martedì 16 giugno 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = BARBARAH GUGLIELMANA




Barbarah Guglielmana – Davanti alla tenda (ed. Lieto Colle)- 2014 - pagg.72 - €13,00

Testimonianze a pelle, d’impulso, si raccolgono con l’espediente romantico per approfondire l’affetto più esaltante che ci possa essere.
Dell’ego armonico ci si fa carico per interpretare la propria parte alla grande e aspettare in piccolo che l’immaginario, bello ch’esteso, si liberi per verseggiare sui giorni che non tornano, appassionando.
Un concentrato di volontà viene assunto sapendo da subito, da poetessa, di maturare una condizione di donna nient’affatto riduttiva per la gioia ch’esce fuori ad appagare particolarmente.
La sensibilità in parole della Guglielmana lievemente si addossa il massimo piacere, che si prova bilanciando, calmandosi; e con essa ritroviamo della sana baldanza nel porsi dei limiti.
La poesia, lavorandola, si evolve in origine, quasi per narrare, e nuovamente spunta quella dote imprescindibile, da sfoderare per coinvolgere con intensità come a prestare le dovute cure alla propria anima.
Sul finire della silloge, l’accento si disincentiva, e si schiarisce una fidata tristezza di base; ne consegue la soavità di una decadenza di pensiero, da trasmettere per sempre, all’oggi.
Le figure umane che smuovevano Barbarah da bambina sono racconti di attimi che si gonfiano piano, meravigliosamente, col senso della privacy, tra le verifiche dell’intuizione vitale, di un tris d’assi attitudinali; per amore, spontaneità e legame di sangue.
Però è come se molta felicità si sacrificasse, e non resterebbe che spiare, nei fori di una rete di protezione a scapito di esseri pungenti, invisibili, proprio quella loro sfrontatezza che non ci appartiene.
Per non cadere in depressione occorre avanzare, dimenticare, alla portata di tutti, l’essenza di un’immagine; a costo di nutrirsi per convenienza, purché si rimetta per reagire e sentire così di stare a respirare.
In assenza di qualsiasi impedimento, i consigli su come traspirare trasparenze deliziano, come la solennità di un rito che caratterizza l’umiltà di univoca specie, a procedere china, con la mente incapace di alleggerirsi.
Le preoccupazioni sembrano esigere carezze, mentre “lei” ingurgita materiale preziosissimo; e il più forte sentimento il suo ricamo, spostandosi per preparare cose prelibate e rifiutarle tardivamente… per lasciare il segno e ricominciare daccapo a sistemare l’ordinario.
Vedersi nudi era un modo per divertirsi e crescere?
No, s’è trattato di un errore di valutazione in prospettiva, imperdonabile!
Sprovvisti dell’aspetto fisico, tendenziale, v’è una fonte d’energia primaria che ricaviamo di getto, inasprita, tanto da renderci ugualmente aridi dentro; e, dovendo resistere alla superficie pervasa dalle piogge, nei gesti che ti aspetti ma che si tengono in serbo, facciamo razzia del creato che si avvicina spiritualmente, privato del tempo per consolidare.
Gli astri si calano, s’imputridiscono col freddo di una coppia di amanti la cui complicità si spegne in aria; e Barbarah è convinta che tutti se la prenderanno con lei, come se fosse stata l’autrice ad aver diretto un mistero come pochi, con un dato compagno succube, e non viceversa.
La Guglielmana amabilmente si scorda di vivere, essendo fedele al suo arbitrio, e della vastità che la circonda rilascia una carenza semioscura, alla probabilità di rialzare la testa e stimarsi, come la luce al naturale che trastulla le primizie non suscitanti più la benché minima atmosfera, distrutte dalla progressione dell’Essere.

Trattasi di una donna che ha desiderato e ricevuto il bene di una e più poesie, dando in cambio un sentimento tutto da provare; magari per l’uomo che se si ammutolirà infinitamente allora verrà considerato?
E dunque di una melodia che strugge per com’è perfetta, con le componenti gettate nell’aria quando essa ti aggredisce all’attesa di un mezzo di trasporto, a rinfrescare la decenza sessuale, necessaria per ricondursi alle lotte per la dignità di genere, con abiti nuovi, ma pur sempre in segreto, come nell’inconsapevolezza accresciuta dalla fertilità sommessa ma straripante.

“Mi cambio e mi nascondo”.

