SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE
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Francesca Lo Bue, Il pellegrino dell'alba=
La poesia di Francesca Lo Bue si configura come un viaggio iniziatico nella sacralità del linguaggio, una meditazione lirica che, scavando nella profondità delle lettere, approda a una concezione quasi mistica della scrittura. Nei suoi versi, l’alfabeto non è semplice strumento, ma origine del cosmo poetico, chiave di lettura dell’esistenza e fondamento dell’ordine contro il caos primigenio.
Già in Albero di alfabeti (2020), come nei precedenti Itinerari (2017) e I canti del pilota (2019), Lo Bue si impone per una voce poetica raffinata, nutrita da una formazione dottorale in filologia romanza e da una piena padronanza della lingua italiana e spagnola, che le consente di scrivere e tradursi con pari ricchezza e precisione. Questa duplice lingua, che affianca in ogni silloge testi italiani con la versione spagnola, non è solo cifra stilistica, ma testimonianza di una profonda riflessione sulla natura stessa del linguaggio. L’opera è, al tempo stesso, metapoetica e metalinguistica: Lo Bue interroga la scrittura, la decostruisce, ne segue le tracce ancestrali fino alla singola lettera, innalzata a simbolo di una sacralità originaria.
Nel recente Il pellegrino dell’alba questa poetica si amplia e si sublima. L’opera, che riprende e porta a compimento le riflessioni dei volumi precedenti, ha un titolo che già di per sé suggerisce una tensione spirituale e simbolica: il poeta è un pellegrino all’alba, figura in cammino verso la luce, verso il sacro, verso l’ordine che il linguaggio può conferire al disordine del mondo. La parola poetica, in questa visione, assume tre funzioni centrali: custodisce la memoria degli antenati, interpreta il tempo presente e si proietta verso la posterità, creando un ponte tra passato, presente e futuro. Questo triplice tempo si rifrange nella dimensione trinitaria della poesia di Lo Bue, dove la scrittura appare come epifania, come verbo che dà forma alla realtà.
Nell’universo lirico dell’autrice, lo scrittore diviene figura profetica, quasi sacerdotale: egli "salva", "illumina", e, come un moderno demiurgo, restituisce significato e struttura a un mondo altrimenti caotico. Le immagini ricorrenti di tenebra, prigione, palude si oppongono a quelle della luce, dell’acqua, dell’arcobaleno: metafore potenti, bibliche, che testimoniano la funzione redentrice della letteratura. La scrittura, dunque, non è solo mezzo comunicativo, ma atto sacro, rito fondativo, custode di un’armonia perduta e ritrovata.
Notevole è anche l’impostazione impersonale della sua voce lirica: Lo Bue parla spesso in forma distaccata, senza coinvolgere direttamente sé stessa nei versi, ma mantenendo una tensione profonda tra l’oggettività della riflessione e la carica emotiva dei testi. Questa scelta stilistica, lontana dal naturalismo e dalla poetica del quotidiano, permette al lettore di immergersi in una dimensione astratta, universale, atemporale, dove la parola non è confessione, ma rivelazione.
Dal punto di vista formale, la poesia di Lo Bue si distingue per un lessico aulico, ricercato, evocativo. Le sue scelte linguistiche – aggettivazione intensa, termini rari e suggestivi – costruiscono un tessuto verbale di forte densità immaginifica. Le composizioni si presentano come piccole architetture del senso, dense di rimandi simbolici e intertestuali, in cui si intrecciano il pensiero filosofico, la tradizione mitologica, suggestioni esoteriche e spirituali.
Nel complesso, la produzione poetica di Francesca Lo Bue rappresenta un unicum nel panorama contemporaneo: è voce colta, meditativa, immersa in un tempo lungo e profondo, che fa della poesia non solo espressione estetica ma autentico strumento di conoscenza e liberazione. Leggere i suoi versi significa accettare l’invito al viaggio, al pellegrinaggio interiore, verso un’alba che è sempre da venire, sempre da costruire, lettera dopo lettera.
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Prof.ssa Tamara Colacicco
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