venerdì 11 dicembre 2020

SEGNALAZIONE VOLUMI = FRANCESCA LO BUE


Recensione di Aurelia Rosa Iurilli =
Albero di Alfabeti/ Árbol de Alfabetos - Raccolta poetica bilingue di Francesca Lo Bue**** =
E se dai testi precedenti il lettore oramai conosce le predilezioni letterarie e spirituali di Francesca Lo Bue, in questa ultima silloge Albero di Alfabeti/Árbol de Alfabetos, accanto ad ella sfoglia i simboli e le lettere e le pare di toccare il mistero, il nome e l’essenza del mistero. Con lei esplora la definizione di mistero, di cosa è fatta la sua alchimia sfuggente. Ma il mistero è ancora più in là. Mistero è il segno tracciato di ogni lettera, mistero è la congiunzione di caratteri che formano il nome: nome dell’universo e delle cose che sono nell’universo, nome del Fattore e di coloro che sono stati fatti. Yahvé è il nome. Yahvé è il sacro, la cifra, la destra di misericordia. Yahvé fu il tuo nome nell’antica lingua. Yahvé fue tu nombre en la antigua lengua de los Padres Perché l’alfabeto è la parola che dice “eccomi” spiega Francesca nell’Introduzione. Orbene. L’intreccio e la qabbalah, la cifra e il nome, il segno e la parola, si moltiplicano e schiudono a ventaglio nel testo secondo una architettura simmetrica. Dopo l’Introduzione in italiano, è prima il poemario secondo l’alfabeto italiano e la corrispondente traduzione spagnola. Poi, il poemario secondo l’ordine dell’alfabeto spagnolo e la corrispondente traduzione in italiano. Infine, nella terza parte, sottotitolata appunto Traduzioni, traduce poemi di Neruda, Dickinson Kavafis, i cui temi sono affini al mistero-tema che ella propone nei suoi: l’esilio, la casa, le mura. La quotidiana e semplice scrittura è un rito. È la forza di un’acqua aurea che mi chiama al rito, eccelsa di poesia. Esorta a compiere parole di armonia. Es la fuerza de un agua áurea que me llama al rito excelso de la poesía. Exhorta a cumplir tus palabras de armonía. o un tabernacolo a cui si accede ed entra invocando-tracciando la magia dell’alfabeto quale talismano: L’alfabeto è la scrittura, generazione di alfabeti, riscatto, talismano, respiro di parole, strumento per entrare nell’Immensità, ossessivamente definisce Francesca nell’Introduzione, e sembrerebbe essere giunta a una certezza: Nel grande alveolo dell’alfabeto –il Linguaggio- c’è un io che dice testardamente i nomi. Sacralità della scrittura, sacralità del gesto, sacralità del suono a cui il segno rimanda: C’è Dio nelle parole... Esse sono il suo dono, cifra e chiave. E c’è il nome nelle lettere: i tuoi nomi infiniti, il nome che racchiude una città, Rimembro il nome, talismano, ma soprattutto Nome d’acqua è fecondità e salute. Il nome terrorizza nelle notti insonni delle brame, Tu nombre de agua es fecundidad y salud. Tu nombre terrorizza en la noche insomne. la sacralità è nella voce, nel respiro e nell’alito creatore, nella parola alfabeto… Hapax, chiave e ora giusta del mio alfabeto, Hallalì, hallalì, nel silenzio! Hay una llave maestra para el instante único. Entrar en el alfabeto infinito, Il sentiero che mano nella mano abbiamo percorso con la autrice ci ha portato a un punto molto alto di spiritualità Yahvè fu il tuo nome nell’antica lingua,/Yiddish ti pregava, davanti a un muro secco./Yoghin inerme balbettava il tuo nome in una cella nuda e lo/Yemenita ti scrutava fra gli specchi allucinati delle sabbie./Yahvé fue tu nombre en la antigua lengua de los Padres./Yiddish suplicaba delante de un muro desnudo. Amaba y bendecía el/yugo de tu nombre. =
Il perché del titolo
