martedì 17 dicembre 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = LUCA BUONAGUIDI

LUCA BUONAGUIDI: “I giorni del vino e delle rose” - Fermenti, 2013, pagg. 65, € 12,00---
"I giorni del vino e delle rose" è una raccolta di poesie che non presenta scansioni e che, anche per questo, ha una valenza poematica. Quella di Buonaguidi è una poetica che ha, come cifra dominante la chiarezza, raggiunta attraverso uno stile fortemente narrativo. Il primo componimento, intitolato L’amore del mio respiro presenta anche un tema etico; in esso c’è un voi al quale il poeta si rivolge. Le poesie sono in gran parte verticali, fluide, scattanti e leggere e, in esse, non manca, spesso, un tono intimista; si avverte il tentativo della ricerca di un senso profondo della vita, da parte dell’io-poetante; in I giorni del vino e delle rose incontriamo una forte densità metaforica, sinestesica e semantica a partire dall’incipit di L’amore del mio respiro:-“Non riesco a scivolare/ lungo il percorso/ che mi avete preparato,/ non conosco il significato/ di questa mia estasi d’amore/ e non chiedetemi/ di abbassare lo sguardo/ e camminare diritto sotto il sole…/”; del voi al quale il poeta si rivolge, ogni riferimento resta taciuto, sappiamo solo che il voi ha preparato un percorso per l’io-poetante e tutto resta pervaso da una vaga bellezza; in queste poesie l’autore afferma che tra queste entità, alle quali il poeta si rivolge, serpeggia l’odio e che tanti altri volevano solo amarle e tanti altri solo salvarle: tutto resta imbevuto di mistero. In questo testo l’io poetante è molto autocentrato e viene espressa una poetica che si realizza per mezzo di una riflessione introspettiva. In Assenza si riscontra la tematica della poesia nella poesia:- “Assenza,/ cosparsa di silenzio/ che si veste in verso/ fragile come pallido sole d’orizzonte/ dopo la prima pioggia autunnale/-“; qui pare che venga affrontata poeticamente la tematica della dialettica tra detto e non detto. In "Sono povero, luna" riscontriamo un forte tono lirico, nella tensione dell’io-poetante di interanimarsi con la luna alla quale si rivolge chiamandola amica suprema musa, in un modo che ricorda Leopardi.; nella raccolta riscontriamo una poetica essenzialmente antilirica, che presenta una vena fortemente intellettualistica. A volte il discorso, nelle poesie, è sotteso a un tu, al quale il poeta si rivolge con toni accorati e leggermente sensuali che ricordano vagamente Neruda:-“L’incanto celato/ nei tuoi occhi/ un sorso corto/ di acqua fresca/ dopo una lunga sete/ d’amore e compassione/-“; sono molto belle queste immagini, tratte dal componimento L’autostrada greca; la donna amata è qui calata in un contesto naturalistico e particolarmente riuscita è la similitudine tra gli occhi della donna e l’acqua fresca, che dà al contesto amoroso un tono soave e intrigante. Tutto, in I giorni del vino e delle rose, sembra essere sotteso a una ricerca della propria dimensione nell’hic et nunc della vita come in La mia casa non esiste, nella quale il poeta afferma che la sua casa è altrove ed è una terra di nessuno, un viaggio lontano; in questa poesia si parla anche della selva oscura dantesca, dalla quale, presumibilmente, uscire tramite il medium della poesia stessa; vengono dette anche le filosofie orientali che, per tanti sono, nel nostro postmoderno occidentale, un mezzo per uscire dal mare magnum della quotidianità liquida e caotica. Un testo originale, quello di Buonaguidi, che si sviluppa nella tensione salvifica di uscire da se stessi e rapportarsi positivamente con l’alterità, che sia un tu, un voi, la stessa società o la natura; viene affrontata la tematica del viaggio, che è la vita stessa, con i suoi dolori e le sue gioie. I versi sono leggeri e icastici, ben controllati e, in essi, la forte componente di dolore è dominata; in una condizione esistenziale difficile il poeta trova, tramite l’urgenza del dire le cose, un varco, una salvezza, senza mai gemersi addosso: la vita ha tante contraddizioni: ci sono il male, l’incomprensione, la solitudine e l’afasia e solo la poesia dei giorni del vino e delle cose, può costituire un valido antidoto al lacerante dolore esistenziale, che è il triste scenario in cui viviamo, una terra desolata, per dirla con T. S. Eliot, nella quale, comunque esiste la consolazione piacevole delle stesse rose e dello stesso vino, che divengono simboli per redenzioni e una possibile felicità. C’è anche il senso di un forte rimpianto, come nella poesia eponima, nella quale viene detto un cuore inerte e tremante, come furono le mani attorno al corpo dell’amata nei giorni belli, quelli, appunto, del vino e delle rose; furono giorni perduti, giorni armai appassiti, che non torneranno mai più; nonostante la giovane età (è nato nel 1987), in questa raccolta Buonaguidi dimostra una certa maturità espressiva e ci aspettiamo da lui le opere successive, dopo questa raccolta, che segna il suo esordio letterario. Nella prefazione Girolamo De Simone, afferma di essere stato colpito subito, in quelle stringhe profonde, dal gioco delle ricorrenze: silenzio/solitudine, viaggio/ricerca, amore infinito/dolcezza. Tra queste forme/motivo deleuziane, una sicuramente ci accomuna: l’ostinata propensione a mantenere viva la memoria. E’ gioco facile richiamare la memoria, ma non sempre risulta così semplice farlo quando essa è davvero inconciliata, quando precocemente si è provato a cancellarla, rimuovendo esistenze incomparabili. Una ricerca per giungere ad una consapevolezza e a una catarsi, quella del giovane poeta, nella quale non manca, nonostante tutto, una speranza, una possibilità di uscire dalle spire di un dolore connaturato all’esistere e all’esserci nel mondo.
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RAFFAELE PIAZZA ---
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Carpirò la poesia

Carpirò la poesia
per spargerla in strada
come gelsomini
raccolti in mani
di fanciullo.
Inviterò il cielo
ad affrescare le parole
e poiché del cuore
è esaurita la miniera
chiederò lacrime
al monte dei pegni
dei miei aridi occhi
dove risorgerà
lungo un aureo gradino
la beltà del mio respiro.

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Nella vile folla di vite

Covare solitudini
sgusciando via
in strade affollate,
elemosinando spiccioli di vita,
i pugni in tasca
stringono l’inconsistenza
dei miei giorni.
Chi accenna un sorriso sincero,
che nasconde
chissà quale pensiero,
che sfoga la noia
in passi stanchi e forzati,
chi osserva i bambini.
Stringo il notturno
mio vagobondaggio
come una femmina
nella vile folla di vite
che nascono morbide e candide
e finiscono dure e fredde,
come la pietra di una lapide.

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