martedì 28 gennaio 2025

POESIA = MAURO MACARIO

***
"ESILIO"
Né angelo né demone
vivo in una terra di mezzo
un monolocale nel deserto
aperto ai venti
cercando un’identità sabbiosa
che cambia come le dune
e guardo il mio tempo
cieco a dirigere un traffico
che non esiste.
***
***
"NESSUNO SUL LUNGOMARE"
Le ragazze che al sole d’estate
animavano i corpi di misteri smaniosi
si muovevano lente nei vestiti leggeri
e poco donavano alle mani frementi
già paghe del gioco crudele
di svelare un istante di segreti biancori
e poi riderci sopra scappando di corsa
ma in sere più ardite
le ragazze che ai riflessi lunari
s’arcuavano verso le stelle
accendevano piccoli fuochi
sulle umide rive
perché cieco non fosse il ragazzo
a frugare nell’ombra
e da quelle fessure al tatto dischiuse
un lamento sottile di foglie premute
si perdeva nell’aria
le rivedo talvolta e posso toccarle
al passaggio di nubi piovose
chiudendo gli occhi ai giovani odori
che il ricordo sprigiona come estasi triste
per questo d’autunno
i vecchi muoiono sulle panchine
con un grappolo d’uva tra le mani
quando le ragazze del sole e della luna
vanno in eclisse
e tutto per sempre si oscura.
***
***
"MARE SILENTIUM"
Lo guardavo giocare sulla spiaggia
col secchiello la paletta
e una spina di riccio nel piede
fragile candore
da grande cambiò gioco
siringhe lacci e un ago nella vena
fragile pallore
poi il maremoto mi restituì il secchiello
*
MAURO MACARIO
**********
RIFLESSIONE SULL’ARTE
L’atto creativo, per me, corrisponde ancora una volta all’esperienza concettuale del “ mischiato “ e forse in maniera ancora più enigmatica e dalla doppia valenza filosofica. Creare un’opera d’arte può essere un’alternativa a questa umana avventura per inventarne un’altra dove con questo lasciapassare- il manufatto artistico – chiediamo la cittadinanza onoraria nell’altrove, un continente dell’immaginario popolato di miti, idoli, fantasmi, feticci, amori. In qualche modo uno spazio dove ricostruire la vita come vorremmo che fosse stata, dove elencare la demolizione progressiva del sogno, dove ipotizzare la prosecuzione suturata di rapporti recisi, dove esercitare una laica liturgia dei sentimenti, inespressi o annullati nello spreco del rifiuto o dell’abbandono, dove l’uomo utopico si scontra a muso duro con i regimi tecnocratici e finanziari, dove si rivendica la priorità del soggetto rispetto all’oggetto, dove creare la piazza planetaria delle tensioni insurrezionali, dove trovare il diapason del silenzio attraverso il linguaggio dei segni, le parole. Le parole esprimono l’infinito del sentire solo in poesia, perché vaganti in brandelli da ricucire (anche a caso, il senso verrà fuori), in altre circostanze la parola subisce il condizionamento del pensiero razionale e invece dell’infinito cerca il definito. Diventerà letteratura della matematica. Se due più due fa quattro, non c’è più infinito. Se fa cinque –diceva Ferré – è più interessante. E’ dunque uno spazio dove tutti si affrontano per la prima volta ad armi pari perché le motivazioni vengono dal reale e qui trasfigurate, poi come figli ribelli si rivoltano contro i padri –i poeti –di cui non riconoscono alcuna autorità tanto meno quella della trasfigurazione e vogliono di nuovo il sangue, il duello, la vittoria della miseria morale. Da qui scatta l’interrogativo : se l’atto creativo non è sufficiente a compensare il dolore reale in modo permanente, se la motivazione originaria è più forte dell’atto creativo stesso, allora è più importante la vita e bisognerà accettare di trastullarsi onanisticamente con l’atto creativo riconoscendone quei limiti che tu, artista, avevi supposto di oltrepassare verso l’infinito, quell’infinito che invece ci vai a sbattere contro come in un frontale tra due macchine. Non sempre è facile identificare le vittime perché, secondo la scatola nera, vittime e carnefici si scambiano i ruoli in un’alternanza continua. La scatola nera è la poesia, qualsiasi forma abbia assunto tirandola fuori dalle lamiere. Meglio se con uno sfregio sulla guancia. L’atto creativo ti farà capire se ti basta il surrogato inventivo o se la vita nei suoi disastri è una creazione che sfida il proprio simulacro clonato o ricomposto. L’atto creativo è anche il solo e patetico mezzo per non morire del tutto, la tecnica di un’illusione che proroga la sparizione totale in un’idea ostinata di immortalità, la sopravvivenza testimoniale di una sensibilità che tenta di erigere promesse di memorie su fondamenta di vento. Ed è siamese al sogno. Ma non dimentichiamo che l’atto creativo è dispettoso, si sposta sempre più in là, non conosce compiutezza, in controsenso alimenta nell’artista l’insoddisfazione permanente, s’inserisce come un figlio adottivo di cui non si conosce bene la natura. L’atto creativo si nutre di un sentimento di perdita, è lo smarrimento dell’ orfano. E’ un perdente vittorioso. Oggi, da vecchio, accolgo il pensiero di Lao-Tse : l’Arte è un immobile scalpitìo.
(Mauro Macario)

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page