venerdì 20 maggio 2022

SEGNALAZIONE VOLUMI = GUGLIELMO APRILE


*Guglielmo Aprile: "La scoperta del fuoco" - Ed.Leonida 2022 - pag. 72 - € 14,00
*Tentare la via del canzoniere amoroso ai nostri giorni appare impresa poetica avventurosa e non priva di rischi, perlomeno in Italia, dove tale filone tematico è stato battuto nel secolo scorso soltanto in maniera obliqua e trasversale, anche per ossequiosa deferenza a una tradizione aulica di lontana e illustre ascendenza, che avrebbe avuto un peso troppo condizionante sui suoi moderni continuatori. Un testo come La scoperta del fuoco si presenta perciò come un aperto azzardo, in parte moderato dal fatto di attingere i suoi riferimenti letterari non tanto dal canovaccio nazionale, quanto in alcuni autori stranieri, primi fra tutti Neruda, Salinas, Jimenez, Aragon, Ritsos (sebbene la celebrazione dell’amata si svolga qui su un piano più onirico e fiabesco che carnale), che in piena crisi novecentesca dei linguaggi e dei valori elessero l’archetipo femminile a paradigma di una nuova sacralità, radicata in una mistica dei sensi che ebbe in Baudelaire il suo antesignano.
La torrenziale ricchezza della vena immaginativa sembra essere la cifra marcante di questa poesia. Il linguaggio ha una qualità peculiarmente pittorica e affida la sua forza suggestiva a una sequenza incalzante di quadri visivi accesi e smaglianti, come anche all’affabulazione suscitata da melodie e profumi, sinestetico sortilegio che consente di leggere in filigrana all’inesausto fantasticare amoroso una sorta di invitation au voyage che si snoda sui sentieri del desiderio o della nostalgia.
Un paesaggismo interiore dai lineamenti scolpiti e vibranti oppure soffusi e sfumati, esaltati dalla plastica aderenza di una versificazione ariosa eppure controllata, che sfrutta la nominazione di luoghi e tempi lontani mai fine a se stessa e a un vuoto esotismo, ma allo scopo di tradurre la lettura in assidua e appassionata esplorazione dei territori dell’eros. La camera da letto racchiude arcipelaghi, giardini, antri in cui i due esuli smarriscono memoria di se stessi e del mondo; i fianchi della donna diventano spiagge lungo cui andare in cerca di perle; le sue ciglia evocano palmeti tra i quali si intravede un volo di colibrì, e il canto dell’uccello richiama di nuovo la voce della donna, chiudendo così il cerchio delle corrispondenze tra l’elemento umano e quello naturale: ogni immagine ne contiene un’altra, in un gioco a cui l’autore si abbandona per puro edonismo verbale, cullando il proprio gusto visionario in scenografie lussureggianti e preziose.
Centrale, fin dal titolo, è il ruolo metaforico del fuoco, strumento retorico che consente la sublimazione della passione, il suo trascendere la dimensione della semplice relazione umana per innalzarsi a delirio ed entusiasmo dionisiaco, brivido che fa divampare le stelle e primordiale energia che governa tanto il cercarsi delle bocche quanto la danza di albe e stagioni. Con una abnegazione esclusiva e solitaria, che fa venire in mente certi passi dei “Frammenti di un discorso amoroso” di Roland Barthes, l’autore si immerge in una meditazione totalizzante intorno al proprio idolo erotico, mettendo da parte ogni altra tematica e declassando implicitamente a superflua ogni compromissione con preoccupazioni di altra natura. Se la salvezza amorosa consiste in fuga ed evasione obliante dalle ristrettezze di una quotidianità opaca e insensata, ne consegue una concezione del mondo reale che, pur non formalizzata in modo diretto, recupera un repertorio simbolico di impostazione gnostica, e perciò coerente con l’amaro esistenzialismo praticato nella precedente produzione dell’autore, come Farsi amica la notte o Falò di carnevale; anche in quest’ultima prova, al di là delle concessioni al lirismo dello stile, si rinviene una cognizione chiara e lancinante del male e dell’angoscia, nerbo e sostanza dei giorni che si succedono come sbarre di una cella, ma l’orrore del vivere è esorcizzato, o comunque ammansito o precariamente anestetizzato, dalle virtù taumaturgiche di colei che “ammansisce i temporali” e “dirada col suo sorriso le nebbie”. L’anima ha comunque una “foresta dai cupi tentacoli” da attraversare, ma la narcosi amorosa lenisce la piaga e distrae dall’incubo dei “lunghi corridoi armati di ombre”, mutando per incanto in conchiglie e festa di uccelli la “corona di spine sulla fronte del mondo”, o seppellendo la “livida falce sotto i clarini dell’erba”. Nello sguardo che gli è caro, il prigioniero scorge lo spiraglio attraverso il quale respira la luce che lo tiene in vita; e l’amata, simile forse alla Shekhinah della mistica ebraica, fa fiorire i suoli aridi e rende possibili tutti i prodigi, vestendo di colori e “altalene e vasche di pesci rossi” i luoghi più squallidi, redimendo la pena del vivere in lago calmo che specchia un paradiso di alberi e nuvole: destinataria di una “assurda idolatria” da parte del suo zelante adoratore, che riconosce nella sua bocca “l’ultimo luogo sacro” e vede in lei “foce e croce” di ogni proprio respiro, la sua apparizione ha la forza di una epifania; tedofora di gioia, leggerezza, innocenza, “evangelista della pioggia estiva” e ambasciatrice di sconosciute regioni astrali, venuta al mondo “per insegnargli a cantare” e per avverare la promessa canora che dai rami al primo mattino si leva, ella inchina al suo più semplice gesto il moto degli astri e delle maree, il corso dei venti e degli stormi migratori, ma è vano chiedersi da quale “miniera di giada” provenga o in quale bosco faccia il nido la sua risata.
Indicando in un eros liricamente sublimato una possibile via d’uscita dal negativo, La scoperta del fuoco costituisce un tentativo, forse ingenuo ma sicuramente coraggioso, di tirarsi fuori, attraverso una rinnovata fede nel linguaggio e nella sua esuberante creatività figurativa, dalle paludi del nichilismo largamente setacciate dall’autore nelle sue prove più recenti, e un possibile punto di svolta nella maturazione del suo itinerario poetico.
*
Bernardo Rossi
*
"Da dove viene il fuoco"
Mi immergo nella tua bocca ed è come
se entrassi in una grotta:
dalle sue ombre estraggo
la scintilla che è madre di ogni incendio,
e apprendo bacio su bacio la formula
che innesca la combustione dei fulmini
e fa le stelle bruciare e i vulcani,
e palpita negli uragani e in danza
li conduce ebbri, e dà
al corallo e alla rosa il loro fuoco,
e tempra la pupilla del rubino.
La pietra d’oro dell’estate canta,
il rosso verbo che parla nell’alba
sussurra il mio nome sulle tue labbra.

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