Bel simbolo è l’albero e ricco di messaggi. L’albero è asse che congiunge cielo e terra, è croce, è albero del bene e del male. L’albero ha i rami lanciati al futuro per cui è albero genealogico, albero della vita, della conoscenza, albero di alfabeti o delle ventidue lettere che insegnano i sentieri della saggezza. Albero che può presentarsi terreno e che Francesca può coprire di fiori: albero di zagare, albero di stelle. Albero ripete la metafora di Libro, di una precedente raccolta di Lo Bue.. Albero e libro concepiti come elementi che raccolgono e contengono: albero che raccoglie alfabeti, libro che raccogli parole. Albero e libro sono metafora dell’atto corale che compie l’umanità. E questo continua l’idea di molteplicità e di infinito: ogni generazione coniuga l’alfabeto secondo l’impronta del suo tempo e aggiunge la sua pagina al libro infinito. =
Quando il dolore diventa lirica. Il problema della traduzione Versi di Esilio e riscatto una composizione più lunga di Neruda, 609 di Emily Dickinson e Le mura di Kavafis costituiscono Traduzioni terza e ultima parte della presente silloge. La scelta, ancora una volta, è soggettiva molto soggettiva. Le tre composizioni riprendono il tema dell’emigrazione, dell’allontanamento e della dimenticanza di chi parte e di chi resta, e il ritorno vissuto come un secondo esilio. Lo ripete allora con Neruda, Esilio! La distanza si fa densa,/respiriamo l’aria della ferita:/“vivere è un precetto obbligatorio”. e con Dickinson soffre il rifiuto e separazione, segnato dalla porta, Lontano da casa sono stata molti Anni/e adesso davanti alla Porta/non mi azzardo a entrare, magari un Viso/mi guarda impassibile/e mi domanda Cosa faccio li/“Cerco solo una vita che lasciai/rimane ancora qui?”/Estuve muchos Años lejos de la casa/y ahora estoy delante de la Puerta/No me atrevo a entrar no sea que un Rostro/Que nunca vi me mire impasible/y me diga Que hago allí/“Busco una Vida que dejé. /¿Todavía sigue por aquí? e ancora con Kavafis: separazione e segregazione segnato dalle mura innalzate attorno al soggetto. Senza pietà, senza riguardo, senza pudore/muraglie alte e grandi mi hanno eretto attorno,/Sin piedad, sin pudor, sin consideración, muros altos y grandes me erigieron alrededor. E tanto per ricordare, nella sua ultima silloge Canti del Pilota diceva: In esodo partii/verso pareti gemmate di gocce celesti,/En éxodo huí,/hacia paredes bruñidas de gotas celestes. Questi intenti di traduzioni sollevano due aspetti della stessa problemática, e sono inerenti alla peculiarità della sua biografía. Un primo aspetto riguarda le due lingua madre - quella della nascita, quella appresa durante l’adolescenza, prediletta per scelta e affettività - che si confondono e continuano una nell’altra sino a diventare una, spagnolo-italiano, una sola lingua che si esaurisce e completa con due sistemi linguistici. Quindi il bisogno di dire e ripetere l’idea e l’immagine, ascoltarne il suono delle parole nel doppio sistema della stessa lingua. Poi equivalenza e coincidenza dei suoi stati d’animo -ma quasi sempre riguardo la sua emigrazione- con poeti conclamati, i classici. Equivalenti sono il proprio esilio e quello vissuto da Neruda, il rifiuto ricevuto e allontanamento dagli affetti sono come la Porta di Dickinson e la suo essere e sentirsi esclusa sono come il muro di Kavafis. Nessun proposito accademico, dunque, la conduce a proporre queste traduzioni ma un sentimento di ammirazione per i maestri –insuperabili-, ma soprattutto per coloro che hanno già tracciato e sofferto il medesimo dolore. Dolore più incisivo in Francesca che lo ripete, come fosse litania, in spagnolo in italiano, in sapgnolo-italiano, circolo equivalente, senza fine.

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