domenica 10 gennaio 2016

SEGNALAZIONE VOLUMI = FABRIZIO BAJEC

Fabrizio Bajec – “La cura” – Fermenti Editrice – Roma – 2015 – pagg. 79 - € 12,00

Fabrizio Bajec (1975) italo – francese, vive a Parigi. Poeta, drammaturgo, traduttore di autori anglofoni e francofoni (tra cui William Cliff, del quale ha curato “Poesie scelte”, Fermenti Editrice/ Fondazione Marino Piazzolla, 2015 e Adam Rapp). Ha pubblicato numerose raccolte di poesia e per il teatro ha scritto varie sceneggiature fra cui Rage (2009).
La cura è un libro di versi bene strutturato architettonicamente, scandito nelle seguenti sezioni numerate: “I. E adesso?, II. La cura, III. Per oscura obbedienza, IV. L’avventura (2002 – 2006) e V. Coda (2014)”. Presenta una postfazione accurata di Paolo Febbraro.
La cifra essenziale della poetica di Bajec è quella di uno stile visionario e spesso affabulante, sempre diretto, del tutto antilirico e antielegiaco. Tema di fondo si rivela quando il poeta parla di componenti dell’organismo umano, che si potrebbero ammalare, o del cadavere della madre in “Ospedale, madre morta”, primo toccante componimento della parte del volume eponima.
Nella suddetta composizione si nota un’insolita esplicità. L’io – poetante si rivolge ad un tu, suo padre, del quale si sente compagno nel dolore. Il figlio riflette sull’argomento della sorte dei morti attraverso una serie di immagini intriganti e inquietanti. Anche una vena di vago misticismo, legato all’ebraismo e al cristianesimo, si rivela a tratti nel discorso dell’autore per esempio in Yom Kippur, nella sezione “Coda” (2014). In questo componimento è descritta una scena, presumibilmente ambientata in Israele, nella quale un rabbino intona i versi del perdono e ha alle spalle gli indifferenti.
Nell’incipit è detto che non c’è Gesù che scacciava i mercanti e gli usurai, prevalendo un senso di sincretismo religioso del tutto immanente. Il poeta afferma che c’è una famiglia a ripararlo con una tenda e sul marciapiede il Tempio riversa i suoi naufraghi. L’ultimo verso, che dovrebbe esprimere le parole del rabbino stesso, è emblematico sull’importanza dell’avere figli nella concezione veterotestamentaria:-“Che i figli rimpiazzino i genitori”.
Le poesie sono spesso composite e molto articolate e caratterizzate da un andamento anarchico e sfiorano, a volte, l’alogico. Altre volte, invece, sono più immediate ma senza mai essere elementari, per la complessità delle situazioni trattate attraverso immagini alte.
Il tessuto linguistico è connotato da accensioni e spegnimenti e da una sensibile magia che si coniuga a sospensione. Espressione di scrittura intellettualistica, quella di Fabrizio, caratterizzata da un’avvertita e forte icasticità della parola, dei sintagmi detti con una notevole urgenza.
Un elemento centrale, in questa raccolta, è quello di una forma sempre sorvegliatissima ed elegante e non manca mai una consapevole dose di ironia. I versi sono leggeri, veloci e ogni strofa è costituita da brevi frasi, che spesso producono visioni apparentemente irrelate tra loro, che hanno effetti stranianti. Anche la tematica del male sublimato è presente soprattutto in alcuni testi nei quali sono detti il killer e l’assassino, con un tratto di maledettismo.
La cura è un libro che, di poesia in poesia, tocca motivi sempre eterogenei. Non manca il tema erotico amoroso e in qualche caso l’io-poetante si rivolge in modo confidenziale a varie ragazze.
Per esempio in 15 anni, tratta dalla sezione “L’avventura” (2002 – 2006), l’interlocutrice di Bajec, che non risponde, è una quindicenne incontrata nella metro. Ella diviene oggetto dello sguardo del poeta che desidererebbe penetrare nel suo mondo, nella sua intimità, nella sua costellazione personale di adolescente.
La donna come enigma, quella nominata qui da Fabrizio. Partendo da particolari fisici, come le unghie verniciate, i seni piccoli e il culo sformato dai jeans, vorrebbe sapere la sua storia personale: la scuola frequentata, cosa fa sulla terra e se è una straniera.
Anche in “Canal Saint Martin”, che si trova nella stessa scansione, la protagonista è una ragazza, questa volta già conosciuta dall’io-poetante. Il poeta l’interpella usando una forte connivenza, indicandole un tipo di ragazzo fascinoso, con un gatto nero sulla spalla.
Secondo lui il giovane potrebbe renderla felice e sono descritte situazioni concrete e idilliache, intime, di una loro potenziale storia amorosa. Una sensuale dolcezza si evince dal suddetto componimento nel relazionarsi dell’io – poetante con la giovane.
Una costante nelle varie composizioni è quella che fa emergere un forte stupore sofferto del poeta dinanzi al mondo e alle cose. Questo è spesso amaro e compiaciuto, fornendo sensazioni empatiche che Bajec sa trasmettere al lettore che affondi nelle sue pagine.
Nell’approccio al reale, che traduce in versi, il poeta sa farci comprendere il suo senso della vita profondo e disincantato, pessimista, per giungere consapevolmente alla salvezza dopo essersi specchiato sul fondo. Il sentimento del dolore, di fronte a moltissime situazioni dell’esistere è mirabilmente controllato, rivelandosi attraverso poesie in cui Fabrizio non si geme mai addosso.
Invece, con strumenti sottesi ad una forte coscienza letteraria, con scaltrezza, scava con la penna per giungere a raffigurazioni traslate dell’universo, che, nella sua visione, vorrebbe trasformare da caos in cosmo. Allora "La cura" diviene un potente antidoto all’angustia del vivere e al mal d’aurora, una terapia fatta di poesia dalla forte valenza etica per l’autore e i lettori, nonostante la grande carica trasgressiva che spesso sottende.
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Raffaele Piazza

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