POESIA = RITA PACILIO
*
--Il dramma di Elettra--
"L’odio"
Quanto eri bella piegata nella luna
implacabile nello sguardo effimero
irreprensibile, immacolata, ammirata
puntellata nel muscolo celeste chiaro
scendevi dalle scale di marmo
nelle vesti bianche addestrate al passo
tuo, fiero e strisciato di traverso,
gagliardo nell’altezza, robusta nella
voce aperta sventolando venivo
a te, certa, con le braccia voraci
e io dalla piccola fessura dell’alba
ti ricordo nelle ore giovani in me
così, con labbra e occhi primavera
con ginocchia e fronte musicali
femminile esito religioso. Eri
contatto materno da eguagliare
ammirazione stravagante di spine
ribollìo neonato dove annego intera
come luce vespertina nel mare.
Adesso che hai ucciso l’amore
grande che mi ha generato a cui
non sopravvive l’urlo di questo
giorno si inginocchia la parola vita
e la pietra portata dal vento.
Come hai potuto guardare il mondo
senza i miei occhi e la mia pena?
Ti maledico madre nel petto
dall’alto in basso della sposa che sarò
con la bufera che gira nel cuore
apparentemente adolescente e mite
figlia assediata tornerò dalle stelle
punirò il tuo ventre pieno d’azzurro
ne farò balena dal colore sinistro
e ne dipingerò di rosso l’occhio.
Taci, madre stasera, i tuoi figli
Singhiozzano, lamentano sotto le ali
sulla tua mano ho adagiato la mia
ho impigliato le perle degli abissi
nel pugno rimetto le inimicizie. Sì,
taci madre, dormi, spiega agli dei
come è tremenda la rinuncia, vai
scalza dietro a ogni sera sottile
in cerca di ombre perfette per la notte
dormi sui lunghi capelli e cantami
due poesie lievemente terribili
baciami per un attimo gli anni
adirati, induriti sotto i capezzoli
ancora caldi e chiusa all’affanno, muori.
"Il tormento"
Scende la sera sul sangue madre
e ha inizio la mia agonia di figlia
non torna più la voce da odiare
la collera, l’aura da meditare, il piano
la vendetta. Il cuore vuole trovare
pace, placarsi e ricomporsi nel velo
nuziale. Un riscatto ammucchiato
tra forcine e riccioli sparsi, sfioro
scorie e silenzi sulla pelle sono qui
a ricomporre risate dietro le sbarre
giorni a finire dopo le coltellate
rovesciata la faccia di lei al cielo.
Io figlia assassina serrata nel cuore
io che difendo mio padre morto
io che adesso mi voglio sposa
io che piango fino al sale labbra
l’uomo che resta muto in questo
giorno violento, turbolento. Piango,
raggiungo lei fuori dal suo fuoco
fino alla morte. Sono ancora sua
figlia e annotta, le vene diventano
bianche, il pianto nella terra trema
una montagna fatta di figlie
come me ad aspettare tra il vento
le mille pietre tra le mani
tutte aperte, spaccate
come se avessi il sole sotto i piedi
a diventare ghiaccio, ecco, così,
come se tutto fosse senza il nome
proprio. La linea della mano
si increspa nella venatura del polso
e d’improvviso diventa banale.
Staccata, violentemente diseguale
al resto della pertica, senza origine
senza lo spuntare dell’uva fragola
entro nuda nel resto del tempo
e nella casa dell’amore parallelo
dove ho steso l’odioso tulle, il senso
dell’incomprensibile rimanenza
di luce, sono prosecuzione e donna.
Ho scritto sotto la volta delle nuvole
il tormento e la paura. Si prepara
la tenebra, questa oscurità di morte
la figlia dell’abisso infinito sotto
la cenere sanguina, atti e pensieri
trattengo pentimenti innominabili
rinvio, secche interrogazioni. Con la mano
cieca tolgo me per scivolarti via.
*
RITA PACILIO
*
Rita Pacilio (Benevento, 1963) è poeta e scrittrice. Sociologa di formazione e mediatrice familiare di professione, da oltre un ventennio si occupa di poesia, musica, letteratura per l’infanzia, saggistica e critica letteraria. Direttrice del marchio Editoriale RPlibri è presidente dell’Associazione Arte e Saperi. Ha ideato e coordina il Festival della Poesia nella Cortesia di San Giorgio del Sannio. È stata tradotta in nove lingue. Sue recenti pubblicazioni: Gli imperfetti sono gente bizzarra, Quel grido raggrumato, Il suono per obbedienza, Prima di andare, La principessa con i baffi, L’amore casomai, La venatura della viola.
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