona viandante Fabiana viaggia di gran carriera il viaggio della vita, sul ritmo di versi , di rime alternate, di ritmi leggeri, regolarmente battuti e di duplicazioni valevoli da itti e da impulsi. Il senso della ripetizione dona una visione che non riesce a rasserenare, anche se cerca ogni esorcismo per allontanare l’angoscia ed il pericolo di Thanatos. Frammenti , brevi aforismi , concisi e scarni, segnali mutevoli e precisi, si propongono nella ricerca esasperata della fine delle cose, sempre entro la dimensione della vita, quando la vita si renda lodevole di essere vissuta, in piano , con la matura coscienza che ne valga la pena, per un’apertura razionale e relazionale , che mai dovrebbe venir meno.
Urlare per non piangere, urlare per sospendere l’angoscia, cercando di abbandonare ogni scetticismo per ironizzare quando è possibile , nel testo e nel reale, cerando con semplicità la distanza dell’ironico nel colloquio intimo e privato.
Lei scrive :
“Anche le parole si ammalano e muoiono e a me piace curarle come un medico, confessarle come un prete, resuscitarle come un dio. E il processo è biunivoco perché a loro consento di fare lo stesso con me.”
La pagina è arrendevole per una sua salvifica intenzione per la quale ogni porta si socchiude, e provare ad entrare è cosa facile perché la carica emotiva della narrazione ha una forza sua ineliminabile.
*
“Mai il tempo di capire.
Fermare le cose prima
Di percepire. Questo vorrei.
Sentire senza sapere.
Un solo accennato.
Un lasciato a metà.
Lì dove timida e sola
si snuda la verità.”
*
Lo sforzo di sottrarsi in tutti i modi alla nudità del dolore nasce dal bisogno di ritrovare un contesto ed una cultura ed una identità dalla quale riprendere la vita per innesti nuovi e talee rinnovate, proprio per il ritrovamento di un futuro lontano dalla finitudine e nello specchio della consapevolezza che la verità si nasconde, timida e sola.
Così tenta la poesia come inaudita architettura di parole, percorso alternativo, con le sorprese, gli imprevisti, le fermate obbligatorie.
Per diversificare si avventura in una terra incognita, prova le varianti, i transiti interrotti e provvisori, tenta probabili vie di fuga e ci offre occasioni di oltrepassare la
morte, eludere le frecce direzionali del beffardo corso della vita. Ripercorre a ritroso il viaggio per redimere il passato, l’effusione della memoria nei luoghi del tempo, per riflettere e scoprire infine, sospeso, un istinto di sopravvivenza legato al sogno che la stessa vita in qualunque momento potrebbe lasciare.

La secchezza con cui viene proposta la dignità di un poeta appare come una formula magica che lo stritola , lo dissolve, perché a volte la sua ironia ha la forma del commento difficilmente decodificabile per la sua ottima struttura simbolica. E qui sovviene Joyce nel flusso di una coscienza per la quale il materiale emotivo ed intimo, monologante nei tempi e nei luoghi, ha richiami e fusioni che si contrappongono tra realtà e sogno, tra desiderio ed illusione.
*
“Non seppi mai trovare
al tuo pronome lo spazio
per poterlo declinare
e dargli smalto nel lume
di candela tra sbadigli
che omisero le ore
da tutte le oneste
ripartenze.
La gente non sa stare
bene insieme. Per questo
la morte è tanto triste.”
*
Lo spazio è tutto intorno all’io che sussurra, intorno ad una clausura che diventa rarefazione per un accumulo pudico e sobrio di parole ed immagini, lenta sedimentazione del vissuto, intenzionalmente povera, un connotato di cronaca che attinge dalla storia , dal quotidiano , dalle esperienze, stipate in uno spazio ben preciso e delimitato, fisico , molto spesso nella cornice della familiarità. E’ questo lo spazio poetico che rivela il profilo della estraniazione per attraversare le carenze affettive. Tra preistoria e post-storia, di un nuovo che si confonde con l’antico, di un patetico che si mescola con l’apatico. Non ammettiamo la confusione, ma come elementi fusi interamente legati alla psiche.
“Se non fossi che pietra, un granito
stabile e fisso io saprei quelle braccia.
Ma non ha carne la pietra, né fiori.
Non conosce la terra, gli odori.
Sa imitare soltanto nel tatto,
simulare in quel freddo contatto
parvenze di mani di bocche di denti.
Inventarsi in un simulacro
un’anima dura. Necrotica e pura.” (Statua)

In queste poesie si sente tutto lo sforzo di affrontare la materia con atteggiamento non tanto distaccato quanto trattenuto , ma la memoria del dolore appare prepotente, attraverso piccoli movimenti, o gesti , o tempi brevi, che possano modificare il gelido marmo in morbide carezze fuori dall’angoscia.
Nella vita per qualsiasi evento lo sguardo si modifica immediatamente per reagire, e la conoscenza diventa un misto di ossessione e di ineluttabilità, quasi allegoria di un discorso sul mito, in una serie di canali semantici, o una rete di senso, che stringe a formare il tessuto delle assenze o delle perdite, per entrare nella struttura del pensiero stesso che punge per dialogare e che soffre per ascoltare-

I chiaroscuri sono presenti come pennellate caleidoscopiche , nel rispecchiare il mondo intimo e segreto dell’autrice, per immagini decisamente innestate tra realtà e sublimazione , tra sentimenti e rappresentazioni, quasi a voler comprendere l’irrazionalità che irrompe nella gigantesca fatica di una esistenza razionale, nella continua affannosa ricerca del riemergere.
ANTONIO SPAGNUOLO -

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