POESIA CONTEMPORANEA = GIORGIO LINGUAGLOSSA
Una poesia inedita di Giorgio Linguaglossa
Giorgio Linguaglossa
"Giocatori di golf impugnano il bastone da golf"
Un prato verde. Persone in tweed fumo di Londra
camminano in fila,
si tengono stretti alle spalle di chi precede.
« …….»
Avenarius suona il campanello di casa Cogito,
ha litigato con il Signor Retro.
Il Signor Google fuma un sigaro di Sesto Empirico
e il filosofo va su tutte le furie.
Persone in casacca gialla e pantaloni bleu giocano a golf,
giocano a golf.
Una pallina bianca rotola di qua e di là.
Un valletto percuote il gong.
Una folla tra la ghiaia, il prato verde e lo specchio.
Un pappagallo verde. Un orologio giallo.
Hockey in casacche striate, pantaloni bleu.
Palline bianche che rotolano sul tappeto verde
di qua e di là.
Giocatori di golf impugnano il bastone da golf.
Commento
Mi soffermo emotivamente, prima, analiticamente, dopo, su questi cinque distici di Giorgio Linguaglossa ( da "Giocatori di golf impugnano il bastone da golf")
“[…] Persone in casacca gialla e pantaloni
giocano a golf.
Una pallina bianca rotola di qua e di là.
Un valletto percuote il gong.
Una folla tra la ghiaia, il prato verde e lo specchio.
Un pappagallo verde. Un orologio giallo.
Hockey in casacche striate, pantaloni bleu.
Palline bianche che rotolano sul tappeto verde
di qua e di là.
Giocatori di golf impugnano il bastone da golf.”
Posso fare mie queste parole di Michelangelo Antonioni:«Per maestri ho avuto i miei occhi». Perché? Per il motivo semplice che in questi dieci versi, distribuiti in cinque distici, Giorgio Linguaglossa indossa i vestiti del fotografo e in pochi scatti cristallizza nel tempo e nello spazio frammenti di storia e di geografia antropologicamente definiti e li consegna alla eternità.
Mai come in questi cinque distici il poeta assume i connotati del fotografo, ma non fa fotografie in bianco e nero, fa fotografie a colori e le fa per de-drammatizzare l’intero scenario in cui il fotografo-poeta si colloca e agisce per compiere il suo gesto estetico.
Si avvale di una tavolozza essenziale di appena quattro colori: il giallo di una casacca e di un orologio; il bianco della pallina da golf; il verde di un prato-tappeto e di un pappagallo; il bleu dei pantaloni… Con questi quattro colori il poeta-fotografo riconduce l’arte della fotografia al suo etimo originario: foto-grafia, vale a dire «scrivere con la luce», altri dicono «luce che scrive».
E quale è il luogo poetico autentico di questi cinque distici se non la luce, anche se il poeta non la nomina?
Ma la fotografia è un’arte? Forse addirittura è più che un’arte, se qualcuno ha detto che la fotografia è quel fenomeno solare in cui il poeta-fotografo collabora strettamente con il sole… Ma perché ho interpretato questi dieci versi aggregati in cinque distici, paragonando il poeta al fotografo?
Perché in questi versi Giorgio Linguaglossa si concentra sulla preminenza delle immagini, che qui si fanno più vere della stessa vita reale, immagini da sottrarre alla tirannia del tempo, il tempo delle luci e delle emozioni, delle riverberazioni e delle suggestioni, degli uomini e delle cose, il tempo che scivola via tra le dita anche del fotografo-poeta.
Il Linguaglossa di questi cinque distici compie quel gesto che, per dirla con Walter Benjamin messo di fronte a una stampa fotografica, esprime «la capacità di estrarre e strappare a forza dal suo contesto storico ciò che interessa per restituirgli vita e farlo agire nel presente». Lo fa in quello che Giorgio Agamben nel suo Autoritratto nello studio indica nel suo rapporto con la fotografia come «spazio interiore», l’unico nel quale è possibile «dentrificare il Fuori».
Dentrificare il Fuori.
E’ il miracolo dell’attimo, ed è l’attimo che forse può salvarci, ma dentro la poetica dell’istante, all’interno del cerchio del dire nella estetica di quello che si intende «infinito istante» , l’unico attimo-istante in cui è possibile riprendersi l’arte del re-imparare l’alfabeto della immaginazione.
Qui siamo di fronte a una nuovissima forma-poesia, un polittico, un polittico in distici.
All’interno di questo nuovo modo di modellizzare le parole all’interno della struttura compositiva del polittico si situa l’importanza fondamentale che rivestono le «immagini»; infatti le parole preferiscono abitare una immagine più che una proposizione articolata, perché nella « immagine» è immediatamente evidente la funzione simbolica del linguaggio poetico. Ed ecco la parola chiave: il verbo «abitare». Le parole abitano un luogo fatto di spazio-tempo e di memoria, quindi abitano una «patria originaria linguistica». Le parole abitano la temporalità, la Memoria. Le parole sono entità temporali.
*
Gino Rago
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