SEGNALAZIONE VOLUMI = SABINO CARONIA
Sabino Caronia, "La consolazione della sera", Schena Editore, Fasano, 2017, € 14,00 -
Era solito dire Moravia che la differenza fra un romanzo e un racconto risiede nel fatto che in un romanzo di solito sono presenti più idee, più sentimenti, più punti di vista, mentre in un racconto breve o lungo che sia l’autore di pensieri e sentimenti ne esprime uno soltanto. Qual è il pensiero dominante negli 8 racconti che Sabino Caronia raccoglie in "La consolazione della sera", soprattutto in Caffè Kafka, il primo racconto della raccolta? E’ la riformulazione della domanda: che rapporti esistono e si danno tra il soggetto e il Vuoto? Con una scrittura agile, abilmente controllata, Sabino Caronia prova a darne 3 configurazioni, ovvero più semplicemente 3 ordini discorsivi, antichi forse quanto l’uomo stesso: 1- l’arte, in generale, la Letteratura, in particolare, la quale per dirla con Lacan «si caratterizza per una certa modalità di organizzazione attorno al Vuoto»; 2- la religione, che consiste in un «evitamento del vuoto» (sebbene lo stesso Lacan non sia convinto di questa interpretazione tipicamente freudiana) e Sabino Caronia rilancia la questione ponendo il «rispetto del Vuoto» come migliore definizione; 3- la scienza, che lavora sul Vuoto di senso al fine di suturarlo allo scopo di rendere il mondo intero spiegabile e interpretabile secondo leggi e formule. Arte-Letteratura, scienza e religione sono anche per Sabino Caronia le 3 grandi produzioni intellettuali che definiscono e informano la nostra civiltà. «Hubo una vez un hombre…», in Caffè Kafka; «Il richiamo dei cieli, la loro sublime normalità, il metafisico conforto che viene dalle stelle.», in La notte della cometa; «La regolarità degli astri e l’irregolarità del mondo umano.», in La costruzione della storia, tre mirabili esempi di incipit che da soli stabiliscono la maestria di Sabino Caronia nella misura del racconto breve in cui subito immettere il lettore del nostro tempo, avvalendosi d’una scrittura nella quale non è difficile avvertire la presenza dei classici, ma senza manierismi e senza spocchia. Sull’importanza decisiva dell’incipit nella economia di stile, linguistica e tonale, di un racconto, mi sostiene dall’alto del suo magistero Alfonso Berardinelli proprio quando recensisce l’Antonio Debenedetti diIn due:«[…]Per gustare il pathos della distanza e il falsetto critico di racconti come questi nei quali si sente la lezione di un intero secolo si deve fare attenzione proprio agli incipit. L’estro narrativo, la possibilità e la metrica del racconto vengono decisi dal timbro delle prime frasi… L’incipit come scossa elettrica[…]», perché evidentemente il racconto non è «un mondo», come accade nel romanzo, ma è «nel mondo» come un frammento o un riflesso di un sistema più vasto e concluso. Altra cifra che circola e sostiene gli 8 racconti del libro è la prospettiva quadridimensionalista dell’uomo non kafkiano ma proustiano immerso nel flusso spaziotemporale. Perché quadridimensionalista e non come spesso accade in tanta narrativa contemporanea semplicemente ‘tridimensionalista’? Perché Sabino Caronia non aggiunge alla lunghezza e alla larghezza la semplice percezione del ricordo, ma aggiunge la memoria grazie alla quale, attraverso la materia, il passato viene recuperato in un hic et nunc ai confini se non coincidenti con l’eternità… Sicché «Tutto torna, almeno così credo.» come afferma l’autore di La consolazione della sera nell’incipit di La meraviglia della vita, il penultimo racconto del libro. Un libro che può essere tranquillamente percepito nello stesso tempo come romanzo, racconto lungo, diario e saggio; un libro nel quale coesistono in un unico respiro tutti i personaggi evocati dall’autore accanto alle due principali presenze: Kafka e Italo Alighiero Chiusano, questi, come una sorta di padre spirituale e Kafka come vero e proprio alter ego di Caronia, come mostra questo passo a proposito di una comune esperienza di ricovero in ospedale: «Io quarantenne al “Forlanini” come lui quarantenne al sanatorio di Kierling. Solo che lui vi era morto mentre io ne ero uscito vivo».Un po’ come in Antonio Debendetti dei racconti, e come anche nella Cristina Campo de La tigre assenza, Sabino Caronia in questo libro-diario-romanzo-racconto-lungo-saggio rivela in pieno e senza finzioni la sua filocalia e il suo misticismo della perfezione linguistico-espressiva, come ad esempio sa fare quando si rivolge a Diana, una forma di auto dissociazione che è in grado di scuotere ogni lettore:«Le lunghe ore passate con Diana a parlare, a passeggiare per i viali del “Forlanini” nei caldi pomeriggi di luglio in attesa di una risposta che avrebbe determinato la nostra vita futura, avevano risvegliato tenerezze dimenticate, un sentimento forte ormai rimosso da tempo; erano state una sorta di seconda luna di miele, forse più bella, più piena e consapevole della prima. La disposizione malinconica ad accettare con rassegnazione qualsiasi verdetto si era unita in me con l’attaccamento alla vita e agli affetti, esaltandolo, e aveva fatto ritrovare a Diana un uomo da non perdere». E poi il Tempo, il fattore T, sempre sullo sfondo della temperie che vibra negli otto racconti di Caronia , il tempo romano, un tempo di Roma che non è postmoderno né premoderno e che non è neppure moderno, metafisico o storico: come è stato ed è nei romanzi e nei racconti di Antonio Debenedetti, anche per il Sabino Caronia di La consolazione della sera il tempo di Roma è tempo meteorologico in grado di influenzare stati d’animo e psiche dell’autore e dei personaggi che nel libro si avvicendano, spingendo tutti verso il verbo-chiave dell’intero libro: procrastinare. Con La consolazione della sera Sabino Caronia pare prendere congedo dal Novecento lasciando nei lettori un senso di estraneità verso un mondo e un’epoca un tempo familiari. Come succede, per dirla di nuovo con l’osmosi Berardinelli-Debenedetti, quando guardiamo foto d’epoca alla fine di quell’epoca. Qui lo spavento quasi paralizza pensiero e immaginazione in Sabino Caronia perché la fine di quell’epoca teme che potrà coincidere con il dilagare in lui della «paura dell’oblio», con l’annichilimento della Bellezza, peggio, con la morte in lui dell’anelito verso il sentimento dell’eternamente bello.
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Gino Rago
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