giovedì 25 aprile 2024

SEGNALAZIONE VOLUMI = ANTONIO SPAGNUOLO


**Antonio Spagnuolo: "Futili arpeggi" - Ed. La valle del tempo - 2024 - pag.120 - € 14,00
con un saggio critico di Carlo Di Lieto
È un autore di ammirevole vitalità, Antonio Spagnuolo, presente sulla scena letteraria dal lontano 1953 sempre con una sua inconfondibile cifra stilistica: meglio ancora, un autore di “splendida resistenza vitale”, come di lui ha sottolineato recentemente Adam Vaccaro, capace di confermare, di libro in libro, la sua vena di generosa creatività all’insegna di quello che Leopardi definirebbe un “sentimento al presente”, di una visione, cioè, della vita calata in ogni momento nell’”oggi” dei suoi stati d’animo e con una forte coerenza di stile, di espressione, oltre che la costante fedeltà a un canto ostinatamente atteso e perseguito, che diventa materia della propria stessa costante risurrezione, della propria più profonda (“conturbante”) metamorfosi (come diceva in un testo emblematico, E se un giorno ingannerai, della raccolta Io ti inseguirò del ’99): in uno spazio, insomma, in cui l’inseguitore diventa, brunianamente, preda della propria stessa ansia di verità, dove luce e tempi nuovi fioriscono nel segno di un’esperienza costantemente essenziale.
“Un atto rivoluzionario”, questo, non c’è dubbio: perché “non ci si può presentare agli altri sotto mentite spoglie in eterno”, afferma senza incertezze e vanagloria Spagnuolo in limine all’ultima sua silloge, Futili arpeggi, appena pubblicata dall’editrice napoletana La Valle del Tempo, in cui quel “futili” che accompagna gli “arpeggi” del titolo è elemento niente affatto riduttivo ma che anzi chiede smentite da tutti gli spiriti complici. Come dire con lo spirito mai domo ma anzi determinato a dar voce a umori e sentimenti, alla Leopardi di Amore e Morte (“Erta la fronte, armato, / E renitente al fato”): con la convinzione che “la vera poesia, nel ritmo cadenzato delle sillabe, deve suscitare emozioni, sradicare illusioni, riaccendere sentimenti, ravvivare la creatività, illuminare il presente, presagire il futuro”. “Suscitare”, “sradicare”, “riaccendere”, “ravvivare”, “illuminare”, “presagire”: ce n’è d’avanzo in questi verbi per vedere in azione una poetica attiva, niente affatto rinunciataria e che anche quando ripensa al passato non è mai sterilmente elegiaca, ma anzi dinanzi al senso del trascorrere inesorabile del tempo, al fantasma di ciò che sa perduto per sempre (penso a Fantasmi, qui in questa silloge), sa intravedere “segni” e “bagliori” di un’illusione persistente, di un “sogno” in presenza della ragione (è questo il senso dell’”assurdo / anelito” dei vv.5-6?), a dispetto delle “ombre del tempo” e di ogni, reale o metaforica che sia, “sera”.
A questo alludeva Alberto Asor Rosa, ricordato da Carlo Di Lieto nella postfazione, quando a proposito di Spagnuolo parlava dell’”affiorare di un elemento prelogico nell’esperienza mentale”, capace di tradursi nel “rifiuto di una sintesi vincolante sul piano del linguaggio come su quello del senso”? Credo di sì, nel senso che l’autore è cosciente che nel rinnovamento costante dei suoi codici espressivi conserva la sua indiscutibile coerenza con quello che Di Lieto, da par suo, riconosce come il suo nucleo tematico fondante, ossia “la centralità dell’eros”, nella relazione cioè “eros/thanatos e libido/morte” che stilisticamente si traduce in un dire avvolgente che insegue, anche attraverso metafore “corpose”, insegue un altrove indefinibile in cui il riaffiorare di tracce mnestiche nella scrittura costituisce la compensazione di un desiderio infinito, tra “fatica per trattenere inganni” e “linea indelebile”, giusto come si dice nel testo citato prima, ossia Fantasmi, che a distanza di anni riconferma quanto già diceva in Io ti inseguirò (“Qualsiasi cosa accada riascoltiamo / il ritmo della narrazione: / non c’è mutamento di suoni / che sciolga o annulli ogni differenza./ Oh! I deserti, i grandi pascoli, le lune, / scomparsi nel continuo divagare./ E’ il mistero che innalza sopra tutti / la sua voce ininterrotta, / la voce conturbante del racconto”), in cui, implorando la “voce ininterrotta” del proprio canto, dava espressione a quella che mi pare costituisca una sua cifra di poetica essenziale, ossia la necessità della parola fecondante del desiderio, del “racconto” della grazia della scrittura, a restituire vita e forza all’indistinto di ogni attesa e pulsione (“sciolga o annulli ogni differenza”), inscritto sull’orizzonte di una figura di fede, ciò che chiama qui, in Futili arpeggi, in un testo conclusivo, Personaggio, “mito”.
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VINCENZO GUARRACINO

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