La poetessa appare nel pianto da gustare, da strappare dagli occhi; essendo anche solita a esibirsi con sterili motivetti, in balia di un’eccessiva temperatura corporea o di soluzioni alcoliche per debellare il cattivo umore… come se non si fosse accorta di non aver ancora intenerito le sue emozioni, una volta distaccatasi da sé per forza di cose, al margine di una città sollevato da anime che scrivono per letture da concretizzare.
Un cenno di follia insuperabile da ingerire, e si torna puliti, per non dire sotto colate di cemento, distanti dalla fitta vegetazione che le allegre accelerazioni della Fantasia riproduce; con la malinconia che perdura ma che non stanca se ti attivi per riconoscerti, in possesso di un’ambizione almeno, in assoluto.
Senza badare a quel che si sprigiona pigramente, per disperdersi nell’intento di cogliere la bella stagione e fare disordine tra le novità… in un luogo massimale; nella morsa, oramai allentata, dell’esistenza terrena.
Sono molti gli acumi destinati quasi a macchiarsi, di dura, femminea, fermezza, che gli uomini non devono manomettere oltremodo illudendo; l’autrice sembra addirittura implorare a codesti l’incutersi della reale bellezza planetaria, l’avidità nell’assaporare la bontà centellinabile quando il cuore batte forte, sistemando un’immagine da schiarire, tra le riflessioni occupanti l’altrove che si mostra immenso alzando lo sguardo urbanamente preteso.
Il rischio di soffocare sobbarcandosi della nullità stando a quanto emesso, alla reintroduzione mai complementare degli amorosi sensi, si frammenta constatando quel vento scaturito dagli spostamenti del partner, a spegnere la passione appiccata per polverizzarsi piacevolmente.
E rientrano le esitazioni finemente proporzionali alle meditazioni, per miracoli da seguire continuamente, tumultuosamente; tipo la felicità per una relazione autenticata, che sgorga dagli occhi e travolge le nudità.
Si è in cammino, “facendo il verso” al poeta monumentale, come un minuscolo essere vivente abilissimo a conservare ciò che ha da consumare, addolorato da un vortice regressivo che pulsa in grembo, la messa in panico che aggrazia invitando a respirare saggiamente, a osservare il tizio che, per evitare il maltempo, se lo prende invece in pieno, mentre una musicante, leggiadra, si eleva fino alla cognizione atmosferica perfetta, procacciando le menti di profondi scopritori di sé; fino alla motivazione imprescindibile se si dà adito al corso del tempo, per cui è necessaria della solitudine serafica alla “lei” radicata, convinta che i rapporti carnali non si rimediano ogni volta fugacemente e in maniera esemplare, alla strenua del distensivo pudore.
Dovendo ragionare talvolta in controtendenza, e ritrarre qualcosa di logico sul telo dell’aldilà, in possesso di quella libertà per infondere aforismi dedicabili a una carenza di propositivo impatto.

Rimangono dunque fogli per trattare crolli di psiche, voli nell’aria avversa per principio, alla boccata d’ossigeno che incorpora chi si distacca dalla propria posa, chi si riordina per effetto della coscienza, nell’interpretazione della concretezza appesa al muro della memoria, magari dai propri nonni.
Barbarah infatti assorbe, dal trafiggente buonsenso dei suoi cari, degl’intenti indefinibili per natura, mentre spiega come poter ascoltare il mutismo degli anni trapassati, al richiamo della quotidianità (quando non appesantiva come oggi), che incuriosisce solo quand’è possibile accarezzare le diversità di carattere, di espressione, di armonia, per stabilire il vissuto; con la commozione che abbaglia, a causa di volontà più che tangibili, tipo quella di lasciar sbocciare fiori che profumino di morte, scalfendo l’olfatto intrattenibile per esperienze significative, da custodire.
Dei volatili fatti d’infamia e di lode, intanto sembrano capaci di lasciare in sospeso la poetessa, di renderla raggiungibile, lungo una via da illuminare attraversandola, anche scrivendo pensieri su pensieri come a piovere nuovamente; e perché no sfidando l’entusiasmo per sostare nella casa di Dio e scioglierne i particolari in compagnia di persone che ti aprono il cuore, desiderando oltremodo di tornare indietro per godere di un’innocente passività?

“Cambierei ogni preghiera disperata di me adulta
con quelle preghierine di allora…”.

La nostalgia rimanda alla cura spasmodica, che si reputa solo dopo elettrizzante, dei sogni di una fanciulla che dovevano assolutamente uscire fuori.
Al buongusto da considerare istintivamente, senza badare alle conseguenze, per far sì che l’autunno risulti per sempre incantevole, quanto il nervo scoperto che non va masticato a dismisura, d’accusare al proliferare di una valenza impossibile da complessare e per giunta col cattivo appetito, accelerante gli eventi con in mezzo quella maledetta sensibilità da sviluppare.
Per fare pulizia sulla morale che non ci potrà mai appartenere, pur costretti a tatuarcela per l’ossessivo ricordo di un tesoro da smitizzare per il bene di una creatività impellente, per la minuziosa unicità d’abbinare al presente.
VINCENZO CALO'--

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page